Copertina della rivista
Giorgio Pacifici

Ragazzi, non abbiate timore di essere controcorrente

Intervista a Giorgio Pacifici

DOI 10.12910/EAI2021-044

Ai ragazzi va insegnato ad avere fiducia in sé stessi, a valorizzare la loro personalità e il rapporto con gli altri, ad amare il mondo e l’esistenza. Se quando si è giovani si riescono a capire a fondo le problematiche dell’ambiente, se si ha una grande sensibilità in questo senso, bisogna poi mantenerla. Cosa che spesso non avviene. Anzi, a volte per convenzionalità, per uniformarsi agli altri, si chiudono gli occhi, si abbassa la testa. E questo non va bene, non bisogna avere paura di essere controcorrente.

Giornalista professionista, autore, documentarista, caposervizio del TG2 RAI, Giorgio Pacifici ha una conoscenza approfondita dei temi della scienza, della ricerca, dell’innovazione, dell’ambiente e clima sui quali si è specializzato. In oltre venti anni di televisione pubblica ha realizzato servizi, documentari e reportage da tutto il mondo, con riconoscimenti a livello nazionale e internazionale. L’attenzione ai giovani è nel suo DNA, da quando negli anni ’80 è stato Direttore dei periodici Il Monello e Cioè e autore di BigNews, notiziario per ragazzi che nel 1989 ha anche vinto un Telegatto. Per questo abbiamo scelto di intervistarlo e di chiedergli da che cosa nasce questa passione per la divulgazione al target ‘giovani’ che spesso richiede canali di comunicazione e lo sforzo di linguaggi ad hoc?

Nasce da un’esperienza personale. Sono cresciuto a metà degli anni '70, in un quartiere adiacente alla stazione Termini, fra il centro storico di Roma e situazioni di degrado. Non c’era molto per noi adolescenti e quel che c’era, era spesso connotato da conflitti o da poca cura. Questo mi ha spinto ulteriormente a sentire emotivamente in maniera molto forte sogni e bisogni dell’età giovanile. Avrei voluto cambiare io il mondo per renderlo più abitabile, per me e per i miei amici e, crescendo, mi sono affacciato alle riviste dedicate ai giovani, con successo. Ho scritto il primo articolo a 17 anni e mezzo per una rivista musical e poi ho continuato sull’onda del boom dei periodici per giovani degli anni '80, del quale sono diventato uno dei protagonisti, con la direzione di best seller come il settimanale “Cioè” e “Il Monello”, a Roma e Milano. Da lì, sono diventato autore per RAI1 di programmi per ragazzi. Crescendo, mi sono dedicato a tematiche più appropriate all’età, quali la ricerca, il futuro e la scienza.

Nell’ambito dell’esperienza di giornalista e divulgatore quali sono i passi da compiere per avvicinare i giovani alla sostenibilità e quali gli errori da evitare?

Io direi di conservare sempre e comunque l’umiltà e la voglia di imparare, sempre.  Poi, in ogni caso partire da obiettivi raggiungibili e farsi una scaletta delle cose da fare. E poi, è importante agire con semplicità e avere sempre come riferimento le regole di base del giornalismo, “chi, come, che cosa, dove e quando”, da ricercare per ogni situazione. E non tralasciare nessuna strada per raggiungere le persone da intervistare. Non servono gli amici degli amici. Come nel film “Sei gradi di separazione”, con sei contatti giusti puoi giungere a chiunque sul pianeta terra; basta ragionare e partire dal primo contatto.

Un recente sondaggio dell’Unicef rivela che la maggior parte dei ragazzi trai 15 e i 19 anni è convinta che sia possibile fare ancora qualche cosa di importante per garantire un futuro più ecosostenibile al pianeta e ai suoi abitanti. Di che risposte e di quali proposte hanno bisogno?

Tutto può cambiare, ma il cambiamento deve passare per l’individuo. Bisogna seguire sempre un’etica assoluta che tuteli se stessi, ma anche tutti gli altri, con norme chiare e regole semplici. Il segreto è non derogare sulle cose da fare, in casa propria e fuori: all’ecosostenibilità non si può applicare la tolleranza. Non si può difendere il pianeta e allo stesso tempo usare sempre la plastica. Così come bisogna ridurre tutto ciò che è nocivo. Bisogna, insomma, avere una coscienza ecologista per il bene di tutti, sempre.

