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Energia e cambiamento climatico

di Gianmaria Sannino

DOI 10.12910/EAI2019-020

Tra cambiamento climatico ed  energia vi è un legame forte  e sempre più allarmante, causato dall’utilizzo delle fonti fossili che provocano il riscaldamento del Pianeta e le sue drammatiche conseguenze. L’unica via d’uscita è cambiare modelli di consumo, introdurre  tecnologie per  produrre di più con meno, per aumentare l’efficienza energetica nei processi produttivi e per sostituire  le fonti fossili con fonti rinnovabili e a bassissima emissione di carbonio. I prossimi anni risultano cruciali sotto questo aspetto; infatti, le analisi scientifiche più recenti (IPCC, 2018) dimostrano che solo se agiamo subito per ridurre drasticamente le emissioni di CO2 entro i prossimi 10 anni sarà possibile contenere l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto dei 2° C rispetto alla temperatura media preindustriale

Gianmaria Sannino, ENEA, Responsabile del Laboratorio di Modellistica Climatica e Impatti

Il nostro pianeta è una macchina termica che intercetta l’energia solare e la trasforma in calore, movimento dell’aria e dei mari, e ciclo dell’acqua. Un terzo dei raggi solari ricevuti dalla terra è riflesso nell’atmosfera sotto forma di radiazione infrarossa; i restanti due terzi sono assorbiti dagli oceani e dal suolo. I gas naturalmente presenti nell’atmosfera, come l’ozono (O3), il vapore acqueo (H2O), il protossido d’azoto (NO2), il metano (CH4) o l’anidride carbonica (CO2), impediscono che parte di queste radiazioni fuoriescano nello spazio e le restituiscono alla terra, riscaldandola. E’ l’effetto serra, un fenomeno naturale che agisce come regolatore climatico e permette alla Terra di avere una temperatura media di 15° C. In assenza di effetto serra, la temperatura media sulla superficie del nostro pianeta sarebbe molto più bassa: -18° C. Dalla rivoluzione industriale ai giorni nostri l’uomo ha modificato questo equilibrio immettendo in atmosfera enormi quantità di gas serra (effetto serra antropico). Principalmente CO2 (77%), proveniente dall’uso di combustibili fossili (petrolio, carbone, gas), ma anche metano, proveniente dall’agricoltura intensiva e dalle discariche a cielo aperto.

Anche la deforestazione è causa dell’effetto serra antropico: quando gli alberi vengono abbattuti o incendiati il potenziale degli ecosistemi di immagazzinare CO2 è indebolito e, di conseguenza, le nostre emissioni risultano indirettamente aumentate. L’effetto netto della combustione di combustibili fossili e della deforestazione corrisponde attualmente a un rilascio annuo di CO2 in atmosfera di 40 miliardi di tonnellate. La metà di queste emissioni viene assorbita dalla vegetazione, dal suolo e dagli oceani (che tuttavia reagiscono aumentando la loro acidità). Ma l’altra metà si accumula alle emissioni degli anni precedenti, modificando di fatto la composizione chimica dell’atmosfera. Dal 1850 la CO2 in atmosfera è aumentata del 40%. Era 270 ppm (parti per milione) alla fine del XIX secolo. Oggi ha raggiunto e superato l’allarmante valore di 410 ppm, la più alta concentrazione dell’ultimo milione di anni. Nello stesso periodo, la temperatura media superficiale della terra è aumentata più o meno costantemente, raggiungendo nel 2016 il valore più alto mai registrato dal 1850: 1,2 °C in più rispetto al periodo preindustriale.

La scienza ha ormai dimostrato in maniera inequivocabile come l’aumento progressivo dell’anidride carbonica e del metano in atmosfera sia la causa principale dell’attuale riscaldamento globale (IPCC, 2013).  Secondo l’Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO, 2018) i 20 anni più caldi si sono verificati tutti negli ultimi 22 anni e i primi 4 solo negli ultimi 4 anni. La WMO riferisce inoltre che per il decennio 2006-2015 la temperatura media globale era già aumentata di 0,86 °C rispetto a quella del periodo preindustriale. Per l’ultimo decennio (2009-2018) la temperatura media è stata più alta di circa 0,93 °C, e per gli ultimi cinque anni (2014-2018) la media si è attestata a 1,04 °C al di sopra della media preindustriale.

