Copertina della rivista
economia circolare

Perché è sempre più necessaria l’economia circolare?

di Roberto Morabito

DOI 10.12910/EAI2022-042

L’economia circolare implica un nuovo modello economico e un vero e proprio cambio di paradigma basato su un profondo mutamento negli approcci culturali e negli stili di vita. L’Italia è fra i paesi più avanzati per circolarità, ma la sua posizione di ‘prima della classe’ è a rischio per un insieme di motivi principalmente di natura non tecnologica. Tuttavia, con il PNRR abbiamo davanti a noi un'occasione unica per dotarci finalmente di una strategia nazionale per l'economia circolare.

Roberto Morabito

Roberto Morabito

Direttore Dipartimento Sostenibilità dei Sistemi Produttivi e Territoriali - ENEA

L’economia circolare è considerata un argomento fra i più ‘caldi’ e attuali, un tema di cui si parla molto anche se spesso viene declinato non correttamente, ignorandone la vera portata e le grandi potenzialità. L’economia circolare, infatti, non è un modo elegante per risolvere il problema dei rifiuti ma è un nuovo modello economico la cui completa adozione è sempre più necessaria e non procrastinabile per un insieme di motivi.

Il primo di questi motivi è che il nostro Pianeta ha risorse limitate e che noi le stiamo consumando a un ritmo molto più veloce della capacità del Pianeta stesso di rigenerarle. Solo per fare un esempio: a livello globale oggi consumiamo il 170% delle risorse rinnovabili e, attualmente, esauriamo le risorse rinnovabili disponibili annualmente mediamente a luglio invece che al 31 dicembre.

La dipendenza dalle materie prime critiche

Se continuassimo così con un cosiddetto modello di business as usual questo ci porterebbe al 2050 ad avere necessità delle risorse rinnovabili di tre pianeti terra. E se tutti quanti decidessimo di adottare gli stili di vita e i modelli di consumo dei cittadini statunitensi, per garantire le risorse rinnovabili che consumeremmo con quegli stili di vita e modelli di consumo, di pianeti ne servirebbero sette. Quindi una condizione di assoluta insostenibilità.

Se parliamo poi delle risorse non rinnovabili, le cosiddette materie prime, in particolare le materie prime critiche, indispensabili alle filiere industriali hi-tech, è da sottolineare come l'Europa sia il continente più povero in assoluto di materie prime e di materie prime critiche che vengono importate per il 75% dall’estero.  E a livello europeo, l’Italia è decisamente uno dei paesi più poveri di materie prime critiche, perché dipendiamo dall'estero per oltre il 99% del nostro fabbisogno, molto spesso da paesi con fortissima instabilità sociale e politica e, in alcuni casi teatro di guerre.  Non di rado si tratta di conflitti ‘dimenticati’, come la cosiddetta ‘guerra del COLTAN’, un minerale da cui si estrae il tantalio, iniziata alla fine del secolo scorso e che nel primo decennio di questo secolo ha prodotto secondo dati ONU molti milioni di morti. In Africa altri paesi molto ricchi di materie prime critiche sono il Ruanda e il Sud Africa e, negli altri continenti l’India, la Russia ma soprattutto la Cina.

Vi sono altri settori nei quali il nostro paese soffre una fortissima dipendenza e l’emergenza drammatica della guerra in Ucraina ha messo ancor più in evidenza le nostre difficoltà, in questo caso per l'approvvigionamento estero di energia.

Per un Paese come l'Italia con una forte incidenza del settore manifatturiero sul sistema produttivo nel suo complesso, l’approvvigionamento di materie prime è un tema significativo anche sul lato dei costi, in quanto può incidere sul costo dei prodotti finali della nostra industria manifatturiera fino al 60% del totale. Inoltre questi costi stanno diventando sempre più pesanti in quanto, dopo un periodo di sostanziale stabilità, negli ultimi 5 anni l’aumento medio delle materie prime è stato del 40% e la crisi Ucraina sta ulteriormente alimentando l’ascesa dei prezzi. In questo contesto, le due grandi emergenze che stiamo vivendo, pandemia e guerra in Ucraina, stanno mettendo in forte crisi la resilienza del nostro sistema produttivo.

