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L’Editoriale

di Gianni Silvestrini, Direttore scientifico del Kyoto Club

L’impatto dell’incidente di Fukushima si è avvertito in tutto il pianeta, ma in alcuni paesi si è manifestato con maggiore forza. Oltre al Giappone, che sta radicalmente rivedendo la propria politica energetica, l’effetto è stato particolarmente dirompente in Germania, con l’accelerata fuoriuscita dal nucleare, e nel nostro, che ha definitivamente chiuso questo capitolo.

Da noi, l’esito del referendum impone un ripensamento profondo e la definizione di una strategia di lungo periodo, visto che molte scelte si prolungheranno nei prossimi decenni. Tenendo conto dei vincoli climatici, dei costi complessivi e della sicurezza degli approvvigionamenti dall’estero, un riferimento fondamentale per le strategie del Paese viene dagli obiettivi europei al 2020 su emissioni, rinnovabili ed efficienza. Ma bisogna andare oltre.

La Commissione Europea ha elaborato una roadmap al 2050 che prevede una riduzione dei gas climalteranti dell’80% rispetto al 1990 e una decarbonizzazione quasi completa nella produzione elettrica. Alcuni paesi hanno già definito analoghi obiettivi al 2050.

In particolare, la Germania prevede una riduzione delle emissioni climalteranti del 40% entro il 2020 e dell’80-95% verso la metà del secolo. E questo malgrado la chiusura di 20 GW nucleari entro il 2022. La quota di elettricità verde dovrà poi raddoppiare al 35% nel 2020 e coprire la metà dei consumi nel 2030. Analoghi scenari al 2050 devono essere elaborati e approvati anche in Italia. Una sfida estremamente ambiziosa che avrà implicazioni formidabili sulle modalità di consumo e di produzione dell’energia. I cambiamenti necessari saranno favoriti dalla veloce evoluzione delle tecnologie dell’efficienza e delle rinnovabili, ma non potranno essere affrontati con successo senza una revisione degli stili di vita ed una rivisitazione del nostro modello di sviluppo.

Le riflessioni sul breve e medio periodo devono partire dalla criticità dei nostri conti economici. Proprio per questo va data la priorità ad un serio intervento sulla domanda di energia. Il nostro Paese spende 60 miliardi di €/anno per le importazioni, prevalentemente di petrolio e gas, che salgono a 70 miliardi quando il barile supera i 100 dollari, un valore vicino a quello degli interessi sul debito pubblico. I comparti produttivi della green economy devono essere rafforzati, anche in vista di una loro espansione nel mercato mondiale. Ricordiamo che in pochi anni la Germania ha creato 370.000 posti di lavoro nel solo settore delle rinnovabili. Secondo un recente studio del Consiglio Nazionale degli Ingegneri, al 2020 si potrebbero avere in Italia oltre un milione di addetti nei comparti delle rinnovabili, dell’efficienza e della mobilità sostenibile.

L’efficienza energetica e le azioni di risparmio rappresentano le soluzioni più economiche per ridurre le emissioni climalteranti e le importazioni di combustibili. Il nostro Paese ha già ottenuto risultati interessanti in questo campo, ma presenta ancora notevoli margini di miglioramento. Ricordiamo che in Germania si punta a ridurre i consumi primari di energia rispetto al 2008 del 20% entro il 2020 e quelli elettrici del 10%.

