Copertina della rivista
Alberto Bombassei

Meno rigidità e più sburocratizzazione per vincere la sfida dell’innovazione

Intervista con Alberto Bombassei, Imprenditore, Presidente emerito Brembo

Alberto Bombassei è uno dei più noti imprenditori italiani molto conosciuto anche per la sua volontà di innovare. Non a caso è stato lui a dar vita a Kilometro Rosso vera cittadella dell’innovazione made in Italy. Ed è per questo che gli abbiamo chiesto di evidenziare quali sono a suo giudizio le maggiori criticità per un’impresa che voglia fare trasferimento tecnologico oggi in italia, ovvero, quali sono le maggiori criticità del sistema innovazione in Italia?

Ce ne sono molte, e spesso molto radicate. La complessità e la lentezza del sistema amministrativo, ad ogni livello, è forse il grande problema che condiziona trasversalmente molti aspetti dell’attività delle imprese che operano in Italia. E se pensiamo che, dopo il piano Marshall nell’immediato dopo guerra, il PNNR, la più grande quantità di risorse di cui potremmo disporre nella storia repubblicana, rischia di non essere spesa integralmente anche per questa ragione, è subito evidente quanto sia radicato e cronico il problema. Ricordo che rispetto ai paesi più accoglienti nei confronti delle aziende innovative, il nostro paese si posiziona solo al ventottesimo posto su 50 nazioni ad economia sviluppata.

Da dove emerge questo dato?

Dal Global Innovation Index 2022, che analizza la propensione all’innovazione dei Paesi ed è costruito su 81 indicatori, raggruppati in sette categorie. Ci precedono, e largamente, tutti i grandi paesi industriali con cui competiamo quotidianamente. Ed è ovvio che questi dati sono pesantemente condizionati dall’endemica rigidità del nostro sistema amministrativo. Ma questa limitata vocazione nazionale all’innovazione non è solo responsabilità “ambientale”. Non di rado anche la cultura di molte aziende tende alla conservazione delle tradizioni e al mantenimento dello status quo piuttosto che all'innovazione e all'assunzione di rischi. Questo può ostacolare l'adozione di nuove idee, processi e tecnologie all'interno delle grandi e piccole imprese.

Vi sono altre criticità?

Nelle attitudini di molte imprese italiane si nasconde un altro limite che danneggia il nostro sistema economico e soprattutto la diffusione della cultura dell’innovazione. Penso alla ritrosia di molte aziende innovative, così come di alcune università e centri di ricerca, nel mettere a fattor comune parte delle loro conoscenze. La difficoltà ad accettare il confronto su un terreno di comune collaborazione limita fortemente l'effetto moltiplicatore dell'innovazione tra imprese, grandi o piccole che siano. E se le imprese non condividono conoscenze, competenze e risorse, si perde l’opportunità di attivare quelle sinergie che accelerano il processo di innovazione e trasferimento tecnologico, a svantaggio di tutti.

Quale è la sua ricetta per l’innovazione?

Non si tratta di una ricetta, ma del tentativo di superare quest’ultimo problema. Il Kilometro Rosso, che spero in molti conoscano, è un parco scientifico e tecnologico che ho immaginato e voluto nella mia città, a Bergamo. È uno dei principali centri di ricerca e innovazione del paese, a capitale privato. Il suo ruolo nel sistema dell’innovazione italiano è garantire un ambiente propizio alla collaborazione tra imprese, università e istituti di ricerca al fine di promuovere lo sviluppo tecnologico e l’innovazione.

Il Kilometro Rosso ospita circa 80 tra aziende, istituzioni accademiche e centri di ricerca, attivi in vari settori, tra cui l'ingegneria, le scienze della vita, l'energia, l'ambiente. Ho voluto far nascere un ecosistema innovativo che facilita l'interazione tra diversi attori del mondo accademico e industriale. Lo scambio di conoscenze, competenze e anche risorse è la mia ricetta per praticare fattivamente l’innovazione. Al Kilometro Rosso proviamo, e con un qualche successo, a metterla in pratica.