La sfida del cambiamento climatico

Dall'altra parte c'è la grande sfida del cambiamento climatico, della decarbonizzazione e della neutralità carbonica al 2050. Se andiamo a vedere la ripartizione delle emissioni di gas a effetto serra vediamo che il 55% circa del totale è correlato alla produzione e agli usi finali dell'energia mentre il 45% deriva dall'utilizzo dei prodotti e dalla gestione del territorio in tutte le sue sfaccettature, agricoltura, foreste etc.

Questo vuol dire che se puntiamo tutta la strategia di decarbonizzazione esclusivamente sulla mitigazione potremo aggredire ed abbattere soltanto il 55% del totale delle emissioni. In questo scenario, potremo mantenere l'aumento di temperatura del globale del pianeta intorno ai 2,7/2,8 gradi al 2050.

Per riuscire invece a contenere questo aumento sotto i 2 gradi o ancor meglio sotto l’1,7/ 1,8 come reputato ormai necessario, è indispensabile accoppiare alla mitigazione, oltre alle politiche di risparmio ed efficienza, interventi di circolarità in tutti i settori produttivi, dall’industria ai trasporti, dai sistemi energetici a quelli agroindustriali, dall’edilizia alla gestione delle foreste e del territorio.

L’UNEP, il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, negli ultimi Rapporti “RECC” (Resource Efficiency and Climate Change) sull’uso efficiente delle risorse in relazione al cambiamento climatico, individua sette tipologie di intervento collegate alla transizione circolare che comportano processi di decarbonizzazione significativi; primo fra tutti, il ripensamento dei prodotti e dei processi attraverso l’eco design, l’eco progettazione e la sostituzione dei materiali nei quali vengono realizzati i prodotti. Ad esempio, sostituire con il legno l'acciaio o il cemento nell’edilizia o alleggerire con l'alluminio il parco veicolare, consente di abbattere in modo significativo le emissioni. Oltre alla chiusura dei cicli, all’efficientamento dei cicli produttivi, all'uso più intensivo dei prodotti e dei servizi, c’è poi il grande tema della cosiddetta sharing economy o dell'economia della condivisione, del factoring, del riuso, del recupero e della durata, quindi dell'estensione del tempo di vita dei prodotti.

Nuovi modelli di business

In questo scenario possiamo affermare che se la transizione circolare è assolutamente necessaria per tutti i Paesi a livello globale, lo è ancor più per un Paese come il nostro, per il quale è quasi una questione di sopravvivenza. Di fatto, è sicuramente fondamentale promuovere transizioni circolari dappertutto all'interno dei cicli produttivi, riciclando tutto il possibile, cercando di ridurre drasticamente l'utilizzo di materia prima vergine e le emissioni sotto qualsiasi forma siano, non soltanto all'interno del singolo impianto, ma nelle aree industriali tra i diversi cicli produttivi, sfruttando anche nuovi modelli di business.

Fra gli strumenti più potenti che abbiamo in questo contesto, c’è la simbiosi industriale che può essere applicata tra i cicli produttivi e il territorio e all'interno del territorio stesso, a partire dalle nostre città. L’Italia è un paese estremamente povero di materie prime e di miniere, ma, d’altra parte, le nostre città sono vere e proprie miniere a cielo aperto.

Vi è necessità di fare dell’efficienza il principale motore propulsivo di questa transizione sviluppando l'eco innovazione a tutti i livelli: eco innovazione di processo, di prodotto ma anche di sistema, con sviluppo di nuovi modelli di business e nuovi approcci culturali.

Certamente tecnologie e impianti sono assolutamente indispensabili, ma altrettanto indispensabile è garantire sul territorio un approccio trasversale, multidisciplinare e intersettoriale, tipico dell'economia circolare, sviluppando la potenzialità di tutta la cosiddetta quadrupla o quintupla elica.

Se dal punto di vista della infrastrutturazione impiantistica del nostro Paese siamo drammaticamente carenti da quello tecnologico siamo decisamente più avanti. La comunità scientifica ha reso disponibili tecnologie anche mature, in grado cioè di essere trasferite immediatamente ai territori e alle imprese.

