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L'Intervista

Intervista con il Ministro dell’Ambiente: Corrado Clini

A cura di Caterina Vinci - ENEA, Servizio informazione e promozione dei progetti ENEA

La presentazione del libro “Fukushima” di Alessandro Farruggia, avvenuta il 6 marzo scorso a Roma, nella splendida sala Igea di Palazzo Mattei di Paganica, sede storica dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana, è stata l’occasione per il Ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, per tracciare, tra l’altro, quella che secondo lui dovrebbe essere la strategia ambientale nel nostro Paese. Questa strategia vede nella protezione dell’ambiente le opportunità di sviluppo nel quale un ruolo fondamentale viene giocato dall’energia ed in particolare dalle energie rinnovabili. E lo sviluppo delle rinnovabili, ha detto Clini, deve necessariamente basarsi, oltre che su nuove tecnologie, anche e soprattutto su un sistema costituito dalla generazione distribuita che combina elettricità, calore e freddo e che è abbinata alle reti intelligenti (smart grids). Ma ci sarà un gran lavoro da fare in Italia, perché il nostro sistema si è invece consolidato sui grandi impianti energetici e sulle grandi reti di trasmissione energetica.

Inoltre, ha chiarito il ministro Clini, incentivare le fonti rinnovabili non rappresenta uno spreco di risorse, anche se il sistema di incentivi ha privilegiato i consumi finali piuttosto che gli investimenti per lo sviluppo tecnologico. Sarebbe un gravissimo danno non investire nelle rinnovabili in Italia e in Europa. Servirebbe, piuttosto, orientare il supporto degli incentivi pubblici finalizzandoli in investimenti per l’innovazione tecnologica ed in particolare verso tecnologie energetiche innovative, comprese quelle rinnovabili, tenendo conto che in Italia ci sono esperienze importanti. Esperienze tali da attirare investimenti stranieri – americani, tedeschi, cinesi – non nella parte di maggiore redditività finanziaria degli incentivi, ma nella fase della ricerca per l’innovazione. Da questo punto di vista, la Conferenza delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile che si terrà a giugno sarà un’occasione preziosa, secondo il Ministro, per la diffusione di esperienze innovative e la raccolta di investimenti.

Per la rivista EAI dell’ENEA, sullo specifico tema della Conferenza ONU sullo Sviluppo Sostenibile e sull’incidente di Fukushima, il Ministro ha risposto ad alcune domande.

Verso Rio+20: la Conferenza delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile a 20 anni da Rio

Per quanto riguarda la prossima Conferenza mondiale sullo Sviluppo Sostenibile che si terrà a Rio de Janeiro dal 20 al 22 giugno, e denominata Rio+20 perché si svolgerà a 20 anni di distanza dal Vertice della Terra tenuto nella città brasiliana nel 1992, il Ministro ritiene che la grande sfida dello sviluppo sostenibile e della green economy si giochi nella cooperazione fra Paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo sulle nuove tecnologie e l’innovazione tecnologica, cooperazione che deve favorire una crescita economica a basse emissioni di anidride carbonica e di inquinamento. Gli abbiamo chiesto:

A 20 anni da Rio e in vista di Rio + 20 qual è la sfida ambientale, economica e sociale?

La sfida ambientale ed economica globale è quella rappresentata dalle economie in rapida crescita, come la Cina, l’India, il Brasile, il Sud Africa, il Messico, l’Indonesia.  Venti anni fa, quando Rio de Janeiro ospitò la prima Conferenza mondiale sull’ambiente e lo sviluppo, questi Paesi erano nelle condizioni di Paesi in via di sviluppo, che intendevano uscire da una situazione di sottosviluppo e di crisi, chiedendo ai Paesi industrializzati di essere aiutati nel loro cammino verso lo sviluppo.

Ora, lo scenario è completamente cambiato e, in qualche modo, la situazione appare ribaltata nelle prospettive di crescita economica, spesso tumultuosa, che hanno questi Paesi rispetto alle prospettive che abbiamo noi Paesi industrializzati. Non più il confronto fra il nord ed il sud del mondo come nel 1992, ma la ricerca di obiettivi comuni e di regole condivise per la crescita mondiale sostenibile e per l’uso sostenibile delle risorse naturali ed energetiche. Vent’anni fa ci si chiedeva come limitare l’impatto ambientale della crescita economica, oggi i problemi comuni sono le prospettive di qualità dello sviluppo sociale ed economico della popolazione del nostro pianeta, avendo presenti da un lato la limitatezza delle risorse e dall’altro le conseguenze di un loro uso non razionale. La prossima Conferenza di Rio+20 è, da questo punto di vista, non un “summit” da cui deve scaturire un trattato internazionale, ma un confronto costruttivo dal quale far emergere un quadro di riferimento globale e condiviso, rispetto al quale l’economia mondiale possa orientarsi nei prossimi anni nella direzione di una “green economy”.

