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Riflessioni sulla “Modernità”

di Lorenzo Pinna

DOI 10.12910/EAI2022-049

Le energie fossili che hanno reso possibile la straordinaria trasformazione della modernità sono diventate oggi il grande problema. La grande sfida è rendere la modernità sostenibile perché oggi non lo è.

Lorenzo Pinna

Lorenzo Pinna

Scrittore e divulgatore scientifico

 

Un ecosistema tecnologico-energetico, complicato come quello naturale, avvolge le nostre società e le permette di vivere nella modernità. Una parola che vuol dire una speranza di vita molto più lunga dei nostri antenati di appena due secoli fa. Più ricchezza per ognuno. Scuola di massa e alfabetizzazione generale. Emancipazione femminile. Democrazia. Libertà di stampa. Case confortevoli illuminate e riscaldate, con acqua corrente e servizi igienici. Mezzi per spostarsi facilmente anche di centinaia o migliaia di chilometri. Auto, aerei, navi. Una giornata lavorativa che non supera le otto ore, di solito in ambienti comodi e non sottoposti alle inclemenze del tempo. Tempo libero, vacanze, week end, ristoranti. Svaghi di ogni genere dalla televisione al cinema, allo sport di massa agli infiniti interessi che si possono coltivare sul web.  E se qualcosa dovesse andar storto: visite specialistiche, cure mediche gratuite, farmaci, e degenze in ospedale. Ovviamente sono condizioni ancora non raggiunte da tutta l’umanità composta da 8 miliardi di persone. Ma è il traguardo cui tutti vorrebbero arrivare, consumando nel frattempo enormi quantità di energia. Nemmeno nei loro sogni più deliranti, i nostri antenati di appena pochi secoli fa avrebbero potuto immaginare un mondo simile dove tutti i pericoli più gravi per le loro esistenze fossero, come per miracolo, scomparsi: dalle pestilenze alle carestie, dalla mortalità infantile alla violenza. La modernità, un lusso che ci siamo conquistati da pochissimo tempo, (un battito di ciglia anche se consideriamo soltanto la storia della nostra specie, l’Homo Sapiens, apparso in Africa 200mila anni fa) ha però un problema: non è sostenibile.  

Il rovescio della medaglia

 L’ecosistema sociale costruito grazie alle scoperte scientifiche, alle invenzioni tecnologiche e all’esplorazione di nuove fonti energetiche, quelle fossili, ha un rovescio della medaglia. La produzione dell’energia che mette in moto le macchine della modernità lancia nell’atmosfera gas che ne alterano leggermente la composizione, sufficienti tuttavia a innescare dei grandi cambiamenti nel clima della Terra. Li conosciamo. Sono i cambiamenti provocati dall’effetto serra. L’aumento di gas come l’anidride carbonica impedisce, in parte, all’atmosfera di riemettere, di notte, nello spazio cosmico, il calore accumulato durante il giorno con l’irraggiamento solare. Il risultato è un aumento, del calore, delle temperature e dell’energia dell’atmosfera, con tutte le conseguenze. Dal cambiamento delle mappe delle precipitazioni, alla frequenza sempre maggiore di fenomeni violenti come siccità prolungate, alluvioni, uragani, trombe d’aria. Allo scioglimento dei ghiacciai, anche di quelli alpini o comunque situati sulla terraferma, che rovesciandosi in mare ne provocano l’innalzamento del livello.

Il clima della Terra è sempre cambiato. Negli ultimi due milioni di anni si sono susseguiti almeno 22 glaciazioni e periodi interglaciali. Il clima terrestre non è quindi stabile. Ma i cambiamenti in passato avvenivano su una scala temporale di decine e spesso di centinaia di migliaia di anni.

Il nostro caso è diverso. In appena 250 anni siamo riusciti a far aumentare la concentrazione dell’anidride carbonica nell’aria fino a livelli mai raggiunti negli ultimi 700-800 mila anni. Lo sappiamo bene perché i carotaggi dei ghiacci al Polo Sud, in Antartide, spessi più di un chilometro, ci hanno permesso di recuperare le bollicine d’aria di antichissime atmosfere. Si è così potuto seguire l’andamento dell’anidride carbonica lungo centinaia di migliaia di anni. Proprio nei ghiacci più recenti, formatisi dalla neve deposta a partire dal 1700 si nota l’impennata dell’anidride carbonica.

