Copertina della rivista
Fenomeni franosi

Tutelare il territorio dal rischio idrogeologico

Focus - Agricoltura smart, economia circolare, tutela del territorio e clima

DOI 10.12910/EAI2022-054

di Anna Marzo (Responsabile), Luca Falconi, Elena Candigliota, Francesco Immordino, Claudio Puglisi, Augusto Screpanti, Laboratorio Tecnologie per la Dinamica delle Strutture e la Prevenzione del rischio sismico e idrogeologico - ENEA

Il rischio idrogeologico è un'emergenza a livello globale, strettamente connessa con sviluppo urbanistico e cambiamenti climatici. In Italia interessa quasi il 94% dei comuni mentre più di 8 milioni di persone abitano in aree ad alta pericolosità. L'urbanizzazione degli ultimi secoli ha contribuito ad incrementare gli elementi esposti e, conseguentemente, il potenziale danno derivante da un evento naturale.

Il rischio idrogeologico costituisce un'emergenza a livello globale [1], connessa strettamente con sviluppo urbanistico e cambiamenti climatici. In Italia, il rischio idrogeologico interessa quasi il 94% dei comuni e oltre 8 milioni di persone abitano nelle aree ad alta pericolosità [2]. In questo contesto si colloca il capitolo Tutela del territorio e della risorsa idrica, uno dei quattro della Missione 2 del PNRR.

Il rischio di un evento naturale è definito come il valore atteso delle perdite dovute all’occorrenza di un dato evento, frana o inondazione (ma vale lo stesso per un sisma). Il rischio si può esprimere in forma qualitativa (basso, medio, alto) o in termini quantitativi di percentuale, numero o quantità di unità perse in un lasso di tempo. Il rischio (R) è funzione di tre fattori: la pericolosità del fenomeno (P), il valore degli elementi esposti (E) e la vulnerabilità (V) di tali elementi (R=P*E*V).

La pericolosità P si definisce come la probabilità che un fenomeno potenzialmente distruttivo di determinata intensità, si verifichi in un dato tempo ed in una data area (quest’ultima è definita come pericolosità spaziale o suscettibilità) e si esprime in termini di probabilità di accadimento in un lasso di tempo o nella forma di tempo di ritorno di un evento. Vite umane, strutture ed infrastrutture, attività economiche e beni ambientali e culturali costituiscono gli elementi esposti E al fenomeno. La vulnerabilità V, indica il grado di danneggiamento di un certo elemento o gruppo di elementi esposti risultante dal verificarsi di un fenomeno naturale di una data intensità. V è espressa in una scala da 0 (nessuna perdita) a 1 (perdita totale) ed è funzione dell’intensità del fenomeno e delle caratteristiche dell’elemento esposto. Spesso si utilizza anche il termine di danno che sintetizza i due fattori E e V, fornendo un’indicazione del valore del bene effettivamente colpito (Fig. 1)

Il rischio idraulico e geomorfologico

Il rischio idrogeologico costituisce una locuzione di sintesi (per altro non esistente in ambito scientifico internazionale) di due distinti concetti: il rischio idraulico e il rischio geomorfologico [3, 4]. Per rischio idraulico si intende la probabilità che un territorio subisca conseguenze dannose a seguito dell’inondazione da parte di un corso d’acqua. Il rischio geomorfologico, invece, si riferisce alla probabilità che a determinare i danni sia una frana, movimento di una massa di roccia, terra o detrito lungo un versante.

Il termine dissesto idrogeologico costituisce una forma di uso comune, non in campo scientifico, per esprimere la condizione di un territorio soggetto ad elevato rischio sia idraulico, sia geomorfologico. Come il termine “rischio idrogeologico”, esso è caratterizzato da una certa ambiguità dato che, in ambito scientifico, l’“idrogeologia” è la disciplina che studia principalmente le acque sotterrane.

Entrambi i rischi idraulico e geomorfologico sono oggetto di studio di esperti (tipicamente ingegneri idraulici e ambientali, geotecnici e geomorfologi) che si adoperano per la caratterizzazione del territorio e la produzione di carte di pericolosità e rischio. A tal riguardo, gli strumenti di pianificazione territoriale (Piani Regolatori e simili) fanno riferimento alle carte di pericolosità e rischio idraulico e geomorfologico presenti nei Piani di Bacino e nei Piani di Assetto Idrogeologico (PAI) prodotti dalle varie Autorità di Bacino Distrettuale in cui è diviso il territorio italiano [3].

