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Rio+20: Il futuro che vogliamo non è stato ancora immaginato

L’approvazione del documento finale dal titolo “Il futuro che vogliamo” ha concluso il 22 giugno scorso la Conferenza sullo sviluppo sostenibile, la tanto attesa Conferenza “Rio+20”, a 20 anni dalla Conferenza su ambiente e sviluppo tenutasi a Rio de Janeiro nel 1992 che aveva posto le basi dello sviluppo sostenibile.

La Conferenza è stata accompagnata da una serie di eventi collaterali (500 circa) svoltisi in parallelo fra loro e contemporaneamente ai lavori negoziali dei delegati. Si stima che abbiano partecipato complessivamente circa 50 mila persone, di cui 44 mila ufficialmente accreditati. I paesi partecipanti (191) sono stati rappresentati da 12 mila delegati circa e da 79 capi di Stato e di governo. “La più grande e affollata Conferenza delle Nazioni Unite mai tenuta nella storia delle Nazioni Unite” ha detto soddisfatta la Presidente brasiliana Dilma Rousseff a conclusione dei lavori.

Tra fase negoziale preparatoria (dal 13 al 19 giugno) e fase politico-ministeriale (dal 20 al 22 giugno) la Conferenza è stata caratterizzata nei primi giorni preparatori da intensi lavori per cercare di risolvere una serie di controversie trascinatesi per due anni nei lavori di preparazione con la produzione di un testo di base molto corposo (oltre 200 pagine), ma poco consensuale. Dopo quasi una settimana dall’inizio dei lavori, solo un terzo di questo testo di base aveva trovato un consenso quasi unanime e la Conferenza stava per fallire ancor prima di cominciare la sua sessione finale politico-ministeriale. Per recuperare in breve tempo il massimo consenso, la Presidente brasiliana della Conferenza ha prodotto il 18 giugno un nuovo documento in cui venivano eliminati tutti i punti di contrasto (circa tre quarti del testo base) rendendo il testo finale molto più breve ed esemplificato (meno di 50 pagine). Il nuovo testo riafferma i principi e rinnova gli impegni già presi in passato, su cui il consenso era scontato, ma non definisce per il futuro né obiettivi, né strategie, né alcun impegno, concreto da raggiungere. Per il futuro si limita a dare buoni consigli, rimandando la definizione di eventuali nuovi obiettivi, impegni e azioni, così come di tutti i punti controversi cancellati, alle decisioni dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a cominciare già dalla prossima sessione plenaria.

Questo testo, diventato il documento finale della Conferenza “Il futuro che vogliamo”, è costituito da 283 paragrafi organizzati in sei sezioni. La maggior parte dei paragrafi (circa l’80% del documento) contenuti in 4 sezioni su 6, è di due tipi:

  • paragrafi che riconoscono i problemi esistenti, soprattutto ambientali, oppure che esprimono preoccupazione per l’aggravarsi di tali problemi evidenziando la necessità di risolverli;
  • paragrafi che riaffermano i principi dello sviluppo sostenibile decisi a Rio nel 1992 e nelle Convenzioni, accordi e protocolli successivi associati a Rio 1992 oppure che rinnovano gli impegni assunti dal 1992 in poi in tutti gli atti che discendono da Rio 1992.

Se questi paragrafi che ripercorrono il passato non aggiungono nulla di nuovo, le novità, invece, si trovano nelle due sezioni che riguardavano i temi centrali della conferenza: la green economy nel contesto dello sviluppo sostenibile e il quadro istituzionale per lo sviluppo sostenibile. Ma non si tratta di novità di rilievo, anche perché i paragrafi contenuti in queste due sezioni affrontano i problemi abbastanza marginalmente dedicando appena il 6% del documento alla green economy e circa il 10% del documento al quadro istituzionale, considerato incluso in questo anche gli elenchi e le funzioni delle Istituzioni delle Nazioni Unite.