In ENEA, ad esempio, sul fronte dell’economia circolare le nostre attività coprono a 360° tutti i settori collegati alla transizione circolare, dalle strategie agli strumenti per l'eco design, dall’eco progettazione alla gestione dei RAEE, i rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche, per i quali occorre una particolare attenzione tenuto conto del contributo fondamentale che possono dare al recupero delle materie prime critiche che ci mancano. Su questo tema in ENEA, nel Centro di ricerche della Casaccia, sono stati sviluppati due brevetti e un impianto pilota semi industriale per il recupero di oro, argento rame e altri metalli da RAEE, i rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche.

Oltre alla simbiosi industriale e all’urban mining, fra i nuovi modelli di business che stiamo sviluppando figurano approcci innovativi come l'economia della condivisione, la sharing economy e la messa a punto di metodologie e strumenti di misurazione della circolarità per capire se stiamo procedendo nella direzione della transizione circolare e a che velocità stiamo andando e quindi con quali tempi.

Inoltre, il Dipartimento Sostenibilità dei sistemi produttivi e territoriali dell’ENEA fornisce supporto a livello locale, nazionale ed europeo sia dal punto di vista strategico che dell’adeguamento degli strumenti normativi nel campo dell’economia circolare.

Da ultimo, anche se ultime non sono affatto, le tematiche della formazione, dell’informazione e soprattutto del coinvolgimento dei cittadini, fondamentali per poter realizzare quegli impianti sul territorio di cui vi è grande necessità: su questo punto occorre fare molta attenzione, perché senza strumenti di Citizen Science, di coinvolgimento e di accompagnamento dei cittadini è molto difficile se non impossibile realizzarli.  Come dimostra la storia anche recente del nostro Paese, a prescindere da quanto siano effettivamente sostenibili gli impianti se non c’è un opportuno coinvolgimento, si formano subito comitati di opposizione sulla scia del Nimby, il celebre acronimo che sta per “ovunque ma non nel mio giardino”.

Italia prima della classe ma…

Altri fronti importanti di attività del Dipartimento riguardano le attività di networking quali la Piattaforma ICESP che riunisce i protagonisti italiani dell’economia circolare ed è coordinata dall’ENEA che coordina anche la rete italiana di simbiosi industriale e, per conto del MiTE, la piattaforma italiana del fosforo.

Da alcuni anni, la collaborazione tra la Fondazione per lo sviluppo sostenibile e l’ENEA porta alla pubblicazione del Rapporto annuale sullo stato dell'economia circolare. Quest’anno siamo arrivati alla quarta edizione dalla quale emerge una fotografia aggiornata delle prestazioni del nostro paese in termini di economia circolare.

Il rapporto evidenzia che, come per gli anni precedenti, l’Italia risulta essere il primo paese per Circolarità, in base ad un indice integrato elaborato allo scopo. In particolare, l’Italia si colloca al primo posto grazie alle sue tradizionali buone prestazioni nei settori dell’efficienza nell’utilizzo delle risorse, nella gestione e riciclo dei rifiuti e in generale nella circolarità dei materiali anche se, rispetto agli scorsi anni, sta perdendo il suo vantaggio nei confronti degli altri Paesi. Al contrario, inoltre, l’Italia presenta scarse prestazioni nei settori dell’utilizzo del territorio, della riparazione e riuso e della sharing economy.  Abbiamo buone prestazioni nel campo dell’occupazione nei settori dell’economia circolare e nell’innovazione (pubblicazioni e brevetti) in generale, ma siamo lontanissimi dai Paesi più avanzati d’Europa in termini di investimenti finanziari, sia pubblici che privati, e di risorse umane destinate a ricerca e innovazione.

Senza adeguati investimenti in ricerca e innovazione e senza superare le grosse carenze impiantistiche, l’Italia sarà presto superata da altri Paesi che hanno imboccato la strada della transizione circolare con più forza e convinzione.

PNRR occasione unica

Sul fronte economia circolare abbiamo davanti a noi un'occasione unica che è quella del PNRR, grazie al quale finalmente ci si sta dotando di una strategia nazionale per l'economia circolare. Tuttavia, per ora non risultano allocati adeguati investimenti e risorse economiche per ‘dare gambe’ alla strategia, con il rischio che la stessa diventi soltanto un’elegante enunciazione di difficile implementazione e monitoraggio.