Le inondazioni avvengono per conseguenza diretta delle precipitazioni piovose e si possono verificare generalmente secondo due modalità:

  • per tracimazione, quando gli argini del corso d’acqua non sono in grado di contenere l’onda di piena in arrivo,
  • per rottura arginale, quando si verifica un cedimento più o meno esteso del corpo arginale, in seguito al verificarsi di un evento di piena.

Generalmente le inondazioni assumono carattere particolarmente diverso nel caso avvengano in bacini che comprendono vaste aree pianeggianti o in piccoli bacini montani. Nel primo caso avvengono a causa di precipitazioni persistenti per lunghi periodi, distribuite su vasti territori e hanno un decorso generalmente lento: l’onda di piena, pertanto, si sposta lungo l’asta fluviale nel corso di ore o giorni. Nel secondo caso, le piogge innescanti sono molto concentrate, sia nel tempo che nello spazio, dando origine a inondazioni improvvise (flash floods) che si sviluppano nel corso di minuti o poche ore.

Le frane possono essere distinte in tre diverse categorie (Fig. 2), ciascuna delle quali legata a distinti approcci di monitoraggio e valutazione della Pericolosità e, di conseguenza, del Rischio:

  • frane in substrato a lenta evoluzione (scorrimenti rotazionali e traslazionali e colate lente),
  • frane in substrato a rapida evoluzione (crolli e ribaltamenti),
  • frane in copertura a rapida evoluzione (colate rapide; 3)

Per substrato si intende la roccia, plastica (argilla, marna, ecc.) o rigida (calcare, granito, arenaria ecc.) che costituisce “l’ossatura” della superficie terrestre, mentre per copertura si intende il materiale che giace sopra il substrato (suolo, detrito, ecc.), generalmente caratterizzato da scarsa coesione.

Le tre tipologie di frane sono anche caratterizzate da distinti parametri predisponenti, intesi come l’insieme di parametri di carattere naturale e antropico che rendono porzioni di versante maggiormente suscettibili (pericolosità spaziale; Fig. 4) al verificarsi di una data tipologia di fenomeno franoso.

Anche i fattori di innesco, cioè i fattori responsabili dell’attivazione delle frane, sono sostanzialmente differenti:

  • piogge cumulate per le frane in substrato a lenta evoluzione,
  • scuotimenti sismici o antropici e piogge intense per le frane in substrato a rapida evoluzione,
  • piogge intense per frane in copertura a rapida evoluzione.

Frane, inondazioni e urbanizzazione

Frane e inondazioni sono fenomeni naturali direttamente legati alle dinamiche atmosferiche, i cui effetti dipendono fortemente dalle caratteristiche degli insediamenti umani. L’urbanizzazione degli ultimi secoli ha contribuito ad incrementare gli elementi esposti e, conseguentemente, il potenziale danno derivante da un evento naturale. D’altro canto, l’intensificazione degli eventi estremi (piogge copiose in brevi lassi di tempo), connessa con i cambiamenti climatici, sta conducendo ad un incremento della pericolosità di inondazioni e frane a dinamica rapida, come flash floods e colate rapide (debris flows).

Per entrambi i fenomeni, idraulici e geomorfologici, il principale fattore innescante è costituito dalle acque meteoriche che, una volta raggiunta la superficie terrestre, ruscellano alimentando i corsi d’acqua o si infiltrano andando ad imbibire i materiali di copertura o, ancora, alimentando le falde idriche sotterranee.

Tra le dinamiche di versante e quelle idrauliche esistono interrelazioni che possono amplificare la magnitudo dei fenomeni stessi. Eventi pluviometrici intensi, infatti, possono innescare inondazioni improvvise, con improvvisi aumenti delle portate di piccoli corsi d’acqua e flussi caratterizzati da una considerevole componente solida. Nelle stesse fasi, colate rapide innescatesi lungo i versanti del bacino per imbibizione rapida del suolo si propagano verso valle, confluendo molto spesso nella rete di drenaggio naturale. L’incremento della frazione solida accresce la capacità dei corsi d’acqua di trasportare blocchi di roccia anche di notevoli dimensioni, con conseguenze catastrofiche sulle infrastrutture trasversali (ponti, dotti, ecc.) o nel caso di tracimazione oltre gli argini. D’altra parte, l’erosione che il corso d’acqua produce alla base dei versanti durante tali eventi può innescare altre tipologie di fenomeni franosi che, riversandosi in alveo, autoalimentano il processo.

