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Francesco Profumo

Progetti green e nuovi strumenti finanziari per rafforzare l'innovazione

Intervista con Francesco Profumo, Presidente Compagnia di San Paolo

La Compagnia di San Paolo è una delle più antiche fondazioni di origine bancaria in Europa, nata nel 1563 con finalità filantropiche per favorire lo sviluppo culturale, civile ed economico. Il sostegno all’innovazione è una delle attività strategiche che ne caratterizzano l’operato ed è per questo che abbiamo intervistato il suo Presidente, ‘Francesco Profumo, già Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca del Governo Monti. A lui abbiamo chiesto quali sono a suo giudizio le maggiori criticità per chi vuole fare innovazione oggi in Italia, in particolare dal punto di vista di un investitore?

In primis, direi che nel nostro paese vi è un investment gap arduo da colmare. A dircelo sono i numeri di EY sull’investimento Venture Capital pro capite: in Italia, nel 2022, questo valore si è attestato su 35 € mentre i leader europei – come Francia (149 €) e Germania (153 €) – si trovano a distanze siderali. Se osserviamo gli andamenti degli investimenti Venture Capital effettuati annualmente a livello nazionale, essi fotografano un ritardo del nostro paese di 5-7 anni rispetto alle altre principali economie continentali, tra cui Francia e Germania, ma anche Spagna e Svezia. Non a caso, in controtendenza con i restanti paesi dello scacchiere europeo, in cui si è registrata nell’ultimo anno una generale stagnazione nel comparto Venture Capital, l’Italia nel 2022 ha continuato a crescere, comportandosi alla stregua di un “paese emergente” che parte da più lontano.

Da dove nasce questo gap?

Dietro a questa lacuna vi è sicuramente un problema di raccolta. Secondo l'Italian Tech Alliance, dal 2013 ad oggi gli operatori del Venture Capital italiano hanno ottenuto dai Limited Partner 2.372 B€. Circa il 50% di questi capitali proviene da fondi sovrani, tra cui spiccano CDP Venture Capital SGR e European Investment Fund. Gli investitori istituzionali – come le casse di previdenza professionali, le compagnie assicurative e anche le fondazioni – sono la categoria meno presente (14,9%), con un totale impegnato molto inferiore rispetto alle aspettative, al loro potenziale di investimento e a quanto si verifica in altri paesi europei.

In questo contesto, quanto conta il capitale umano?

Se il capitale finanziario è importante per l’innovazione, lo è ancor di più il capitale umano. Anche da questo punto di vista, l’Italia presenta una debolezza strutturale, ormai endemica. Da un lato, l’esiguità delle risorse destinate all’istruzione (pari a solo il 4,1% del PIL) colloca l’Italia al penultimo posto tra i paesi europei per numero di cittadini nella fascia 25-34 anni che hanno completato un livello di istruzione terziario. Su un binario parallelo si colloca l’ormai cronico brain drain. In altre parole, abbiamo un problema con la “bilancia dei talenti”.

Che cosa significa?

Secondo la Commissione Europea, l’Italia si posiziona tra gli Stati Membri con il peggior disequilibrio nella circolazione di ricercatori, con un divario che si acuisce di anno in anno. Il rapporto tra i ricercatori di nazionalità italiana che lasciano l’Italia e i ricercatori stranieri che si trasferiscono in Italia è 51,4x; per confronto, in Germania il rapporto è 1,3x mentre in Francia si manifesta un brain gain con un rapporto di 0.5x. È indubbio che, sotteso a questo fenomeno, ci sia un coacervo di concause, ma io vorrei citarne una sola di esse che rappresenta sicuramente uno stimolo per le nostre riflessioni: l'Italia è l'unico Paese OCSE in cui i salari sono diminuiti negli ultimi trent'anni (1990-2020). Questo segno negativo relega il nostro paese al triste ruolo di “maglia nera”, in controtendenza rispetto ai principali paesi del “vecchio continente”, tra cui citerei a titolo esemplificativo Germania (+33,7%) e Francia (+31,1%). A completare il quadro, aggiungerei un grande potenziale sottoutilizzato: la pubblica amministrazione.