Se andiamo a vedere gli investimenti allocati direttamente sulla transizione circolare, questi rappresentano soltanto l’1% del totale del PNRR in stridente contraddizione con l’importanza e la potenzialità di ritorni che il tema riveste. Inoltre, la quasi totalità degli investimenti sono indirizzati esclusivamente sui rifiuti. Si tratta di un tema certamente fondamentale,  ma declinare la transizione circolare dal punto di vista culturale e strategico puntando, come è stato fatto, quasi esclusivamente sul ciclo dei rifiuti, è un errore strategico.

Si sarebbe dovuto sfruttare l’occasione del PNRR per affrontare tutti i temi della transizione circolare con progetti e azioni sui cicli produttivi, sui modelli di consumo, sui territori, sulle aree urbane, tutti settori che sarebbero fondamentali sia dal punto di vista della transizione circolare che della decarbonizzazione. Soprattutto, mancano strumenti e iniziative a supporto delle piccole e medie imprese che costituiscono la maggior parte del nostro tessuto produttivo e che vanno supportate nella transizione circolare mentre le grandi imprese vanno avanti già per conto loro.

Un’ultima considerazione: dovremmo essere anche più attenti al fatto che se parliamo di transizione circolare, di passaggio da un'economia lineare a un'economia circolare, siamo davanti a un vero e proprio cambio di paradigma. E un cambio di paradigma non si fa soltanto con tecnologie e strumenti legislativi, normativi e finanziari che pure sono fondamentali, ma soprattutto con un cambiamento anche drastico di approcci culturali e di stili di vita, sia dal lato produzione, sia dal lato dei consumi. Tutto ciò, ad esempio, passando dal concetto di proprietà del bene a quello di utilizzo di un servizio, dalla vendita di un prodotto all'offerta di un servizio, cosa che alcuni grandi player italiani già stanno facendo nei confronti dei consumatori.

 La Piattaforma Italiana degli attori per l'Economia Circolare


ICESP è l’Italian Circular Economy Stakeholder Platform,  piattaforma nata nel 2018 per far convergere iniziative, condividere esperienze, evidenziare ed indicare prospettive al fine di rappresentare in Europa le specificità italiane in tema di economia circolare e di promuovere l'economia circolare in Italia attraverso specifiche azioni dedicate. 

ICESP è promosso da ENEA come iniziativa speculare e integrata a ECESP, Piattaforma Europea per l'Economia Circolare, con l’obiettivo di diffondere la conoscenza dell’economia circolare, mappare le buone pratiche di economia circolare e favorire il dialogo multistakeholder.

In particolare,  ICESP si configura come un network il cui l’obiettivo è quello di creare un punto di convergenza nazionale sulle iniziative, le esperienze, le criticità, le prospettive e le aspettative sull’economia circolare che il nostro Paese vuole e può rappresentare in Europa con un’unica voce, promuovendo il modo italiano di fare economia circolare anche attraverso specifiche azioni dedicate quali.

  • Promuovere la diffusione delle conoscenze
  • Favorire il dialogo e le sinergie possibili tra gli attori italiani delle iniziative
  • Mappare le buone pratiche italiane 
  • Favorire l'integrazione delle iniziative a livello italiano
  • Realizzare uno strumento operativo permanente che possa promuovere e facilitare il dialogo e le interazioni intersettoriali
  • Diffondere le eccellenze italiane ed il modo italiano di fare economia circolare a partire dalle tradizioni e dalle tipicità del nostro Paese e dai relativi modelli culturali, sociali ed imprenditoriali.

Giunta al suo quarto anno di vita, la piattaforma si è dotata di una Carta ovvero un manifesto di intenti e finalità e di un Regolamento che consente alle organizzazioni coinvolte di condividere l’impegno per il raggiungimento degli obiettivi comuni, in Italia, sull’economia circolare. Oggi aderiscono oltre 260 soggetti pubblici e privati. https://www.icesp.it/

 

feedback