Sicurezza territoriale, mitigazione e gestione del rischio

Nell’affrontare il tema della sicurezza territoriale, l’ONU ha indicato chiaramente la necessità di adottare quanto prima le necessarie misure di mitigazione per “rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili” (Agenda 2030, Obiettivo 11 - Città e comunità sostenibili) [5], ribadendo che (UNDRR; Hyogo 2005-2015, Sendai 2015-2030) [6]:

  • investimenti in prevenzione permettono di evitare perdite molto maggiori,
  • è opportuno gestire il rischio piuttosto che i disastri,
  • gli obiettivi di sviluppo sostenibile non sono raggiungibili senza la riduzione dei danni da fenomeni naturali.

Le misure di mitigazione del rischio possono essere strutturali, volte alla riduzione della pericolosità, e non strutturali, finalizzate alla riduzione del danno. Le prime sono caratterizzate dalla realizzazione di opere come riprofilatura di alvei e versanti o realizzazione di argini e muri di contenimento. Le seconde, invece, si riferiscono a quell’insieme di azioni “immateriali” come le attività conoscitive e di monitoraggio, l’adozione di misure di salvaguardia e vincoli, l’attività di pianificazione urbanistica, lo sviluppo di sistemi di allerta e la messa a punto di piani di Protezione Civile. In entrambi i casi, la mitigazione del rischio passa attraverso tre fasi fondamentali:

  • la conoscenza del territorio e dell’evoluzione dei fenomeni che lo caratterizzano,
  • la progettazione degli interventi,
  • l’attuazione di programmi di intervento, pianificazione e controllo.

Le prime due fasi sono affidate alla comunità scientifica e ai tecnici che hanno il compito di ricercare soluzioni adeguate e progettare sistemi capaci di ridurre il rischio, mentre la terza è affidata alle Amministrazioni e agli Enti Gestori.

Conoscere il territorio

La conoscenza del territorio avviene tramite telerilevamento (remote sensing), che consente di acquisire da remoto (satelliti, droni, aerei) dati e informazioni ambientali e territoriali di vaste aree (Fig. 5) integrati e validati da rilievi in campo, indispensabili per l’acquisizione di dati di dettaglio.

L’integrazione dei dati multi-sorgente si sta configurando come prassi operativa in molti settori in cui la conoscenza territoriale sinottica può supportare una migliore gestione delle risorse antropiche e naturali e delle emergenze. Negli ultimi anni, tale attività si è potuta avvalere di una sempre più ampia gamma di dati satellitari e relativi servizi messi a disposizione gratuitamente e forniti da progetti comunitari come Copernicus [7].

Negli studi territoriali, il processamento dei dati multispettrali, l’analisi delle forme e i processi collegati permettono la produzione di cartografie tematiche a supporto di una gestione razionale del territorio. Nelle cartografie tematiche, infatti, è possibile rappresentare processi morfogenetici e processi di evoluzione territoriale come evoluzione del tessuto urbano, cambiamenti nell’uso del suolo, situazioni di vulnerabilità e rischio [8]

L’elaborazione dei dati acquisiti, supportata anche da modellazione numerica 2D e 3D, consente la realizzazione di mappe tematiche in grado di descrivere le condizioni di rischio idraulico e geomorfologico, utili per le Pubbliche Amministrazioni e gli Enti Gestori nella fase di pianificazione e di definizione degli interventi di prevenzione che, come ultima ma in alcuni casi indispensabile misura, devono prevedere anche le delocalizzazioni di elementi “eccessivamente” esposti.

Le tecniche di monitoraggio utilizzate per i fenomeni idraulici si basano, da un lato, su reti idrometriche idonee a misurare regolarmente l’altezza dell’acqua del corso d’acqua e, dall’altro, sulle previsioni meteo-climatiche che interpretano e modellano i dati dei radar pluviometrici, fornendo previsioni a breve termine (nowcasting) sulla distribuzione e magnitudo delle precipitazioni attese.

Per le frane in substrato a lenta evoluzione, il monitoraggio è volto alla misura della velocità dell'eventuale movimento in atto tramite sensoristica a terra (reti GPS, interferometria SAR terrestre e sistemi topografici, tubi inclinometrici) e da remoto, con l’utilizzo di droni, aerei e satelliti (interferometria SAR per la comparazione di immagini ottiche multi-temporali).

Per i fenomeni in substrato a rapida evoluzione, la cui attivazione è preceduta da deformazioni modestissime, il monitoraggio è condotto prevalentemente in situ attraverso la strumentazione delle fratture presenti sull’ammasso roccioso con mire estensimetriche e ottiche, fessurimetri e distometri.