In che senso?

Di fronte ad una regolamentazione complessa e ad una burocrazia spesso inestricabile, diviene sempre più pressante per la pubblica amministrazione pensare in maniera innovation-friendly e ciò, possiamo dirlo, non è ancora divenuto mainstream. Considerando la pubblica amministrazione come ente regolatore, sarebbe importante prevedere ambienti di prova sandbox nei quali le aziende, soprattutto startup tecnologiche collocate sulla frontiera dell’innovazione, siano ammesse ad operare in un regime sperimentale e controllato sotto la supervisione delle autorità competenti. L’attore pubblico, come sappiamo, non agisce solo da ente regolatore ma anche da acquirente di lavori, beni e servizi. In tale prospettiva, le pubbliche amministrazioni dovrebbero ancor più far leva sul loro status di “grande acquirente” – ad oggi, in Europa il giro d’affari del procurement pubblico è pari a oltre il 13% del PIL continentale – per trasformare le scelte di approvvigionamento in vere e proprie azioni di policy. Ciò sarebbe prezioso non solo per dare un impulso alla domanda di innovazione domestica, ma anche per contribuire a definire standard di mercato nonché buone pratiche di riferimento per appalti pre-commerciali ed altre forme di procurement connesse all’innovazione.

Quali sono le best practice internazionali che potrebbero essere una guida per il contesto italiano?

Reputo che, tra le buone pratiche internazionali in tema di innovazione, il “faro” sia European Innovation Council (EIC), principale novità introdotta dal programma quadro Horizon Europe, che ho avuto il piacere di osservare da molto vicino negli ultimi due anni. EIC è stato concepito per supportare innovazioni tecnologiche breakthrough capaci di creare nuovi mercati e scalare internazionalmente, ponendo così le basi per un’Europa maggiormente “a prova di futuro”. A guidare l’implementazione di EIC vi sono obiettivi particolarmente ambiziosi, che segnano una discontinuità rispetto ai tradizionali programmi di finanziamento europei: tra di essi figurano (1) costruire un portfolio composto almeno per il 90% da aziende orientate all’impatto in chiave SDG, (2) avere oltre il 35% delle aziende selezionate guidate da donne e (3) stimolare co-investimenti e investimenti follow-on pari a 3x-5x l’importo ricevuto da EIC. Per operazionalizzare EIC, la Commissione Europea ha allocato un budget che supera 10 B€ su base settennale, in parte mutuato dalle risorse straordinarie ascrivibili a Next Generation EU, le quali sono canalizzate verso le transizioni ecologiche e digitali.

E’ vero che l’impianto di EIC è stato costruito con l’obiettivo specifico di accompagnare il “viaggio dal laboratorio al mercato”?

E’ così. L’impianto di EIC è stato costruito con il preciso intento di accompagnare il “viaggio dal laboratorio al mercato” presidiando l’intero spettro del TRL: EIC Pathfinder (fino a TRL 4), EIC Transition (da TRL 4 a TRL 5/6) e EIC Accelerator (da TRL 5/6 a TRL 8 e, potenzialmente, TRL 9). Un capitolo a sé lo merita un elemento di sostanziale novità che riguarda esclusivamente EIC Accelerator: le startup e le PMI beneficiarie hanno la possibilità di affiancare al grant un investimento in equity – con ticket compreso tra 0,5 M€ e 15 M€ – operato da EIC Fund in ottica blended finance. Connettendo eccellenza scientifica, know-how imprenditoriale e opportunità di finanziamento, anche seguendo schemi inediti che fanno lavorare insieme istituzioni e mercato, EIC gioca un ruolo decisivo nel plasmare la filiera europea dell’innovazione Deep Tech. Per tale ragione, l’impianto di EIC deve essere fonte di ispirazione per il nostro paese, stimolando la costruzione di una strategia per il Deep Tech “made in Italy” che sappia valorizzare l’elevata qualità della ricerca svolta nel nostro paese.

Vi sono altre iniziative?