Che cosa l’Italia intende proporre?

La sfida per l’Italia è quella di cogliere le grandi opportunità che si presentano nel nuovo scenario internazionale e nell’evoluzione delle economie emergenti. Se l’Italia riesce ad essere presente e ad avere un ruolo positivo e propositivo, se le imprese italiane e anche le istituzioni pubbliche italiane sapranno investire nelle economie emergenti con proposte in grado di rispondere alla loro domanda di energia, di energia pulita, di gestione delle acque, di uso efficiente e di conservazione delle risorse idriche, noi avremmo fatto un grande passo avanti per l’economia italiana e per lo sviluppo sostenibile di quei popoli e del nostro.

Tutto ciò appare ancora difficile da capire, almeno a livello di pubblica amministrazione e di iniziative dal punto di vista pubblico. Siamo ancora molto concentrati sulle modalità di sviluppo industriale degli anni 50 e 60 e sui paradigmi del lavoro in fabbrica allora esistenti, all’interno dei quali bisognava dare adeguate garanzie di sicurezza sociale e tutele fondate sulle casse integrazioni, le casse integrazioni  speciali, i sistemi assistenziali e altri sistemi che abbiamo messo in piedi, ma che fanno riferimento a poli produttivi e a processi produttivi ormai obsoleti. È del tutto evidente che con lo sviluppo tecnologico e le diverse esigenze sociali e produttive, quelle modalità di produzione non ci sono più e che la gran parte dei lavoratori, non tornerà a fare il lavoro che facevano prima, né ci sarà quel tipo di lavoro.

Allora, il problema vero che noi abbiamo è come riuscire ad investire le risorse pubbliche, pur garantendo la sicurezza sociale di chi oggi è fuori dai cicli produttivi, per transitare in un futuro molto diverso, che è fatto di innovazione tecnologica, di nuove tecnologie per le fonti rinnovabili, di nuovi sistemi per l’efficienza energetica, di sistemi avanzati e decentrati per l’uso efficiente e per la conservazione delle risorse idriche e delle risorse naturali. Se si dà uno sguardo agli investimenti mondiali, le grandi economie stanno indirizzando quantità notevolissime delle loro risorse economiche verso le nuove prospettive che offrono le tematiche suddette. L’unico paese, l’unica economia che in questo momento sembra mettersi, dopo anni di declino, lungo questa traiettoria è l’economia americana perché il presidente Obama ha fatto un lavoro enorme di supporto al cambiamento, soprattutto nel campo degli investimenti in nuove tecnologie e in know-how. Si tratta, in pratica, di mettere in moto “venture capital”, cioè capacità di credito, che danno fiducia a chi ha idee nuove e a chi vuole investire in progetti innovativi, cosa che in Italia è un fatto molto raro.

Quindi cambiare modello di sviluppo per una nuova politica energetica?

No. Non dobbiamo cambiare modello di sviluppo, dobbiamo intercettare le nuove sfide: la Cina ha in mente di crescere e assicurare ai suoi cittadini i vantaggi economici e i servizi che noi abbiamo garantito ai cittadini europei. E come la Cina anche altri Paesi emergenti. Loro non vogliono cambiare modello di sviluppo, ma vogliono ottenere risultati per la qualità della vita dei loro cittadini analoghi ai nostri. Faccio un esempio. Lo scorso anno in Cina, il mercato automobilistico è stato molto attivo: sono state vendute 20 milioni di autovetture nuove contro 10 milioni scarsi del mercato americano. Nello stesso tempo la Cina intende ridurre o eliminare i problemi di traffico ed inquinamento che la crescita della motorizzazione sta creando.  Questo significa che la Cina non vuole ridurre le attese di crescita, ma che vuole accompagnarla e nello stesso tempo qualificarla in maniera tale da non compromettere l’ambiente, le risorse idriche, la qualità dell’aria. Hong Kong che è un “hub” economico mondiale, oggi non è più attrattivo come nel passato, perché risiedere ad Hong Kong significa una qualità della vita peggiorata per il forte inquinamento atmosferico. E le autorità locali si stanno affrettando per risolvere il problema, sviluppo economico e qualità dell’ambiente non sono più separati, ma integrati. Questi esempi dimostrano che la partita da giocare è quella di coniugare insieme economia, ambiente e società. Questa è la partita su cui l’Italia deve lavorare con le istituzioni di ricerca scientifica e tecnologica e con le imprese che sanno rispondere alle nuove esigenze, che creano valore aggiunto nell’offerta di soluzioni basate su tecnologie avanzate e che fondano il vantaggio competitivo nella continua innovazione di processi e di prodotti. Questa è la strada maestra per il nostro paese nel nuovo panorama economico mondiale.