Quali sono i settori più promettenti per investimenti in innovazione in un prossimo futuro? E in quali abbiamo i maggiori ritardi?

Mi pare che grandi sfide del nostro tempo si giochino sulle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, dove big data e intelligenza artificiale giocano un ruolo centrale. Ma sicuramente anche sulle scienze della vita e sull’energia rinnovabile e sostenibile. Sfide che a mio giudizio si vincono soprattutto attraverso la qualità e la quantità degli investimenti e la chiarezza degli obiettivi. Non è un segreto che l’Italia ha forti difficoltà a esprimere politiche industriali con chiare direzioni di sviluppo. E parallelamente fatica a destinare risorse quantitativamente in linea con i grandi paesi industriali e spesso quelle disponibili vengono disperse finanziando troppi soggetti.

Per quanto mi riguarda invece, ho deciso di sostenere i molti ed eccellenti progetti italiani impegnati nella robotica. Insieme ad altri importanti imprenditori della provincia di Bergamo, a CDP Venture Capital e ad altri investitori, abbiamo dato vita a un fondo – Cysero - che valorizza eccellenze tecnologiche italiane in un settore con grandi prospettive di crescita. Ci concentriamo su aziende che hanno sviluppato prodotti fortemente competitivi che hanno spesso necessità di supporto sia finanziario sia organizzativo e relazionale. Sono eccellenze italiane che rappresentano il meglio della nostra capacità di innovare ma che rischieremmo di perdere senza un adeguato sostegno.

In quali altri settori rischiamo di disperdere leadership tecnologica?

I rischi di disperdere leadership tecnologica li corriamo anche in settori ben più maturi e consolidati. Cito il paradosso che la politica comunitaria ha generato nel mio settore quello dell’auto e della mobilità. A livello industriale è il settore che raccoglie, ancor oggi, i maggiori investimenti in R&D. L’automotive italiana ed europea è da sempre impegnata nella industrializzazione di tecnologie avanzate per migliorare l'efficienza dei veicoli, ridurre le emissioni, sviluppare la guida autonoma. Una ricerca che in Italia è garantita, per la parte prevalente, dai produttori di componenti, che ricoprono un ruolo importante nella catena del valore dei grandi carmakers europei e mondiali. Ma è un ruolo che le politiche europee di decarbonizzazione della mobilità leggera mettono oggettivamente a rischio a causa del privilegio che la normativa garantisce ai veicoli elettrici.

L'Unione Europea sta incentivando l'adozione dei veicoli elettrici attraverso normative e programmi di sostegno finanziario.

E’ così. Perché vengono offerti ingenti incentivi fiscali, importanti sussidi all'acquisto e agevolazioni per l'installazione di infrastrutture di ricarica per favorire la transizione verso i veicoli elettrici a emissioni zero. Disincentivando così la ricerca su tecnologie, vedi per esempio quella sul motore a scoppio “pulito”, in cui l’Europa e l’Italia hanno un oggettivo vantaggio nella competizione internazionale. L’UE si è condannata a privilegiare una tecnologia in cui l’industria europea è in difficoltà se non dal punto di vista delle competenze certamente sul fronte delle materie prime. Siamo sicuri che i monumentali investimenti nelle gigafactory in costruzione nei confini europei riusciranno ad essere ammortizzati? Siamo certi che la tecnologia per produrre batterie al litio non invecchi nell’arco di un lustro o di un decennio e che le risorse che ci stiamo investendo non potessero essere indirizzate su una strada che privilegiasse le conoscenze in cui il nostro continente vanta una leadership indiscussa?

Quali sono gli esempi virtuosi che possiamo ricavare da player della ricerca e innovazione a livello internazionale che potremmo adottare anche in Italia?

Da imprenditore mi concentro sull’importanza del trasferimento tecnologico per alimentare il circuito dell’innovazione nel mondo dell’impresa. È facile indicare la Fraunhofer come l’organizzazione che, almeno in Europa, rappresenta il riferimento nello sviluppo della ricerca applicata. La stretta collaborazione con l’industria, la qualità delle infrastrutture e delle competenze, l’interdisciplinarità, le collaborazioni internazionali ne fanno il modello d’eccellenza in Europa. Ed è oggettivamente un elemento di forza non certo trascurabile per la manifattura tedesca.