Per i fenomeni rapidi in copertura, essendo le precipitazioni il fattore d’innesco principale, si utilizzano principalmente le stesse tecniche dei fenomeni idraulici (pluviometri e radar pluviometrici). Più raramente strumentazioni specifiche come geofoni, videocamere, barre accelerometriche e sensori di livello ad ultrasuoni vengono installati lungo le porzioni vallive dei corsi d’acqua potenzialmente interessati da questi fenomeni, con la funzione di attivare specifici sistemi di allerta.

Azioni preventive e resilienza

Di fronte alla consapevolezza della inevitabile necessità di convivenza con frane e inondazioni e alla necessità generale di conseguire un maggior equilibrio tra uomo e ambiente, anche nella mitigazione dei rischi naturali, negli ultimi decenni le istituzioni sovranazionali e nazionali hanno spostato l’enfasi dalla reazione all’azione preventiva, promuovendo l’adozione del concetto di resilienza. La comunità scientifica è chiamata a fornire innovazione nelle metodologie e tecnologie di analisi e di intervento e a:

  • rendere gli interventi di carattere strutturale (riprofilature, drenaggi, muri, argini, casse di espansione, briglie, ecc) maggiormente flessibili e sostenibili;
  • promuovere la funzione mitigatrice dei servizi ecosistemici e delle pratiche agro-silvo-forestali sostenibili (nature-based solutions, green infrastructures).

Viste le prospettive di incremento di eventi estremi, il campo su cui si sta concentrando l’attenzione è quello della prevenzione da inondazioni improvvise e colate rapide. L’incremento della conoscenza dei suoli (spessore, caratteristiche litotecniche, contenuto d’acqua) attraverso campagne di misura, sviluppo delle reti di sensoristica a terra e interpretazione di immagini satellitari, permetterà significativi passi avanti nella interpretazione dell’avvio di tali fenomeni.

Per quanto riguarda le colate rapide, grande interesse è rivolto alla definizione delle aree di propagazione dei fenomeni che dalle porzioni superiori dei versanti giungono nei fondovalle e alla relativa interazione delle masse mobilizzate da queste frane con i processi idraulici lungo gli impluvi dei torrenti.

L’insieme di queste informazioni contribuirà a identificare e sviluppare metodologie e tecnologie maggiormente efficienti per il monitoraggio strumentale, l’analisi del rischio ed i sistemi di allerta a servizio delle comunità, delle Pubbliche Amministrazioni, delle imprese e della Protezione Civile (Fig. 6).

 

 

 

Figura 1 - Diagramma di flusso per la definizione del rischio
Figura 4 – Esempio di carta di suscettibilità per fenomeni in copertura a rapida evoluzione
Figura 2 – Classificazione dei fenomeni franosi funzionale all’analisi della pericolosità e del rischio
Figura 5 - Immagine satellitare multi-temporale per il monitoraggio fluviale, pre-evento (sinistra) e post-evento (destra)
Figura 3 – Esempi di fenomeni in copertura a rapida evoluzione (colate rapide)
Figura 6 - Esempio di mappa delle intensità attese su base qualitativa per fenomeni in copertura a rapida evoluzione, funzionale per la successiva analisi del rischio

Riferimenti

  1. https://ourworldindata.org/natural-catastrophes
  2. https://idrogeo.isprambiente.it
  3. https://rischi.protezionecivile.gov.it/it/meteo-idro/fenomeni
  4. Mirauda N., Falconi L., Bastiani M., Coduti C., Puglisi C. (2015). "Rischio da frane e da alluvione". In Borrelli G. (Ed.) La sostenibilità ambientale: un manuale per prendere buone decisioni. Cap. 23, pp. 451-473, ENEA, ISBN 9788882863135. http://www.enea.it/it/pubblicazioni/edizioni-enea/2015/sostenibilita-ambientale
  5. United Nations Regional Information Centre (UNRIC). Agenda 2030
  6. UNISDR (2015) Global Assessment Report on Disaster Risk Reduction. Making Development Sustainable: The Future of Disaster Risk Management.
  7. Candigliota E., Immordino F. 2014 Sistemi geomatici integrati: telerilevamento e sistemi territoriali integrati in (a cura di Redi F. e Armillotta F.) Restaurare in Abruzzo. CARSA Edizioni. Pescara. ISBN 978-88-501-0360-7
  8. https://www.copernicus.eu/it

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