Per quanto riguarda la green economy non vengono date definizioni. Si dice semplicemente che la green economy deve rientrare nei principi dello sviluppo sostenibile (già ampiamente riaffermati negli altri paragrafi), che deve essere coerente con le strategie e gli impegni già assunti (e ampiamente elencati negli altri paragrafi) e, infine, che deve essere consistente con le leggi internazionali, rispettando, in particolare, il principio di sovranità nazionale. In questo contesto, ogni paese è libero di scegliere quale approccio adottare per la green economy e quale strategia attuare, nel rispetto dei principi di sostenibilità sociale (anch’essi già menzionati in altri paragrafi).

Per quanto riguarda il quadro istituzionale si danno, in pratica, dei buoni consigli. Si dice, infatti, che il riferimento istituzionale per lo sviluppo sostenibile deve integrare i tre aspetti della sostenibilità: quella economica, quella sociale e quella ambientale, deve integrare la cooperazione internazionale tra paesi sugli stessi obiettivi di sostenibilità e deve tener conto del quadro istituzionale esistente. Il quadro istituzionale esistente non è altro che la struttura delle Nazioni Unite: l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite come organo supremo di discussione e decisione, il Consiglio Economico e Sociale per le politiche di sviluppo sostenibile, le analisi e valutazioni e il dialogo fra i popoli, i Forum politici di alto livello per le questioni di analisi tematiche e di proposte di azioni, l’UNEP come pilastro ambientale per lo sviluppo sostenibile, e, infine, le Istituzioni finanziarie internazionali, le Istituzioni governative e intergovernative regionali e locali.

Il testo, infine, chiarisce esplicitamente che non si intendono definire obiettivi o azioni di sviluppo sostenibile, ma si rimandano le scelte ad un processo negoziale successivo che vedrà come protagonista decisionale l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Tuttavia, gli impegni volontari dei singoli Paesi sono benvenuti e incoraggiati. Anzi, i paesi, ma anche le istituzioni non governative, che intendono impegnarsi volontariamente possono trascrivere i loro impegni su un apposito registro istituito allo scopo.

Ben diversi sono stati, invece, i risultati dei circa 500 eventi e manifestazioni collaterali, dove sono state concordate o avviate circa 700 proposte di progetti, suddivisi in collaborazioni bilaterali fra paesi o gruppi di paesi, progetti comuni nel settore industriale e produttivo privato, nuove attività imprenditoriali per lo sviluppo della green economy, nuove attività di ricerca e di innovazione tecnologica per l’uso efficiente delle risorse e la lotta alla povertà. Tutte queste azioni, qualora avessero un reale seguito operativo, comporterebbero nei prossimi anni la mobilitazione di risorse finanziarie per un totale complessivo di 513 miliardi, la maggior parte delle quali (il 62%) sarebbero impegnate nel settore dell’energia sostenibile. Le rimanenti proposte progettuali sono state focalizzate su vari argomenti ma riguardano soprattutto: la riforestazione e la gestione sostenibile delle foreste, l’agricoltura sostenibile, lo sviluppo dell’imprenditoria femminile in Africa, il riciclaggio dei rifiuti, la formazione e lo sviluppo di “green jobs”. Stati Uniti, Unione Europea, Cina, Giappone, Brasile, alcune banche internazionali si sono dichiarate disponibili a cofinanziare parte di queste iniziative.

Tra gli eventi collaterali, di rilevante importanza è stato il Congresso, tenuto il 20 giugno, sulla Giustizia, la Governance e le Leggi per la sostenibilità dell’ambiente, dove sono stati affrontati non solo i problemi di diritto ambientale internazionale e di tutela delle risorse naturali, ma anche quelli dei diritti umani che in molti paesi del mondo non sono ancora attuati e non ultimi i problemi di corruzione che ostacolano l’avvio della green economy.

Di non minore importanza anche il Convegno del 19 giugno sulle azioni per lo sviluppo sostenibile che gli imprenditori privati si sono impegnati ad attuare attraverso la produzione industriale a basso impatto ambientale, la commercializzazione di prodotti certificati e le diverse iniziative di produzione e consumo sostenibili.

Se politici e negoziatori non sono riusciti ad immaginare il futuro che vogliamo, la società civile si è, invece, mossa cercando di definire le iniziative più adatte per un futuro che possiamo più realisticamente immaginare.

(Paola Molinas)

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