Andando in maggior profondità, EIC rappresenta anche una preziosa dorsale su cui si stanno gradualmente innestando molteplici iniziative che non dobbiamo perdere di vista. EIC Scale Up 100 intende fornire a 100 scale-up Deep Tech europee ad alto potenziale di crescita un trampolino di lancio per raddoppiarne la valutazione in due anni e velocizzarne l’avvicinamento allo status di “unicorno”. L’esempio di EIC Scale Up 100, visto dalla prospettiva italiana, ci ricorda la pressante necessità di individuare modalità efficaci per supportare in maniera sartoriale le (ancora poche) scale-up nostrane che presentano velocità di crescita esponenziale. The Next Generation Innovation Talents, dal canto suo, pone l’accento sulla creazione di un ponte tra i talenti più cristallini nel mondo della ricerca e le startup Deep Tech impegnate nello sviluppo di innovazioni dirompenti. Si configurano così interessanti opportunità di tirocinio per 600 ricercatori già premiati da European Research Council, EIC Pathfinder e Skłodowska-Curie Actions (MSCA), i quali possono trascorrere un periodo ospiti in startup vincitrici di call EIC Accelerator e EIC Transition. Nella prospettiva italiana, siffatto schema potrebbe essere adottato per consentire agli studenti di dottorato in ambito STEM (e non solo) di uscire dalla “zona di comfort”, lasciando momentaneamente i laboratori universitari per vivere un’esperienza che potrebbe cambiare, anche radicalmente, le loro vite.

Vi sono misure nazionali e locali collegate alla galassia EIC replicabili in Italia?

Si, non rare sono le misure nazionali e locali collegate alla galassia EIC che risulterebbero agevolmente replicabili mutatis mutandis nel nostro paese. Ne cito una a titolo esemplificativo. Il governo spagnolo, impiegando le risorse di Next Generation EU, ha attivato una misura nazionale rivolta alle startup che, seppure non finanziate da EIC Accelerator, hanno ottenuto un Seal of Excellence nell’anno 2022. Alle startup selezionate viene offerto un finanziamento fino a 2,5 M€, pari all’importo del grant altrimenti ottenuto mediante EIC Accelerator.

Concluderei osservando che, nella cornice dei bandi legati alla ricerca, anche noi di Compagnia di San Paolo abbiamo lavorato per collegare l’ecosistema EIC al contesto locale. L’esempio principale proviene dal PoC Instrument, consolidato strumento sviluppato nella cornice delle Convenzioni con cinque grandi Atenei italiani (Politecnico di Torino, Università di Torino, Università del Piemonte Orientale, Università di Genova, Università di Napoli Federico II). Al suo interno è stato introdotto un nuovo percorso di candidatura alimentato in modo esclusivo da proposte EIC Pathfinder, EIC Transition e ERC PoC valutate positivamente ma non finanziate a livello europeo per via degli inesorabili vincoli di budget. I progetti selezionati ricevono un grant teso a realizzare un Proof of Concept della tecnologia proposta: passando da uno stadio di sviluppo tecnologico iniziale (TRL 2-3) ad uno sufficientemente evoluto che consenta di apprezzare le potenzialità a livello industriale (TRL 5-6), si crea un prezioso canale di origination per innescare la filiera del trasferimento tecnologico nel solco della “terza missione” degli Atenei.

Quali sono i settori più promettenti per investimenti in innovazione a suo giudizio nel nostro Paese in un prossimo futuro?

Se dovessi puntare su un settore in particolare, opterei per le tecnologie per la “rivoluzione verde”. In prima battuta, l’allineamento con l’agenda di policy europea – e anche statunitense, se pensiamo all’Inflation Reduction Act – assicura un sostegno per i prossimi decenni allo sviluppo di queste tecnologie, ritenute indispensabili per soddisfare i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri. In un quadro caratterizzato da un forte senso di pressione ed urgenza, la lotta al cambiamento climatico ha da qualche anno raggiunto una tappa fondamentale: la Commissione guidata da Ursula von der Leyen, ispirata dall’Accordo di Parigi, ha dato vita a EU Green Deal. Si tratta di un intervento che istituzionalizza il climate mainstreaming, definendo un obiettivo epocale: rendere l’Europa il primo continente a impatto climatico zero, giungendo nel 2050 a non generare più emissioni nette di gas a effetto serra.

