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Grafico in salita

L'allarme clima e i nuovi modelli di previsione

Focus - Agricoltura smart, economia circolare, tutela del territorio e clima

DOI 10.12910/EAI2021-054

di Gianmaria Sannino, Responsabile del Laboratorio Modellistica climatica e impatti - ENEA

Il futuro del clima è nelle nostre mani. Non dobbiamo dimenticare infatti che l’attuale cambiamento cli­matico è frutto dell’opera dell’uomo. Siamo stati noi con le nostre emissio­ni incontrollate di CO2 a modificare il clima. Ora tocca a noi risolvere il problema.

L'estate del 2022, che meteorologicamente si è conclusa il 31 agosto, è stata a livello nazionale la seconda più calda mai registrata, dopo quella del 2003.

Il caldo non solo è stato eccezionale, se non estremo in alcuni casi, ma anche prolungato: tra giugno e agosto c'è stata una sequenza quasi interminabile di caldo africano, con solo sporadiche interruzioni.  Non solo il caldo anomalo, ma anche la siccità. Infatti, mentre ad agosto si è registrata una maggiore attività temporalesca, i temporali sono stati quasi assenti fino a luglio. Questa estate secca ha fatto seguito a un inverno e a una primavera eccezionalmente secchi rispetto alla norma, soprattutto nel Nord e in particolare nel Nord-Ovest.

Le ondate di calore e la siccità che abbiamo vissuto quest'estate sono un campanello d'allarme che ci avverte che gli impatti dell'attuale crisi climatica sono enormi e in grado di sconvolgere la nostra vita quotidiana.

Che il clima fosse destinato a cambiare lo sapevamo da tempo; lo sapevamo fin dai primi rapporti pubblicati dall'IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) negli anni Novanta del secolo scorso.

Da allora sono stati pubblicati altri cinque rapporti sempre più dettagliati, l’ultimo dei quali poco più di un anno fa. In particolare, nell’ultimo rapporto, l’IPCC sottolinea in modo chiaro che l'influenza umana sull’attuale riscaldamento globale è assolutamente inequivocabile. Riscaldamento che ha contribuito al verificarsi di cambiamenti rapidi e diffusi nell'atmosfera, nell'oceano, nella criosfera e nella biosfera. L’IPCC ha avvertito che sono in atto cambiamenti climatici che “non hanno precedenti” nelle ultime centinaia di migliaia di anni. Il pianeta è stato più caldo nell’ultimo decennio di quanto lo sia mai stato negli ultimi 125mila anni. Sempre secondo l’IPCC, il cambiamento climatico provocato dall’uomo interessa ogni regione del pianeta. Le inondazioni estreme, la siccità, gli incendi, le ondate di calore e le tempeste sono destinate ad aumentare di frequenza e gravità se non si riuscirà a mettere un freno al riscaldamento globale. Anche nel migliore dei casi alcuni dei cambiamenti – per esempio l’incremento del livello dei mari – saranno irreversibili. Il nuovo rapporto stabilisce inoltre che negli ultimi anni le concentrazioni atmosferiche di CO2 sono state le più alte registrate negli ultimi 2 milioni di anni.   Non c’è dubbio quindi che ci troviamo nel bel mezzo di una crisi climatica.

La “sensibilità climatica di equilibrio"

Una delle novità più significative del sesto rapporto è il restringimento dell’incertezza associata alla "sensibilità climatica di equilibrio" - una metrica chiave del clima che mostra quanto il nostro pianeta dovrebbe riscaldarsi se i livelli di CO2 raddoppiassero rispetto ai livelli preindustriali. Rispetto ai rapporti precedenti questa incertezza è stata ridotta drasticamente da 5°C a 1.5°. Ora sappiamo infatti che la “sensibilità climatica di equilibrio" è compresa tra 2.5°C e 4°C. Il restringimento di questa forbice ha contribuito inoltre a ridurre le incertezze nelle proiezioni climatiche. Quello che sappiamo oggi è che rispetto al periodo preindustriale la temperatura superficiale globale media a fine secolo sarà più alta e compresa tra 1°C e 1.8°C nel caso in cui riusciamo a portare a zero le emissioni di CO2 nel corso dei prossimi trenta anni. Nel caso in cui i paesi più industrializzati non riuscissero in questa impresa la situazione sarebbe sicuramente peggiore. La temperatura superficiale media globale potrebbe salire fino a 5.7°C con conseguenze catastrofiche per la maggiore parte degli abitanti della Terra.

