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L’Europa sta già raccogliendo benefici dalla ricerca sulla fusione

Intervista a Elena Righi-Steele

L’Europa ha conquistato una forte leadership nel settore della fusione e sta già raccogliendone i  benefici in termini di innovazione, know how tecnico-scientifico, nascita di nuovi settori industriali e di figure professionali altamente specializzate. E  per un futuro non lontano, con la realizzazione di ITER e la prospettiva di DEMO,  la aspettano “momenti straordinari”. È quanto afferma una delle principali protagoniste europee della ricerca sulla fusione, Elena Righi-Steele, Responsabile dell’Unità Ricerca Euratom nella  Direzione generale Ricerca e Innovazione della Commissione UE

Nel panorama della ricerca sulla fusione,  un posto di rilievo è occupato da Elena Righi-Steele, ricercatrice italiana molto stimata per la sua capacità di ‘collegare’  studi teorici e test operativi, è attualmente la Responsabile dell’Unità Ricerca Euratom nella Direzione generale Ricerca e Innovazione della Commissione UE. Un esempio di successo della ricerca europea, la comunità Euratom sulla fusione, può diventare un modello per tutto il settore anche in vista dell’imminente avvio del Programma Quadro Horizon Europe?

La comunità scientifica della fusione, con la creazione di EUROfusion, ha dimostrato come un intero settore della ricerca europea può unire le forze verso un unico obiettivo: produrre energia e immetterla in rete, percorrendo, insieme ad Euratom, la roadmap delineata. Mentre un numero crescente di progetti europei viene gestito da agenzie esecutive, il programma Euratom sulla fusione ha evidenziato che esiste una modalità diversa, in cui è la ‘comunità’ nel suo insieme ad assumersi la responsabilità di raggiungere il traguardo prefissato: questa capacità di unire programmazione e co-finanziamenti è divenuta un paradigma da seguire all’interno e all’esterno di Euratom.

Quali sono stati i risultati più importanti ottenuti in questi ultimi anni

L’elenco dei risultati e degli obiettivi raggiunti è lungo; fra questi vorrei evidenziare, in particolare, la capacità di passare, dall’oggi al domani, da contratti di associazione individuali a un’unica grande partnership, imparando a gestirla a livello operativo senza per questo cessare la produzione di risultati scientifici. Da questo  punto di vista, ritengo che EUROfusion sia riuscito a dimostrare le proprie capacità in molte aree della roadmap verso la fusione grazie anche a scelte innovative come la decisione – insieme a Fusion for Energy – di passare da un sistema di raffreddamento del breeding blanket1 a elio, a un sistema ad acqua, allineando così le attività del Test Blanket Module per ITER alla strategia di R&S per DEMO. È stata una scelta coraggiosa che ha consentito all’Europa di mantenere una leadership mondiale in quest’area strategica. Un altro esempio è DONES (Demo Oriented NEutron Source), un’infrastruttura essenziale per qualificare e testare i materiali dei reattori a fusione che ha confermato la capacità della comunità europea della fusione di sviluppare nuove iniziative nel pieno rispetto del Programma Broader Approach e dell’eccellente rapporto con il Giappone. L’IFMIF LIPAc2 è in funzione e fornirà risultati fondamentali nei prossimi anni; nel frattempo, gli Stati membri hanno accantonato le divergenze e unito le forze per inserire DONES nella roadmap delle infrastrutture di ricerca di rilevanza europea. Stanno inoltre gettando le basi affinché DONES possa essere realizzato in Europa.  

Il percorso per completare la roadmap sembra ancora molto lungo e complesso, con numerosi passaggi fra i quali la realizzazione di ITER…

I risultati raggiunti sino ad oggi hanno consentito di gettare buone e solide fondamenta per il futuro. La comunità europea della fusione deve proseguire e consolidare il supporto a ITER che rappresenta un vero e proprio obiettivo intermedio nel percorso verso DEMO: ITER sarà un successo e ha bisogno dell’impegno di tutti. L’Europa è e rimarrà “l’azionista di maggioranza” di questa impresa: abbiamo le risorse, le capacità intellettuali e la creatività per essere leader anche nella fase operativa di ITER. Da questo progetto stiamo già imparando molto e tutto ciò deve diventare parte integrante del lavoro preparatorio per DEMO: per garantire la realizzazione della roadmap nei tempi previsti, dobbiamo rafforzare e concentrare la R&S e la progettazione per DEMO in modo organico e coordinato, per quanto possibile, e dobbiamo riuscire a lavorare di più con l’industria di settore e gli enti normativi. Tra i risultati positivi vorrei citare anche la Neutral Beam Test Facility a Padova, con i suoi banchi di prova SPIDER e MITICA: ci aspettano momenti straordinari!

Come dovrà essere, a suo giudizio, la progettazione di DEMO?

Una “provocazione” che vorrei fare, anche rischiando un’eccessiva semplificazione, è che se vogliamo garantire la fattibilità a livello industriale, la progettazione di DEMO dovrà prevedere sin dall’inizio caratteristiche di standardizzazione e semplificazione. Perché per il prototipo di un reattore a fusione non vanno bene soluzioni complesse e che non si possano gestire con facilità. E questa è senza dubbio una sfida. Alla fine del prossimo Programma Quadro vorrei che il DEMO Project Office presentasse un progetto di pre-fattibilità di DEMO per la prima revisione.