Nel 2015 iniziano le prime proteste di alunni e studenti che decidono di non frequentare le lezioni scolastiche per chiedere azioni contro il cambiamento climatico; successivamente, nel 2018, nasce Friday For Future, vero e proprio movimento ambientalista internazionale delle nuove generazioni. Quali sono le sfide e le opportunità che i giovani si trovano davanti oggi? 

La sfida primaria è non cambiare quando si cresce: se quando si è giovani, si riesce a capire a fondo le problematiche legate all’ambiente, se si ha una grande sensibilità in questo senso, bisogna poi mantenerla per sempre. Cosa che spesso non avviene. Anzi, a volte per convenzionalità, per uniformarsi agli altri, si chiudono gli occhi, si abbassa la testa. E questo non va bene. La prima cosa è, quindi, non avere timore di essere controcorrente: fare la raccolta differenziata anche se sei l’unico a farla, creare gruppi di amici e amiche pronti a fare qualcosa di concreto, anche agire facendo pulizia di spiagge o cose del genere. Scrivere, vedere, leggere, denunciare.

Che cosa si può fare per favorire una corretta informazione scientifica a fronte del crescente rischio di fake news e disinformazione? E che ruolo possono avere scienza e ricerca in questo contesto? Io direi di partire dall’inizio di tutto: studiare le vite e le opere dei grandi scienziati e ricercatori da Galileo in poi, acquisire il metodo scientifico quasi come una proprietà individuale naturale, usare la logica come un grande strumento della mente, ma al tempo stesso non esserne schiavi e sviluppare anche l’intuito, straordinaria forza a nostra disposizione. Le biografie dei grandi ci insegnano che nelle scoperte c’è sempre un misto di studio, di progetto ma anche di caso. Darwin per creare la sua teoria andava a camminare in un bosco pieno di sentieri, a ogni sentiero dava un nome e lo collegava a un’idea. Ognuno ha il proprio metodo e poi, fondamentale, è l’approccio alle fonti: quando si vede una notizia, chiedersi da dove proviene, trovare e reperire la fonte, vagliarla, confrontarla.

Di recente il Ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi ha presentato “RiGenerazione Scuola”, un Piano per la transizione ecologica e culturale delle scuole nell’ambito dell’Agenda 2030, fondato su quattro pilastri: la rigenerazione dei saperi, delle infrastrutture, dei comportamenti e delle opportunità. Che cosa ne pensa? Penso che vada sostenuto ogni sforzo di aggiornare la scuola all’attualità di una società in transizione, da qualsiasi parte provenga. Non conosco a fondo il piano, mi impegnerò ad approfondirlo, ma mi sembra una buona idea di partenza. Il fatto di agganciarla all’Agenda 2030 lo rende molto interessante ma a questo va seguito anche un progetto - che forse in esso è già contenuto, non so - per portare gli studenti fuori dalle aule, a conoscere l’habitat naturale, a vivere e convivere con esso. Viviamo spesso troppo di concetti e non entriamo nei fatti e questo riguarda anche il nostro rapporto con la natura.

Cambiamenti climatici, incertezza sul futuro, disoccupazione ed abbandono scolastico: secondo l'Istat sono i giovani ad aver pagato il prezzo più alto di questa pandemia dal punto di vista sociale, culturale ed economico. Che cosa si può fare? 

Bisogna ripartire dalla grande considerazione individuale di ogni studente, di ogni giovane. Ogni persona è un mondo da esplorare e da tenere sempre in considerazione. E, come si dice, ognuno di noi, però, non è un’isola o se lo è fa parte di un gigantesco arcipelago. Tutto è in connessione e l’avvento del digitale ce lo ha dimostrato ancora di più. Ai ragazzi va insegnato ad avere fiducia in sé stessi, a valorizzare la loro personalità e il rapporto con gli altri, ad amare il mondo e l’esistenza. Nella scuola, per quanto ne so, c’è ancora troppo nozionismo, troppe informazioni non sempre necessarie e poca attenzione alle persone. Ma tutto può sempre migliorare. Basta volerlo.

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