Le proiezioni climatiche presentate nell’ultimo rapporto dell’IPCC concordano sul fatto che nei prossimi decenni le temperature aumenteranno praticamente ovunque sulla Terra e nella maggior parte dei continenti si assisterà ad un aumento delle precipitazioni in parte dovuto al fatto che un’atmosfera più calda può contenere più vapore acqueo. Tuttavia, c'è una grande eccezione, ed è proprio la regione mediterranea.

L’’eccezione’ della regione mediterranea

Le ultime proiezioni climatiche concordano sul fatto che la regione mediterranea sarà più secca nei prossimi decenni, vedendo fino al 40% in meno di precipitazioni durante la stagione invernale.

Questo comportamento anomalo del Mediterraneo è da ricercare nell’azione combinata di due effetti del riscaldamento climatico: un cambiamento nella dinamica della circolazione dell'alta atmosfera e una riduzione della differenza di temperatura tra terra e mare nel bacino mediterraneo. E’ bene sottolineare che entrambi questi fenomeni sono esaltati dalla geografia della nostra regione ed in particolare dalle grandi catene montuose a nord, il deserto a sud, e la presenza di un mare semichiuso. Il risultato finale è quello di favorire la risalita verso le nostre latitudini dell’alta pressione di origine africana. Alta pressione che da una parte determina la riduzione delle precipitazioni e dall’altra favorisce l’aumento delle temperature. Aumento che corre più velocemente della media globale. E’ stato infatti stimato che dal 1860 ad oggi la temperatura dell’area mediterranea è aumenta il 20% in più della media globale.

Senza misure di mitigazione decine di milioni di persone che vivono lungo le coste del Mediterraneo si troveranno ad affrontare il rischio della carenza d'acqua, delle inondazioni costiere e saranno esposte alle alte temperature delle sempre più frequenti ondate di calore estremo.

Per tutti questi motivi la regione mediterranea è stata identificata come una delle aree più sensibili e vulnerabili al cambiamento climatico, dove l’alta densità di popolazione e l’intenso sfruttamento antropico del territorio sollecitano con urgenza la messa a punto di misure di mitigazione importanti, ma anche misure di adattamento e resilienza efficaci da programmare nell’immediato.

I Modelli del sistema Terra

Per studiare il comportamento e prevedere i cambiamenti del clima i ricercatori utilizzano modelli computerizzati denominati EARTH-SYSTEM MODEL (Modelli del sistema Terra). Questi modelli si basano sulla descrizione matematica della circolazione atmosferica, di quella oceanica, della criosfera e della biosfera e delle loro interazioni, simulandone l’evoluzione dinamica e termodinamica indotta dalla radiazione solare che fornisce loro energia.   In generale, non è possibile aspettarsi effetti spazialmente omogenei dei cambiamenti climatici globali. Essi variano considerevolmente da regione a regione, e possono essere indotti da processi che avvengono su vasta scala, da modificazioni locali o da fenomeni che si verificano in luoghi remoti (tele-connessioni). In generale le variazioni climatiche a scala regionale e quelle a scala globale sono legate da effetti di retro-azione, in cui le variazioni nella circolazione atmosferica planetaria alterano la sequenza di eventi meteorologici che determinano il clima locale, mentre gli effetti delle forzanti locali (ad es. topografia, linee di costa, uso del suolo) modulano, a loro volta, il segnale di larga scala. Gli strumenti correntemente utilizzati per ottenere proiezioni climatiche regionali vanno da particolari configurazioni dei modelli globali, ai modelli di circolazione regionali ad area limitata, a metodi statistici. Le assunzioni su cui si basano ed i requisiti per il loro utilizzo differiscono da metodo a metodo, condizionandone l’applicabilità, le potenzialità e le limitazioni.  I modelli di circolazione ad area limitata rappresentano probabilmente il metodo di regionalizzazione più diffuso, in quanto permettono di raffinare l’informazione proveniente dai modelli globali ad un costo computazionale relativamente contenuto. Attualmente essi arrivano ad una risoluzione di circa 10 km e rappresentano spesso l’ultima interfaccia tra la previsione climatica e le valutazioni di impatto e la pianificazione gestionale. L’informazione climatica regionale, sebbene cruciale, è tuttavia ancora affetta da incertezze non trascurabili, derivanti principalmente dall’aumento della variabilità associato alle piccole scale e dalla difficoltà di rappresentare con sufficiente accuratezza i processi fisici che le caratterizzano, oltre che da eventuali errori provenienti dai modelli globali. Per questo non ci si può affidare a singole proiezioni prodotte da singoli modelli, ma si organizzano esperimenti internazionali in cui i principali centri di ricerca contribuiscono alla costruzione di grandi insiemi di simulazioni numeriche prodotte da modelli regionali diversi guidati da diversi modelli globali, per ottenere distribuzioni probabilistiche affidabili delle variabili di interesse.  