Le fonti fossili sono una quantità finita

Ma anche senza gas serra e cambiamenti climatici le fonti fossili sono una quantità finita che sicuramente non avrebbe potuto mantenere la modernità o la post-modernità per 10.000 anni, l’arco temporale delle società agricole. Le stime indicano che, con le tecnologie attuali, il petrolio potrebbe durare 50 anni, il gas poco di più, mentre il carbone un secolo e mezzo. Ammettiamo anche che grazie a scoperte e invenzioni oggi inimmaginabili, le fonti fossili potessero moltiplicare la loro durata per 10 o 20 volte. Cioè durare mille anni. Sempre poco rispetto ai 10.000 anni delle società agricole. Per questo, la modernità basata sulle fonti fossili è insostenibile con o senza cambiamenti climatici. La modernità è allora da “buttare”, un errore colossale del quale pagheremo presto il conto? In realtà ogni epoca e il suo ecosistema tecno-energetico ha i suoi pro e i suoi contro. È un pacchetto dove non si può scegliere solo le cose che ci vanno bene, i vantaggi e rifiutare in blocco gli svantaggi. Il pacchetto si prende intero, con vantaggi e svantaggi. Certo nel “pacchetto” preindustriale l’aria era più pulita, il paesaggio non era deturpato dalle colate di cemento, sul cibo più sano possiamo avere qualche dubbio con le condizioni di conservazione tipiche dei tempi. Poi c’erano le pestilenze e anche escludendo eventi catastrofici, senza conoscere il potere micidiale dei batteri, l’igiene era un concetto molto sfuocato. Fogne e acquedotti, acque luride e da bere non erano ben distinte e separate. Per non parlare della gestione dei rifiuti di ogni genere. Almeno, si potrà obbiettare, non avevano armi di distruzione di massa come noi, al massimo qualche archibugio ad avancarica. Vero, ma solo la peste di Milano del 1628 (quindi non la Peste Nera del 1300) fece più di 65mila morti in pochi mesi. Più della bomba atomica sganciata su Nagasaki. Non c’erano però ingorghi di traffico e gli inquinamenti urbani che secondo le statistiche dell’ONU uccidono 4 milioni di persone ogni anno per malattie respiratorie. È vero però che ognuno, eccetto qualche nobile, soldato o mercante, viveva tutta la vita nel raggio di pochi chilometri dal paese dove era nato. Perché l’80% della popolazione era composto, allora, di contadini analfabeti.  Quanti di noi, cittadini della modernità, se fosse davvero possibile, sceglierebbero di vivere nel pacchetto preindustriale?

Sopravvivere in ambienti proibitivi.

L’Homo Sapiens contrariamente agli altri animali, è in grado di cambiare il pacchetto, l’ecosistema tecno-energetico dove vivere. Gli animali si adattano all’ecosistema naturale che trovano e se non ci riescono si estinguono. L’uomo rimodella l’ecosistema naturale con il suo ecosistema tecno-energetico e quindi riesce a sopravvivere anche in ambienti all’apparenza proibitivi. Lo ha fatto altre volte in passato. Ad esempio, passando dal pacchetto “cacciatori e raccoglitori” a quello “agricolo-preindustriale”. Se consideriamo che l’uomo anatomicamente moderno appare 200mila anni fa e che solo 10mila anni fa si formano le prime società agricole dobbiamo concludere che per oltre il 90% della sua esistenza l’Homo Sapiens è vissuto nel “pacchetto” cacciatori e raccoglitori. Cioè una vita nomade alla ricerca del cibo e a difendersi da altri concorrenti, soprattutto suoi simili. Una vita dove la tecnologia era quella della pietra e l’energia quella muscolare umana. Il passaggio al "pacchetto agricolo" porta come al solito vantaggi e svantaggi. Le “fonti energetiche” aumentano, oltre a quella muscolare umana, che rimane la principale, si affiancano quella muscolare degli animali addomesticati e in seguito quella del vento per navi e mulini e anche quella dell’acqua captata con particolari ruote dalle correnti dei fiumi. Perché nelle società preindustriali si scopre come applicare meglio la poca energia a disposizione con le macchine semplici, ad esempio la leva, il mozzo della ruota, il cuneo o il piano inclinato. Ma ci sono anche svantaggi. Le condizioni igieniche nei villaggi di contadini ormai sedentari, a stretto contatto con i propri rifiuti e gli animali domestici, peggiorano rispetto a quella dei loro avi cacciatori e raccoglitori spesso in movimento e non a stretto contatto con immondizie o con gli animali, se non quelli cacciati. Come è noto gran parte delle epidemie catastrofiche della storia umana sono state provocate dal salto del patogeno dagli animali all’uomo: e questo è avvenuto dal covid alla peste, dal morbillo al vaiolo. Però i vantaggi del "pacchetto agricolo" sono superiori agli svantaggi e lentamente la popolazione cresce, segno che dopotutto le cose non andavano poi così male.

