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Alessandro Dodaro  © Xenia Rilande
© Xenia Rilande

Sul nucleare l’Italia non ricomincia da zero

di Alessandro Dodaro

L’energia nucleare può svolgere un ruolo complementare a quello delle fonti rinnovabili, garantendo stabilità e costituendo un mezzo importante per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione europei in vista del raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050. In Italia si è riaperto il dibattito sul possibile ritorno al nucleare e, nel mutato contesto, il riconosciuto bagaglio di competenze tecnico-scientifiche e le capacità industriali del settore possono rivelarsi un grande vantaggio consentendoci di non ricominciare da zero.

 

di Alessandro Dodaro, Direttore del Dipartimento Nucleare - ENEA

"L'Italia non ha competenze sul nucleare!" Quante volte abbiamo sentito questa frase? E invece esistono molte realtà, tra aziende private, Università ed enti di ricerca, che portano avanti lo sviluppo della fissione e della fusione nucleare a livelli altissimi, con competenze che tutto il mondo ci invidia.

Siamo in un Paese che ha abbandonato la produzione di energia elettrica da fonte nucleare quasi quarant'anni fa, a seguito di un referendum tenutosi sull'onda emotiva dell'incidente di Chernobyl, nel quale il dibattito sull'energia nucleare è stato riaperto per un breve periodo attorno al 2010 per poi chiuderlo definitivamente dopo un altro referendum a valle dell’incidente di Fukushima.

Si potrebbe pensare, quindi, che la ricerca scientifica e il tessuto industriale non avrebbero avuto alcuna motivazione o interessi sufficienti per continuare a lavorare e investire nel settore nucleare.

Invece, basta analizzare il caso italiano per rendersi conto che nel nostro Paese, paradossalmente, gli enti di ricerca depositari delle competenze tecniche nel settore e le principali industrie che negli anni ‘80 avevano nel nucleare il proprio core business, hanno mantenuto, anche se non con lo stesso impegno precedente, il loro posizionamento in campo internazionale, partecipando alle più importanti iniziative nel settore della ricerca e sviluppo dell'energia nucleare.

L’Italia fra i  Paesi leader nel programma europeo della fusione.

È indubbio che un ruolo molto importante lo abbia svolto il programma di ricerca e sviluppo sulla fusione nucleare: la possibilità di riconvertire il grande patrimonio di competenze e le capacità produttive presenti in Italia in ambito fissione allo studio e sperimentazione di quella che, a detta di tutti gli esperti, sarà una fonte energetica pulita, sostenibile e utilizzabile ovunque nel mondo, si è trasformata in un volano per la nostra comunità scientifica e per le aziende del settore nucleare.

L’Italia è infatti uno dei Paesi leader nel programma europeo della fusione, secondo solo alla Germania nella quota di attività che, tramite il consorzio EUROfusion, EURATOM finanzia per lo sviluppo di tale tecnologia: la compagine italiana, coordinata da ENEA, è costituita da oltre 20 soggetti, sia pubblici che privati, che rappresentano una realtà molto attiva che spazia dai principali enti di ricerca, consorzi e istituti universitari italiani alle aziende del settore, che portano nelle più sfidanti iniziative internazionali in ambito fusione nucleare il Made in Italy. Tanto per citare un numero, nella realizzazione di ITER (il reattore a fusione che dovrà dimostrare sperimentalmente la possibilità di produrre notevoli quantità di energia in eccesso rispetto al consumo) le aziende italiane hanno vinto gare d’appalto internazionali per oltre 2 miliardi di euro, superate solo dalle cugine francesi che, però, hanno l’esclusiva sulle infrastrutture edili.

In Italia, presso il Centro Ricerche ENEA di Frascati, si sta anche realizzando uno degli impianti cardine per la roadmap europea per la fusione: la Divertor Tokamak Test Facility (DTT).

Ideata e progettata da ENEA, che ha anche reperito tutte le risorse economiche necessarie, dovrà risolvere la criticità del componente su cui smaltire il plasma esausto e il calore in eccesso che produrrà un futuro reattore a fusione commerciale. Il divertore di un reattore commerciale, infatti, dovrà sopportare una potenza superficiale di circa 20 MW/mq, uguale a quella che c’è sulla superficie del sole, ed oggi non ci sono configurazioni geometriche e di materiali in grado di resistere a tali carichi. Le campagne sperimentali che impegneranno il DTT nei suoi previsti 25 anni di operazione, assieme a quelle che si terranno presso ITER, forniranno gli input necessari alla comunità fusionistica per realizzare, verso la fine del secolo, il primo reattore a fusione commerciale.