Quali opportunità offre questo settore?

Tale quadro configura un’opportunità di mercato enorme, di cui già osserviamo segnali importanti. Nel 2022, un quinto degli investimenti Venture Capital europei è andato a startup Planet Positive, che hanno la sostenibilità ambientale scolpita nel proprio DNA. Tra di esse figurano le startup Climate Tech, che in Europa danno vita ad un ecosistema assai vivace: dall’Accordo di Parigi ad oggi, infatti, gli investimenti annui effettuati in startup Climate Tech europee hanno avuto una crescita pari a 10x, che ha portato alla creazione di ben 16 “unicorni” Climate Tech nella sola Europa. Degno di nota è che questa ondata sta investendo anche settori “tradizionali”, come quello manifatturiero. Nel 2022, secondo Dealroom, ogni 4 euro investiti in startup europee di tipo Industrial Tech, uno di essi è andato ad aziende che sono in prima linea nella decarbonizzazione del comparto manifatturiero: questi numeri corroborano l’emersione di un paradigma “Industria 5.0” che, prendendo le mosse dall’ormai celebre “Industria 4.0”, intende promuovere una visione ampia ed ambiziosa che combina la necessaria ricerca di produttività ed efficienza con un’attenzione sistematica a sostenibilità, resilienza e centralità dell’umano.

Transizione ambientale ma anche digitale...

Con riferimento alla traiettoria tecnologica green, credo che nel breve periodo le opportunità di investimento più concrete si collochino all’intersezione tra la transizione ambientale e quella digitale. Si tratta di una panoplia di tecnologie che sono in grado di velocizzare il cammino verso EU Green Deal facendo leva sul dato come abilitatore del cambiamento: tra di esse vi sono, senza pretesa di esaustività, Smart Grid, Micro Grid, gemelli digitali, Cyber-Physical Systems, auditing energetico, osservazione della terra, agricoltura di precisione e Energy-as-a-Service. Nel medio periodo, ci sarà invece spazio per una sostanziale discontinuità. Nel dirlo, penso al cammino verso le Gigacorn, ossia le aziende in grado di rimuovere ogni anno, con il proprio core business, un miliardo di tonnellate di CO2 dall’atmosfera. Esse sono state oggetto di un’elevata copertura mediatica nonché di attenzioni da parte dei policy maker europei, ma l’effettivo manifestarsi di una Gigacorn richiederà inevitabilmente ancora qualche anno in ragione della necessità di portare a regime tante tecnologie estremamente promettenti che ad oggi sono ancora in uno stadio prototipale.

Quali sono le possibili ricedute sull’occupazione?

Parlando di tecnologie orientate alla transizione green, esse presentano un grande potenziale trasformativo anche rispetto alla sfera occupazionale. Secondo l’ultimo foresight report pubblicato dalla Commissione Europea, saranno 884.000 i posti di lavoro generati in Europa entro il 2030 dall’implementazione della transizione ambientale. EU Green Deal, abbinato a REPowerEU, può quindi divenire una fucina di posti di lavoro in mestieri che in larga parte devono ancora essere inventati ed in settori ad elevata intensità di conoscenza, i quali rappresentano l’ideale sbocco per i neolaureati che escono dai nostri Atenei.

Tutto ciò si colloca in un momento storico in cui molteplici evidenze di mercato ci mostrano come siamo giunti ad un sostanziale punto di svolta nel quale possono davvero cambiare le regole del gioco: redditività e impatto non paiono più entità dicotomiche ma sono ora divenute entità convergenti. Detto in altre parole, si è passati da un’era in cui gli investitori purpose-driven dovevano necessariamente compromettere una quota parte importante dei ritorni finanziari pur di materializzare gli impatti attesi, ad un’era in cui la ricerca simbiotica di rendimenti ed impatti costituisce una nuova normalità. Lo scenario con cui ci confronteremo in un futuro prossimo potrà stupirvi: verrà un giorno, infatti, in cui “finanza d’impatto” e “finanza” saranno sinonimi.

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