La macchina a vapore di James Watt è il simbolo di un nuovo passaggio quello che porta al nostro pacchetto.

Le ragioni di questo passaggio dalle società agricole a quelle industriali sono state indagate in libri che possono riempire intere biblioteche. Le cause sono numerosissime economiche, sociali, politiche, culturali, persino religiose. In breve, potremmo dire che una grande curiosità intellettuale per il mondo naturale e le sue leggi e l’idea di quantificare e misurare i suoi fenomeni sono alla base della grande esplosione di scoperte scientifiche e invenzioni tecnologiche che caratterizzano gli ultimi secoli.

Crisi energetica e Rivoluzione Industriale

La storia vuole che sia stata una mezza crisi energetica a catapultarci nella Rivoluzione Industriale. La mancanza, in Inghilterra, di legname allora utilizzato non solo nelle costruzioni, ma anche come combustibile dopo averlo trasformato in carbone attira l’attenzione su un materiale conosciuto da secoli ma poco sfruttato: sempre un carbone, ma di origine fossile. La domanda del nuovo combustibile aumenta. Il suo prezzo è ormai concorrenziale con quello della legna anche se per recuperarlo bisogna scavare miniere sempre più profonde. Infatti, i filoni più superficiali vengono rapidamente esauriti e bisogna andare a cercare quelli più ricchi in profondità. Scavare le miniere presenta vari problemi ed uno dei principali è l’infiltrazione dell’acqua nelle gallerie. Acqua che in qualche modo deve essere raccolta e svuotata da un’altra parte. È questa difficoltà che vari inventori all’inizio del 1700 tentano di risolvere con speciali pompe, le antenate, possiamo considerarle, della macchina a vapore di James Watt. Si dice che una delle prime, e molto inefficiente, quella di Newcomen riuscisse a pompare l’acqua da una profondità di 45 metri e sostituisse ben 500 cavalli impiegati in questo lavoro. Ovviamente le macchine a vapore non sostituirono solo i cavalli al lavoro nelle miniere, ma tutta la forza motrice animale e poi anche quella del vento e dell’acqua che fino ad allora avevano messo in moto le fabbriche dei nostri antenati. E altre invenzioni, come il motore a scoppio o diesel trasformarono materie come il petrolio, un liquido maleodorante, noto da secoli e impiegato per calafatare le imbarcazioni o per preparare ordigni incendiari, in oro nero. Un liquido preziosissimo, da allora in poi al centro della geopolitica con tutto il corteo di conflitti e guerre. È l’alba della modernità. Le nuove tecnologie e le nuove fonti energetiche consentono una moltiplicazione straordinaria della produttività del lavoro umano. Le macchine sostituiscono la forza muscolare di uomini e di animali. Il lavoro che prima facevano milioni di contadini con la zappa o l’aratro trainato dai buoi, adesso può essere fatto da poche migliaia di trattori, ognuno guidato da una sola persona. Naturalmente i milioni di contadini ormai non più necessari sui campi si trasformano in operai e con il passare delle generazioni in manager, giornalisti, chirurghi, estetisti, storici,  critici d’arte, funzionari, parrucchieri, stilisti, registi, paleontologi, medievalisti, danzatori, sceneggiatori, coreografi, entomologi, politologi, opinionisti, consulenti, bancari, scenografi, traduttori, costumisti, attori, poeti, saggisti, egittologi, pubblicitari, orientalisti, oceanografi, etnologi, enologi, epistemologi, archeologi, astronomi, fotografi, presentatori, cantanti, conduttori, editorialisti, nutrizionisti, sociologi etc. etc. Cioè in un mare di professioni e mestieri che, in passato, o non esistevano o contavano pochissimi praticanti. È l’esplosione del settore dei servizi che caratterizza le società moderne. Una gigantesca architettura fittamente intrecciata che in ultima analisi si regge sulla disponibilità di energia che rende incredibilmente produttivo il lavoro umano. Ma le energie fossili che hanno reso possibile la straordinaria trasformazione della modernità sono diventate oggi il grande problema. La grande sfida è rendere la modernità sostenibile perché oggi non lo è.

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