Appare evidente che la fusione potrà essere la risposta alla decarbonizzazione solo nel lungo periodo, cioè quando sarà tecnologicamente matura e i reattori a fusione diventeranno impianti che possano essere gestiti con affidabilità e continuità.

Per affrontare oggi la transizione energetica è estremamente importante puntare a un mix energetico che sia privo di preconcetti e guardi solo alla capacità di produrre energia rispettando l’ambiente: accanto alla sempre maggiore spinta per lo sviluppo delle energie rinnovabili tradizionali, ai processi di efficientamento che riducano gli sprechi e allo sviluppo di sistemi di accumulo necessari per aumentare le capacità e l’efficienza di stoccaggio/recupero dell'energia, è imprescindibile il ricorso a fonti stabili per completare il quadro.

Il ruolo della fissione nucleare

Un approvvigionamento energetico stabile comprende tutti i tipi di produzione energetica sostenibile, e dovrebbe essere caratterizzato da basse emissioni di gas serra, mentre attualmente il nostro Paese si garantisce la quota di energia non rinnovabile importando materie prime fossili (gas naturale e carbone) o energia elettrica diretta.

L’unica reale alternativa ai combustibili fossili e fonte di energia sostenibile è la fissione nucleare: nel 2022 è stata la seconda fonte di produzione di energia elettrica carbon free nel mondo, superata solo dall’idroelettrico, e le proiezioni delle agenzie internazionali descrivono una inversione di tendenza rispetto alla riduzione della produzione energetica da fissione che ha caratterizzato gli ultimi 20 anni.

L’energia nucleare può svolgere un ruolo complementare a quello delle fonti rinnovabili, garantendo stabilità e costituendo un mezzo importante per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione europei in vista del raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050.

Persino in Italia si è riaperto il dibattito sul possibile ritorno al nucleare e, nel mutato contesto, il riconosciuto bagaglio di competenze tecnico-scientifiche e le capacità industriali del settore possono rivelarsi un grande vantaggio consentendoci di non ricominciare da zero.

Tutti i nuovi concetti di reattore a fissione in fase di sviluppo hanno in comune una taglia più piccola rispetto alle centrali nucleari convenzionali (la potenza varia da poche decine a qualche centinaio di MWe), e una particolare attenzione alla progettazione che permetta di realizzare gran parte dei componenti in una fabbrica e poi trasportarli nel sito di costruzione della centrale (modularità):

  • Small Modular Reactors (SMR), che sfruttano la tecnologia dell'attuale flotta LWR (Generazione III o III+) su scala ridotta;
  • Advanced Modular Reactor (AMR), derivati dalle tecnologie di quarta generazione, che utilizzano nuovi sistemi di raffreddamento (es. piombo liquido) o combustibili innovativi per offrire prestazioni migliori e nuove funzionalità (cogenerazione, produzione di idrogeno, gestione più semplice dei rifiuti nucleari).

Se gli SMR sono ormai una tecnologia matura e pronta per il deployment, gli AMR necessitano ancora di ricerche e prototipazioni che li renderanno commercialmente disponibili nel prossimo decennio.

ENEA, Ansaldo Nucleare, newcleo, SIET, per citare solo i principali attori del panorama nazionale (perché assieme a loro ci sono molte altre industrie e università italiane coinvolte) lavorano attivamente nello studio e sviluppo di tecnologie correlate ai SMR e AMR, impegnandosi principalmente nel supporto di progetti internazionali, per collaborare allo sviluppo del nuovo nucleare in Europa e favorirne la diffusione, in prospettiva anche in Italia, con la possibilità di avere i primi reattori tra una decina di anni.

Valorizzare le competenze della filiera industriale italiana

L’obiettivo è valorizzare le “competenze” della filiera industriale italiana nel settore, avviando allo stesso tempo una riflessione sul possibile ruolo del nuovo nucleare nella transizione energetica in Italia.

Qualora si decida di tornare all’uso dell’energia nucleare per produrre energia elettrica (e magari anche per altri scopi civili) l’esperienza maturata in questi progetti potrà essere valorizzata anche sul nostro territorio.

E la sfida per il futuro dell’Italia sarà quella di connettere le migliori energie, le migliori competenze e le forze vive del Paese per capire se c’è la reale prospettiva di una reindustrializzazione del nucleare in Italia. Sia con la tecnologia della fissione sia, in prospettiva, con le dinamiche che potrà mettere in campo l’avveniristica corsa alla fusione.

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