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L’Italia al 30° posto per l’alta formazione e la ricerca universitaria

Una nuova analisi sul sistema dell’alta formazione in 48 Paesi che rappresentano diversi livelli di sviluppo socio economico condotta da “Universitas 21”, la rete internazionale delle università fondata nel 1997 e svolta dal Melbourne Institute of Applied Economic and Social Research, è stata recentemente pubblicata on line. Questa ricerca mostra che l’Italia è al 30° posto, dopo Slovenia e Grecia e prima della Bulgaria. Ai primi posti ci sono nell’ordine: Stati Uniti, Svezia, Canada, Finlandia, Danimarca. Agli ultimi posti ci sono nell’ordine: Croazia, Turchia, Sud-Africa, Indonesia e India.

L’indagine è basata su quattro indicatori o parametri di base:

  1. risorse, cioè finanziamenti pubblici e privati per l’alta formazione e la ricerca universitaria;
  2. ambiente universitario, che comprende il bilancio di genere tra studenti maschi e femmine, il corpo insegnante, l’offerta formativa e le infrastrutture di ricerca;
  3. connettività universitaria, che riguarda la presenza di studenti stranieri e il livello di internalizzazione nella rete formativa mondiale;
  4. prodotto universitario, incentrato sul livello di qualificazione dei laureati e il livello di eccellenza della ricerca in base alle pubblicazioni sulle più prestigiose riviste scientifiche.

Rispetto a questi parametri l’Italia è così classificata: al 32° posto per i “finanziamenti”, al 42° per “l’ambiente”, al 28° per la “connettività” e al 25° per il “prodotto” universitario. La media complessiva “pesata” su questi quattro parametri porta l’Italia al 30° posto nella classifica finale, cioè a una posizione di medio-bassa classifica assieme ai Paesi dell’Europa orientale e prima dei Paesi in via di sviluppo. La classifica, in effetti, rispecchia soprattutto i livelli di investimento che ciascun paese effettua in alta formazione e in ricerca e sviluppo. Per esempio, Nuova Zelanda, Polonia e Belgio, che sono ai primi posti rispetto al parametro “ambiente”, finiscono, poi, abbastanza più in basso nella classificazione finale. La Gran Bretagna, che è al secondo posto rispetto al “prodotto” universitario, risulta al 10° posto nella classifica finale.

La classificazione finale vede nella parte alta i Paesi del Nord Europa e del Nord America. I Paesi più avanzati dell’Asia (come Giappone, Corea, Taiwan e Hong Kong) si trovano, invece, subito dopo i primi, nella parte medio-alta. Poi seguono, nella parte medio-bassa, gran parte dei Paesi del Sud Europa e dell’Est europeo; infine, chiudono la classifica quasi tutti i Paesi dell’America latina e dell’Africa. All’ultimo posto si trova l’India, mentre la Cina è al 39° posto della classifica.

In un’altra indagine dello scorso anno, basata su parametri quali la reputazione dell’università e del corpo docente, l’internazionalizzazione, la citazione su riviste internazionali ecc., che aveva analizzato 712 università di tutto il mondo, di cui 21 università italiane, gli atenei italiani non erano classificati molto meglio. Per trovare la prima università italiana, l’Alma Mater di Bologna, bisogna scendere al 183° posto. Le altre sono ancora più giù: la Sapienza è al 210° posto, quella di Padova al 263°, Milano al 275° e il Politecnico di Milano al 277°.

Secondo queste classificazioni, la ricerca italiana non brilla tra i primi posti per l’eccellenza, ma è quasi certamente di buon livello, soprattutto considerando la debolezza di importanti fattori a supporto dell’alta formazione che non facilitano le potenzialità di studenti e ricercatori, quali: la scarsità dei finanziamenti, l’insufficienza delle infrastrutture, l’organizzazione e la modesta internazionalizzazione, fattori che, poi, sono i principali indicatori che spingono l’Italia verso le parti inferiori della classifica.

(Daniela Bertuzzi)

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