Pur essendo diverse le caratteristiche dei due paesi, sembra giunto il momento di mettere in discussione il paradigma di una ineluttabile crescita dei consumi, in particolare di quelli elettrici. Significative possibilità di intervento esistono nel comparto industriale, nell’illuminazione, negli elettrodomestici. Le modeste caratteristiche energetiche del nostro parco edilizio indicano poi che esistono notevoli margini di riduzione dei consumi. Vanno quindi mantenute e rafforzate le misure come i certificati bianchi e le detrazioni fiscali, ma si deve andare oltre con una specifica linea d’azione per il settore pubblico e con l’introduzione di progressive riduzioni dei limiti massimi di consumo delle nuove costruzioni in vista dell’obiettivo europeo nearly zero energy del 2019-2021. Nel settore dei trasporti, grazie agli standard UE, si stanno riducendo contemporaneamente sia i consumi specifici che i prezzi degli autoveicoli, ribaltando così le preoccupazioni dei costruttori. Vanno inoltre avviate politiche fiscali che scoraggino l’acquisto delle auto più energivore, decise azioni sul trasporto pubblico e anche politiche soft, come il rilancio della mobilità ciclistica o la diffusione del car sharing. La fiscalità va anche utilizzata per indirizzare il trasporto delle merci verso soluzioni meno energivore.

Passando al lato della produzione, osserviamo che il nostro parco elettrico è molto efficiente ma decisamente sovradimensionato, con 104 GW nel 2010 e con previsioni per il 2020 di 110-130 GW, a fronte di una attuale punta di 57 GW. Ogni potenziamento dovrà inoltre essere considerato in relazione alla prevista forte crescita delle rinnovabili e alla necessità di ridurre radicalmente le emissioni di CO2. Negli ultimi anni si è avuta una decisa accelerazione del numero delle installazioni verdi, circa 300.000, con un buon posizionamento a livello internazionale sul solare e sull’eolico. Le politiche governative in questo settore sono state però schizofreniche. Incentivi troppo alti e continui cambiamenti del quadro normativo si sono accompagnati ad una scarsa attenzione alle attività di ricerca e di promozione industriale. Va sottolineato come la riduzione dei costi nel corso di questo decennio renderà alcune tecnologie economicamente competitive. Negli ultimi dodici mesi i prezzi dei moduli fotovoltaici si sono ridotti del 20-30% e nei prossimi anni si raggiungerà prima la grid e poi la generation parity.

Non bisogna poi trascurare la domanda di calore e di raffreddamento: la quota di rinnovabili in questo decennio dovrà triplicare per rispettare gli impegni europei e gli obiettivi indicati nel Piano d’Azione per le Rinnovabili. In questo campo gli incentivi necessari saranno minori rispetto a quelli destinati alla produzione di energia elettrica, in quanto le tecnologie sono poco lontane dalla competitività economica.

Sul versante degli approvvigionamenti energetici si potranno avere criticità nelle importazioni di greggio, mentre la comparsa di nuovi paesi esportatori di gas, incluso quello non convenzionale, dovrebbe assicurare disponibilità di metano a costi accessibili. Gli investimenti nelle infrastrutture - centrali elettriche, elettrodotti, rigassificatori, gasdotti - andranno calibrati tenendo anche conto del processo di decarbonizzazione del sistema energetico.

Un serio sforzo andrà effettuato nei confronti del potenziamento della rete elettrica. Si dovranno prevedere politiche di governo della domanda, un forte potenziamento degli accumuli di energia anche decentrati, una trasformazione “intelligente” delle reti. Priorità assolute, considerando che le rinnovabili già nel 2020 soddisferanno poco meno di un terzo dei consumi elettrici, una quota destinata ad innalzarsi significativamente nel lungo periodo.

Il ruolo del metano sarà centrale nella transizione verso le fonti rinnovabili. Le infrastrutture di importazione andranno quindi adeguate per garantire sicurezza degli approvvigionamenti e per attivare una seria concorrenza. Le scelte andranno compiute ragionando in un’ottica europea, ma considerando i vicoli sulla CO2.

Per finire, va considerato il ruolo centrale che avranno Regioni ed Enti locali nel raggiungimento degli obiettivi nazionali. L’imminente adozione del burden sharing sulle rinnovabili contribuirà ad una loro responsabilizzazione nel raggiungere gli obiettivi al 2020, mentre la forte adesione di centinaia di Comuni al Patto dei Sindaci indica una forte spinta dal basso nel percorso di riduzione delle emissioni climalteranti.

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