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Incremento della temperatura (°C) superficiale del Mediterraneo al 2100 rispetto ai valori attuali. Mappa realizzata dal modello climatico ENEA per lo scenario rcp8.5

Il riscaldamento globale sta “disturbando” il clima

Una delle conseguenze del riscaldamento globale è il cambiamento climatico, i cui effetti più evidenti sono lo scioglimento delle calotte polari, l’innalzamento del livello del mare - alcune isole del Pacifico stanno già scomparendo e i loro abitanti hanno già in programma di emigrare in altre isole che al momento sono più sicure -, l’aumento della frequenza degli eventi meteorologici estremi, la siccità, gli incendi boschivi, le inondazioni, il degrado degli ecosistemi e la perdita di biodiversità. In altre parole, il riscaldamento globale sta “disturbando” il clima. È bene sottolineare che il clima non è mai stato stabile;  nella storia del nostro pianeta il clima è sempre cambiato, ma l’attuale crisi climatica è unica per velocità, intensità, cause e, soprattutto, conseguenze.
Il cambiamento climatico antropogenico ha già portato a modifiche sostanziali nelle medie e negli estremi di molte variabili climatiche. Ulteriori cambiamenti climatici sono ormai inevitabili, ma la velocità e l’entità dipendono dal successo delle politiche globali di mitigazione.  Per questo motivo, alla ventunesima Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (di seguito indicata COP21) che si è tenuta a Parigi nel 2015, quasi tutti i Paesi del pianeta (195) hanno deciso di mettere in atto un piano per combattere il riscaldamento globale. I punti principali dell’accordo prevedono che si trovi un equilibrio tra le emissioni e gli assorbimenti di gas serra a partire dal 2050, mantenendo l’aumento della temperatura globale ben al di sotto dei 2° C; che si analizzino i risultati ottenuti ogni cinque anni; che le azioni per il clima a favore dei Paesi in via di Sviluppo siano finanziate con 100 miliardi di dollari all’anno, fino al 2020, con l’impegno a continuare questo finanziamento anche dopo il 2020.

L’accordo di Parigi suggerisce inoltre che il riscaldamento globale può essere fortemente limitato attraverso l’applicazione di politiche energetiche incisive, come l’aumento dei prezzi dei combustibili fossili in favore di investimenti in tecnologie a bassissima emissione di carbonio. Il messaggio è chiaro: i combustibili fossili appartengono al passato, mentre in futuro l’energia può essere solo a emissione di carbonio nulla.

Tuttavia, nonostante i buoni propositi della COP21, il sistema energetico mondiale continua ad essere il maggiore emettitore di gas a effetto serra a causa della sua grande dipendenza dai combustibili fossili.  L’accordo di Parigi è stato firmato nel 2015 e da allora le emissioni di CO2 legate alla produzione di energia sono aumentate del 4%. In particolare il 2018 ha visto crescere il consumo energetico mondiale del 2,3%, quasi il doppio rispetto al tasso medio di crescita registrato negli ultimi dieci anni. Questa crescita è stata trainata da una solida economia globale, ma anche dalle condizioni meteorologiche estreme che in alcune parti del mondo hanno portato ad un aumento della domanda di riscaldamento e di raffreddamento. La maggiore richiesta di energia è stata soddisfatta principalmente dai combustibili fossili che hanno contribuito per il 77% dell’intera energia prodotta.

Come risultato del maggiore consumo energetico, le emissioni globali di CO2 legate alla produzione di energia hanno raggiunto la cifra record di 33,1 miliardi di tonnellate, con un aumento rispetto al 2017 dell’1,7%. (Le Quéré, C. et al., 2018).

Il Rapporto Speciale dell’IPCC

Come evidenziato di recente nel rapporto Speciale sul Riscaldamento Globale di 1,5 °C pubblicato dal Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC, 2018), il divario tra aspettative e realtà nella lotta ai cambiamenti climatici rimane significativo. L’incremento delle emissioni di CO2, guidato tra l’altro da investimenti miopi nei combustibili fossili, aumenta il rischio che il mondo si allontani sempre più dal percorso delineato dalla COP21. La relazione chiarisce che è necessaria con urgenza una transizione energetica e che le energie rinnovabili, quelle a bassa emissione di carbonio, l’efficienza energetica e l’elettrificazione sono i pilastri di tale transizione. Le tecnologie sono già oggi disponibili, sono applicabili su larga scala e sono competitive in termini di costi. A livello internazionale va detto che l’Unione Europea da diversi anni ha adottato una politica energetica che incoraggia gli Stati membri ad aumentare l’uso di fonti rinnovabili e a ridurre i combustibili fossili. Il Clean Energy Package presentato dalla Commissione nel 2016, sostiene questo approccio e contiene proposte legislative per lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili e del mercato elettrico, la crescita dell’efficienza energetica e la definizione della governance dell’Unione dell’energia. In particolare, il pacchetto energia-clima fissa tre obiettivi principali da raggiungere entro il 2030: una riduzione di almeno il 40% delle emissioni di gas a effetto serra (rispetto ai livelli del 1990), una quota di almeno il 27% di energie rinnovabili e un miglioramento di almeno il 27% dell’efficienza energetica. Gli obiettivi principali comprendono pertanto l’adozione di misure efficaci sotto il profilo dei costi per raggiungere l’obiettivo a lungo termine e la riduzione delle emissioni dell’80-95% entro il 2050, nonché la necessità di porre le basi per un contributo all’accordo internazionale sul clima, che entrerà in vigore nel 2020.