Vede qualche segnale positivo?

La “cucina” va fatta con gli ingredienti che la cultura e le istituzioni del Paese offrono e che oggettivamente stanno progressivamente trovando una loro strada, pur nelle contraddizioni e nei limiti che ancora si manifestano. La cultura dell’innovazione cresce nelle nostre imprese così come la collaborazione tra ricerca e industria comincia a raggiungere risultati significativi. I finanziamenti pubblici pur rimanendo percentualmente inferiori a quelli dei grandi paesi industriali in Europa seguono soltanto - in termini quantitativi - quelli di Germania e Francia. È giusto anche registrare qualche sforzo di sburocratizzazione del sistema.

Insomma, a suo giudizio, il deficit di infrastrutture adeguate e di reti di supporto che limita il trasferimento tecnologico in Italia si sta lentamente riducendo.

Si è così. Anche l’attività dei 30 parchi scientifici e dei 70 incubatori d'impresa censiti in Italia comincia a offrire opportunità per le startup e le imprese emergenti che vogliono sviluppare e commercializzare nuove tecnologie.

E va in questa direzione lo stanziamento di 350 milioni stanziati dal PNRR per il finanziamento del trasferimento tecnologico. Giustamente, 260 milioni sono destinati ai Digital Innovation Hub e ai Competence Center. Mi stupisce invece che, almeno per ora, non ci siano risorse destinate a parchi e incubatori. Sono realtà che hanno dimostrato la propria efficacia nell’accompagnamento delle startup sul mercato e che sarebbe opportuno non trascurare. Concentrare le risorse è importante. Ma è altrettanto opportuno destinarle a chi ha ottenuto risultati e senza disperderle tra troppi soggetti, mi pare sia la scelta più utile.

Quale è l’importanza del binomio formazione-innovazione?

È certamente centrale, non c’è dubbio. E come accennavo, gli snodi dell’ecosistema dell’innovazione nazionale sono di qualità. Il sistema educativo, con in primo piano la formazione universitaria, sta crescendo anche a livello di reputazione internazionale. Così come a livello istituzionale, CNR ed ENEA hanno un ruolo crescente nella promozione della ricerca scientifica e dell'innovazione tecnologica nel paese. Un aspetto che mi pare critico è invece la mancanza di sufficienti competenze manageriali specifiche per alimentare e promuovere l’innovazione. La gestione efficace dei processi di trasferimento tecnologico richiede competenze peculiari nella valutazione del mercato, nella negoziazione di accordi di licenza e nella gestione dei progetti di sviluppo tecnologico.

Come superare questo limite?

Per superare questo limite potremmo mettere a punto soggetti che valorizzino e utilizzino le competenze di manager in possesso di queste qualità, selezionati anche tra coloro che non sono più nel pieno della loro attività.

Negli incubatori di Berkeley, di Columbia e del MIT vengono reclutati tutor con almeno dieci anni di esperienza manageriale nelle imprese offrendo loro contratti competitivi con il mercato.
Questi potrebbero essere attivi nel sistema universitario o, più facilmente, nei parchi e negli incubatori pubblici e privati. Da imprenditore sento forte l’esigenza della messa a terra delle competenze. Disporre di risorse per utilizzare chi ha già fatto innovazione, chi ha esperienza diretta, mi pare la miglior sintesi tra formazione e innovazione.

È poi fondamentale che la formazione universitaria si adegui con tempestività alle nuove necessità del mercato dell’innovazione. E se è certamente vero che in moltissimi settori - e cito la sanità, la robotica, le energie rinnovabili, i trasporti - l’intelligenza artificiale sta guidando i percorsi di R&D, i grandi atenei italiani non possono farsi trovare impreparati. Proverò a dare il mio contributo proponendo all’Università di Bergamo di progettare un master in intelligenza artificiale all’interno del corso di laurea in ingegneria informatica. Un imprenditore ha il dovere di provare a far accadere le cose, la mia collaborazione e quella del Kilometro Rosso sono garantite.

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