Come abbiamo ricordato prima, la regione mediterranea è stata identificata come una delle aree più sensibili al cambiamento climatico. Per questo motivo e per la varietà e complessità di processi che caratterizzano la regione, nel corso degli anni si sono costituite collaborazioni di ricerca internazionali che organizzano iniziative concordate per l’avanzamento delle conoscenze scientifiche e delle capacità modellistiche relative a quest’area. All’interno del Coordinated Regional climate Downscaling Experiment (CORDEX, www.cordex.org) e del programma CLIVAR (Climate and Ocean: Variability, Predictability and Change), entrambi sponsorizzati dal WCRP (World Climate Research Programme) la regione europea allargata ad includere l’intero bacino mediterraneo è stata immediatamente riconosciuta come rilevante per la ricerca globale, tanto da meritare nel tempo due sezioni dedicate, Med-CORDEX e MedCLIVAR. In particolare, all’interno di Med-CORDEX, 20 diversi gruppi di modellistica provenienti dai maggiori centri di ricerca sul clima europei, tra cui l’ENEA, realizzano simulazioni numeriche utilizzando 9 modelli regionali atmosferici, 8 modelli regionali oceanici e 12 sistemi regionali accoppiati. I risultati prodotti dalle simulazioni vengono condivisi dalla comunità scientifica su una piattaforma online, ospitata e gestita dall’ENEA.

I rischi per il settore agroalimentare

Anche se il fenomeno dei cambiamenti climatici è globale, le conseguenze ecologiche, economiche e sociali attese per il Mediterraneo sono più preoccupanti perché mutamenti più intensi che altrove mettono in pericolo la ricca e complessa biodiversità che alimenta le attività umane in quest’area, inclusa l’agricoltura. Il settore agro-alimentare, influenzato in maniera diretta dalla variabilità climatica, è particolarmente esposto a questa nuova minaccia. Un incremento del rischio di perdita dei raccolti a causa della presenza di insetti nocivi, o di disastri naturali come ondate di calore, siccità, alluvioni o inondazioni, è considerato molto probabile e sono necessarie quindi azioni immediate per l’adattamento a questo futuro incerto.

Il futuro del clima è nelle nostre mani. Non dobbiamo dimenticare infatti che l’attuale cambiamento climatico è frutto dell’opera dell’uomo. Siamo stati noi con le nostre emissioni incontrollate di CO2 a modificare il clima. Ora tocca a noi risolvere il problema. Abbiamo le tecnologie, le risorse e soprattutto l’intelligenza per operare una transizione ecologica rapida e profonda che porti a zero il prima possibile le emissioni di gas serra. Tutto questo per evitare di dover fare i conti con un clima ostile che renderebbe proibitivi i costi di ogni azione di adattamento.

La transizione ecologica dovrà necessariamente passare per la decarbonizzazione massiccia dei sistemi produttivi. Questo significa che bisognerà dire addio ai combustibili fossili e dare il benvenuto a tutte le forme di energie rinnovabili, non solo quelle già consolidate come l’eolico e il fotovoltaico a terra, ma anche quelle marine (eolico off-shore, onde, correnti di marea) e geotermiche. Bisognerà agevolare la creazione delle comunità energetiche locali, spingere al massimo l’efficienza energetica delle nostre case e aziende, passare ad una mobilità più dolce e sostenibile, ed infine applicare in modo diffuso i principi dell’economia circolare.


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