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Editoriale

di Marina Leonardi

La cooperazione allo sviluppo, di cui si occupa questo numero della Rivista Enea, risale al periodo successivo alla decolonizzazione. È, infatti, dopo questo periodo che a livello internazionale le Nazioni colonizzatrici, non solo europee, si rendono conto della necessità di aiutare lo sviluppo di quei Paesi che erano stati sotto la loro dominazione. Questo gruppo di Paesi, presenti in tutti i continenti e molto più numeroso dei Paesi sviluppati, ereditavano in rari casi delle infrastrutture che presto sarebbero diventate obsolete, ma non una strutturazione industriale, agricola, dei servizi, che consentisse loro di intraprendere un cammino indipendente. Era chiaro allora, in particolar modo alle organizzazioni internazionali appartenenti al sistema dell’ONU, la necessità di interventi destinati a favorire il progresso economico e sociale degli Stati meno progrediti.

Le condizioni di molti Paesi ex colonie non erano tali da favorire interventi efficaci sul territorio per diversi motivi. Il primo tra questi, per anni purtroppo anche il più rilevante, era lo stato di guerra che spesso ha coinvolto soprattutto i Paesi africani in conflitti di durata trentennale, alcuni dei quali ancora in essere. Il secondo di tali problemi era la mancanza di democrazia reale che impediva un’adeguata azione delle Agenzie internazionali, basti pensare a situazioni presenti in America Centrale e Sud America. La terza motivazione era l’estrema povertà, che impediva una vera cooperazione allo sviluppo, a favore di più immediati aiuti per la mera sopravvivenza, in territori ad esempio come Haiti.

Eventi tragici come guerre, carestie, calamità naturali richiedono una forma di cooperazione umanitaria d’urgenza e di aiuti alimentari. Anche questo tipo di cooperazione è realizzata prevalentemente dall’ONU, dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, dal Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia e dal Programma alimentare mondiale (PAM), la più grande organizzazione umanitaria tra le agenzie delle Nazioni Unite che lotta contro la fame e ogni anno aiuta circa 80 milioni di persone in 83 Paesi del mondo.

La cooperazione allo sviluppo viene naturalmente promossa anche a livello dell’Unione Europea ed a livello di singoli stati, nella difficile ricerca di una maggiore efficienza negli aiuti, creando i presupposti di quella che oggi viene definita la cooperazione bilaterale, con la quale i singoli paesi sviluppati determinano gli obiettivi e le priorità della loro cooperazione, che diventano parte integrante della politica estera nazionale.

A questo punto entrano in gioco anche i diversi attori nazionali, oltre all’Unione Europea che continua a giocare un ruolo rilevante soprattutto per i finanziamenti. L’insieme dell’Unione Europea e dei suoi Paesi membri costituisce peraltro il maggior donatore a livello mondiale. I Paesi dell’UE si erano impegnati a raggiungere l'obiettivo dello 0,7% del reddito nazionale lordo (RNL) della UE già entro il 2015, nell’ambito di azioni in accordo con l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite, programma d’azione sottoscritto nel settembre 2015 dai Governi dei 193 Paesi membri dell’ONU.

Questa nuova visione della Cooperazione allo Sviluppo dovrebbe mettere la parola fine ai cosiddetti finanziamenti a pioggia degli anni ’80, che non prevedevano alcun controllo sui finanziamenti ai Paesi in Via di Sviluppo (PVS) e che molto spesso facevano sì che quei fondi non fossero destinati davvero allo sviluppo.

Come si legge sul sito del Ministero degli Esteri e della Cooperazione Internazionale:

“La cooperazione allo sviluppo, quale parte integrante della politica estera del nostro Paese, si fonda su due basi prioritarie. La prima è l’esigenza solidaristica di garantire a tutti gli abitanti del pianeta la tutela della vita e della dignità umana. La seconda vede nella cooperazione il metodo per instaurare, migliorare e consolidare le relazioni tra i diversi Paesi e le diverse comunità. Questo scambio tra pari, oltre che far crescere la conoscenza reciproca necessaria a comprendere le reali necessità delle comunità locali destinatarie degli interventi, favorisce relazioni finalizzate a una crescita economica, ma soprattutto sociale e umana, rispettosa dell’ambiente e delle diverse culture e che sappia tutelare i beni comuni come acqua, cibo ed energia, così da assicurare la crescita del benessere delle popolazioni e perseguire la pace tra i popoli. La politica italiana di cooperazione allo sviluppo si propone, inoltre, il perseguimento di questi obiettivi unitamente alla diplomazia economica, culturale e di sicurezza, consolidando il ruolo e l’immagine del nostro Paese nel mondo”.

In questo numero della Rivista si è tenuto conto di tutto ciò e si è cercato, nei limiti delle disponibilità ricevute dagli Autori, di dare voce sia alle Istituzioni che alle Associazioni che hanno un ruolo determinante nel successo delle attività di cooperazione, con la dovuta attenzione alla mission dell’ENEA, che riguarda ovviamente l’energia, l’ambiente e lo sviluppo economico sostenibile. I temi della cooperazione, quindi, sono stati trattati nella libertà di espressione degli Autori partendo dai termini generali della questione ben descritti nell’intervista al Professor Enrico Giovannini, ma anche nella convinzione che una corretta politica di cooperazione allo sviluppo debba dare, da una parte, opportunità a tutti i Paesi coinvolti, ma debba essere anche utile ad alleviare, se non a risolvere, le sofferenze dei più poveri e bisognosi.

A questo dibattito, sviluppato nella sezione Focus, abbiamo affiancato nella rubrica Punto & Contropunto, un interessante punto di vista che riguarda “Quelli che se ne vanno”. Nell’intervista al Professor Enrico Pugliese si analizza il fenomeno, ormai molto rilevante ma di cui si parla poco, della crescente emigrazione di italiani verso altri Paesi europei ed extraeuropei.

In questo numero, inoltre, è stato inserito uno Spazio Aperto di particolare interesse che comprende due articoli che trattano di indicatori, tema oggi molto discusso, sia a livello europeo che a livello regionale. Oltre questi due articoli abbiamo, sempre in Spazio Aperto, due interessanti interventi che riguardano il ruolo della cultura italiana all’estero e le attività ENEA in tema di Scuola Lavoro.

Al tema generale della sostenibilità si lega invece il consueto appuntamento di “Cosa succede in città” nel quale Bruna Felici affronta un tema caldissimo in tutte le grandi città: la gestione dell’acqua.

Vorrei in ultimo citare Andrea Fidanza, del Comitato Tecnico Scientifico della Rivista, Agostino Letardi, Marina Penna e Maria Tedei, tutti dell’ENEA, che hanno reso possibile la realizzazione del numero fornendo indicazioni, contattando gli Autori, cosa non facile in questo mondo in perpetuo movimento, e revisionando i testi.

 

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