A livello nazionale, la programmazione del comparto energia si è concretizzata nel 2017 con lo strumento della Strategia Energetica Nazionale (di seguito SEN) che consiste in un piano decennale del Governo volto ad indirizzare e gestire tra l’altro la decarbonizzazione del sistema energetico.  La SEN, in particolare, prevede un’accelerazione nella decarbonizzazione del sistema energetico -a partire da un netto taglio dell’uso del carbone dal 2025- e una serie di azioni di semplificazione e razionalizzazione del sistema energetico per ottenere riduzioni sensibili dei costi delle tecnologie rinnovabili. La SEN definisce inoltre le misure da applicare per raggiungere i traguardi di crescita sostenibile stabiliti dalla COP21. In questo contesto la SEN rappresenta un tassello imprescindibile del Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC) per il periodo 2021-2030, che sarà pubblicato in forma definitiva il 31 dicembre 2019. Tuttavia è da evidenziare che la Commissione Europea, dopo aver valutato la bozza di proposta PNIEC, ha suggerito al nostro paese maggiore ambizione nel piano per assicurare il raggiungimento dei target climatici per il 2030 e la transizione verso un’economia a impatto climatico zero entro il 2050 attraverso un maggior ricorso alle fonti rinnovabili,  all’efficienza energetica e, in prospettiva, alla fusione nucleare, una tecnologia sostenibile,  pulita e senza scorie.

Anni cruciali

I prossimi anni risultano cruciali; le analisi scientifiche più recenti (IPCC, 2018) hanno dimostrato che solo se agiamo subito, riducendo in maniera drastica le emissioni di CO2 entro i prossimi 10 anni, saremo in grado di contenere l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto dei 2 °C rispetto alla temperatura media preindustriale. Ma per raggiungere questo obiettivo è necessaria una revisione profonda delle politiche energetiche a livello internazionale. In altre parole la transizione energetica deve avvenire molto più rapidamente di quanto attualmente previsto.  Secondo il recente rapporto IRENA (2019) sulla trasformazione del sistema energetico globale, per raggiungere gli obiettivi climatici suggeriti dalla COP21, la diffusione delle energie rinnovabili dovrebbe aumentare di almeno sei volte rispetto agli attuali piani dei maggiori Paesi industrializzati. Se si seguissero gli attuali piani energetici, infatti, le emissioni annue di CO2 legate alla produzione di energia diminuirebbero solo leggermente entro il 2050, e questo contribuirebbe a far aumentare la temperatura media superficiale del nostro pianeta di almeno  2,6 °C entro il 2050 rispetto al periodo preindustriale, con devastanti ripercussioni sociali, politiche ed economiche.

BIBLIOGRAFIA
  1. Le Quéré, C. et al. (2018). Global Carbon Budget 2018, Earth Syst. Sci. Data, 10, 2141–2194, https://doi.org/10.5194/essd-10-2141-2018, 2018. https://doi.org/10.5194/essd-10-2141-2018, 2018
  2. IPCC (2013): Climate Change 2013: The Physical Science Basis. Contribution of Working Group I to the Fifth Assessment Report of the Intergovernmental Panel on Climate Change [Stocker, T.F., D. Qin, G.-K. Plattner, M. Tignor, S.K. Allen, J. Boschung, A. Nauels, Y. Xia, V. Bex and P.M. Midgley (eds.)]. Cambridge University Press, Cambridge, United Kingdom and New York, NY, USA, 1535 pp
  3. IPCC (2018): Global Warming of 1.5°C. An IPCC Special Report on the impacts of global warming of 1.5°C above pre-industrial levels and related global greenhouse gas emission pathways, in the context of strengthening the global response to the threat of climate change, sustainable development, and efforts to eradicate poverty [V. Masson-Delmotte, P. Zhai, H. O. Pörtner, D. Roberts, J. Skea, P.R. Shukla, A. Pirani, W. Moufouma-Okia, C. Péan, R. Pidcock, S. Connors, J. B. R. Matthews, Y. Chen, X. Zhou, M. I. Gomis, E. Lonnoy, T. Maycock, M. Tignor, T. Waterfield (eds.)]
  4. IRENA (2019), Global energy transformation: A roadmap to 2050 (2019 edition), International Renewable Energy Agency, Abu Dhabi
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