L’incidente nucleare di Fukushima: una lezione da apprendere

Nonostante la presentazione del libro di Alessandro Farruggia riguardasse l’incidente nucleare di Fukushima e la cattiva gestione di questo incidente, il Ministro non ha voluto né entrare in un dibattito sulla questione nucleare, né commentare, salvo a livello di qualche battuta. Per lui la gestione dell’incidente di Fukushima rappresenta un insegnamento che si può trasferire in campo ambientale e nella gestione della protezione dell’ambiente. Ecco quali sono state le sue parole.

Qual è la sua valutazione del disastro di Fukushima?

Direi che Fukushima è stata un’enciclopedia di errori. Credo, tuttavia, che come sempre avviene nella storia degli eventi disastrosi, anche da Fukushima avremo molti spunti e molti insegnamenti per aggiornare le normative, gli standard tecnici e le diverse procedure. Per quanto riguarda l’evento in sé, non c’è dubbio, Fukushima è proprio una enciclopedia di errori: nella gestione tecnica, nell’informazione alla popolazione, nella politica.

C’è stata secondo lei una collusione fra controllori e controllati che ha amplificato le conseguenze del disastro?

Questa potrebbe essere una delle ipotesi. E non escludo che possa capitare quando si lavora sulla sicurezza nucleare, perché la sicurezza nucleare è un tema di esclusivo interesse pubblico. Pertanto, le agenzie pubbliche nelle loro funzioni di controllori possono avere in moltissimi casi un rapporto stretto, non dico collusione, ma un rapporto stretto con i controllati, cioè con i soggetti gestori degli impianti, ma questo vale non soltanto per il nucleare. È necessario avere Autorità terze che siano in grado di entrare nel merito di problemi complessi e che diano adeguate garanzie sia ai cittadini, sia ai gestori, cioè di essere imparziali e dare una risposta di verità “super partes”. Questo evita anche che ci siano possibili rapporti fra controllori e controllati.

Che insegnamento potrebbe dare la gestione dell’incidente di Fukushima?

Per quanto riguarda l’ambiente e i problemi di gestione ambientale, in cui sussistono parimenti controllori e controllati, credo che l’Italia debba riesaminare il suo sistema delle Agenzie per la protezione dell’ambiente che svolgono funzioni autorizzative e di controllo. Sto lavorando perché l’Italia, la popolazione italiana, possa avere risposte sicure e autorevoli sulla protezione dell’ambiente da parte di una Autorità indipendente, in modo da fornire adeguate garanzie sia ai cittadini che alle imprese. Molto spesso avviene, e il caso di Taranto è significativo, che il rapporto fra Agenzie pubbliche e imprese, che porta poi una procedura di autorizzazione, venga, per così dire, messo in discussione in maniera drastica dall’Autorità giudiziaria, la quale avvia una procedura di valutazione parallela e, possiamo dire, anche antagonista rispetto a quella pubblica. Allora ci sono due questioni da risolvere. La prima è evidentemente la credibilità delle Agenzie pubbliche, che è ancora lontana da standard adeguati per fornire garanzie di imparzialità. La seconda è che nel sistema nazionale per la protezione dell’ambiente ci sono molti attori che giocano la stessa partita da posizioni diverse, mettendo in una posizione marginale il ruolo delle amministrazioni pubbliche. E questo non è accettabile. Però è un dato di fatto e dobbiamo lavorare per recuperare.

E per il nucleare in Italia?

Il programma del precedente governo Berlusconi era quello di raggiungere entro il 2030 una produzione di energia elettrica in Italia suddivisa in un 25% da fonte nucleare, un 25% da fonti rinnovabili ed il rimanente 50% dalle fonti convenzionali. Evidentemente questo programma non sussiste più.  Già lo stesso governo Berlusconi aveva deciso una moratoria. Poi il referendum dello scorso anno ha fatto il resto. Di conseguenza il problema del nucleare in Italia non si pone.

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