Intravede criticità?

Un aspetto che a mio avviso diventerà critico nei prossimi anni è la protezione della proprietà intellettuale: per definizione, la collaborazione scientifica è aperta e le soluzioni nascono in un ambiente creativo, stimolante e collaborativo. Tuttavia, non dobbiamo dimenticare che la roadmap è solo un mezzo per arrivare alla realizzazione di una centrale a fusione per la produzione commerciale di elettricità. La comunità della fusione deve valutare accuratamente come bilanciare il dibattito scientifico con la tutela dei propri interessi.

È soddisfatta dell’attuale collaborazione internazionale o ritiene che Euratom debba essere più ambiziosa e proattiva in vista delle sfide dei prossimi anni?

La forza degli accordi Euratom è di essere una cornice di riferimento stabile per identificare le aree di interesse comune fra i principali partner internazionali, anche se i singoli Stati membri possono stipulare, e di fatto stipulano, accordi bilaterali in differenti aree di S&T. Tuttavia, per quanto riguarda la collaborazione internazionale, dovremmo delineare una strategia e iniziare a chiederci “in che modo i nostri partner possono contribuire alla roadmap?”, confrontandoci con occhi ben aperti, sapendo sin dall’inizio ciò che vogliamo, negoziarlo e ottenere una soluzione reciprocamente vantaggiosa.

A suo avviso, quale ruolo avrà DTT nel raggiungimento della roadmap europea?

Una delle maggiori sfide per DEMO è la gestione del calore residuo e il DTT avrà un ruolo chiave in questa direzione, per testare i materiali esposti al plasma, vari tipi di divertori e arrivare a una soluzione integrata. Come responsabile dell’Unità di ricerca sulla fusione di Euratom, voglio sottolineare l’importanza di realizzare questa facility nei tempi e con i finanziamenti previsti, perché in un momento in cui l’approvazione del budget per ITER per i prossimi sette anni è ancora sul tavolo del Consiglio e mentre sta per iniziare il prossimo Programma Quadro di Ricerca, il fallimento non è un’opzione. La comunità della fusione deve dimostrare – nel suo insieme e a livello dei singoli Stati – di aver appreso le ‘lezioni’ ITER e che la diligenza e le best practice sono ora una norma.  D’altra parte, come italiana sono molto contenta che sia l’ENEA a realizzare questa struttura strategica per il completamento della roadmap sulla fusione. L’Italia ha saputo dare un valido contributo all’impegno europeo in questo campo, sostenendo ITER, ampliando la propria quota di partecipazione e impegnandosi a fondo nella sua realizzazione. Seguirò i progressi del DTT con grande interesse e sono impaziente di vedere il primo plasma e i suoi risultati.

Un vecchio detto recita “l’energia da fusione è l’energia del futuro e lo sarà sempre”. Battuta a parte, alcuni ritengono che l’elettricità da fusione a confinamento magnetico potrebbe essere la soluzione per tutto ma non contribuirà significativamente alla fornitura di energia almeno fino alla seconda metà del secolo. Qual è la sua opinione?

Beh, se vogliamo continuare a scherzare, direi che oramai alla fusione mancano solo 30 anni, non 50, visto che ITER diventerà operativo nel 2035 e che la progettazione di DEMO avverrà sulla base dei suoi risultati. Al di là delle battute, dobbiamo essere molto onesti e spiegare con semplicità agli esponenti politici e ai cittadini che abbiamo un piano e sappiamo come realizzarlo, ma che vi sono difficoltà oggettive, perché molto spesso dobbiamo costruire gli strumenti necessari per risolverle, allungando i tempi.  Dobbiamo riuscire a spiegare perché è così complicato e impegnativo sviluppare la fusione come fonte di energia, una vera e propria sfida titanica. Quando dico che il nucleo del sole è a 15 milioni di gradi centigradi, mentre il nucleo di un reattore a fusione è a 150 milioni di gradi, la difficoltà della sfida comincia a essere compresa.

La fusione potrà a suo giudizio contribuire al raggiungimento degli obiettivi europei per contrastare il cambiamento climatico?

L’energia da fusione non potrà dare un contributo in questa direzione entro il 2050, ma è senz’altro un pilastro della strategia a più lungo termine per poter produrre energia elettrica sostenibile, senza emissioni di CO2. Inoltre, l’assenza di scorie radioattive da smaltire e la sicurezza intrinseca delle centrali a fusione consentiranno di realizzarle dove più sono necessarie, ad esempio per servire grandi città o zone industriali. Nel frattempo, occorre evidenziare ai cittadini e ai rappresentanti politici che l’Europa sta già raccogliendo benefici dalla ricerca sulla fusione, in termini di sviluppo di nuovi e innovativi settori industriali, di know-how e di figure professionali altamente specializzate.

  1. È la copertura interna del ‘contenitore’ del reattore che deve essere in grado di sopportare un intenso flusso di neutroni oltre a temperature estremamente elevate; nelle sperimentazioni per il raffreddamento, si è deciso di sostituire l’Helium Cooled Lithium Lead Test Blanket Module con il Water Cooled Lithium Lead Test Blanket Module
  2. Struttura prevista dal Broader Approach
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