Cinque priorità per fare dell'Italia un hub per l'idrogeno
Intervista a Aurelio Regina, Delegato per l’Energia e Presidente del Gruppo Tecnico Energia di Confindustria
Per fare dell’Italia un hub dell’idrogeno e superare le criticità esistenti, occorre agire su cinque leve: supportare la ricerca; promuovere la produzione di idrogeno e dei suoi derivati e incentivare la domanda di idrogeno e dei suoi derivati. Vanno inoltre colmati i gap legislativi e normativi, snellite le pratiche autorizzative e occorre eliminare le asimmetrie informative per promuovere una cultura dell’idrogeno, superando approcci ideologici come quelli che spesso si riscontrano per le diverse cromie dell’idrogeno.
Nelle strategie di transizione energetica di molti Paesi e della Commissione Ue, l’idrogeno si sta sempre più affermando come elemento-chiave. La Presidente Ursula von der Leyen ha dichiarato che sarà una priorità in Next Generation Eu e di voler promuovere un vero mercato europeo con Hydrogen Valleys e Hydrogen Islands. Diversi studi sottolineano che al 2050 questo elemento potrà coprire il 24% della domanda finale di energia, contribuire a ridurre 560 milioni di tonnellate di CO2, creare un giro d’affari di 820 miliardi di euro/anno e 5,4 milioni di posti di lavoro. Presidente Regina, in questo contesto, quali sono le potenzialità, ma anche le eventuali criticità, dell’utilizzo dell’idrogeno?
La forte accelerazione del Green Deal alle politiche europee di lotta ai cambiamenti climatici necessita un ripensamento dell’intero paradigma energetico e lo sfruttamento di opzioni tecnologiche innovative, adatte alla decarbonizzazione dei settori cosiddetti «hard to abate», dove l’elettrificazione diretta non è praticabile dal punto di vista tecnologico o estremamente onerosa in termini economici. Vediamo importanti potenziali per breakthrough technologies come l’idrogeno, nella decarbonizzazione dei settori energivori che oggi utilizzano gas naturale o nella trasformazione della mobilità, in particolare nel trasporto pesante, marittimo o aereo. La criticità principale allo sviluppo di una filiera per il vettore è costituita dagli alti costi di generazione, correlati ad una ancora bassa efficienza degli impianti: l’idrogeno verde può arrivare a costare ben sette volte più del gas naturale che dovrebbe sostituire. La mancanza di una adeguata liquidità, collegata all’onerosità di produzione, genera altre barriere, ossia una domanda ancora limitata (concentrata al momento in specifici settori industriali come la raffinazione e la chimica) e l’assenza di un framework regolatorio sia per l’utilizzo delle infrastrutture che per l’istallazione di impianti.
Dall’agosto 2020 lei rappresenta Confindustria nell’European Clean Hydrogen Alliance, l’associazione che riunisce oltre mille esponenti del settore. Come vi muoverete in questo contesto e su quali aspetti ritiene sia necessario focalizzarsi anche nella prospettiva del Green Deal?
Confindustria crede fermamente nelle potenzialità dell’idrogeno. Abbiamo infatti seguito il processo di messa a punto del quadro comunitario fin da prima della definizione della Strategia Europea, pubblicata nel luglio 2020. Nel mese di agosto Confindustria ha aderito, quale prima associazione datoriale italiana, alla European Clean Hydrogen Alliance (ECH2A), l’iniziativa della Commissione europea che mette insieme enti pubblici e privati, associazioni di imprese e cittadini, per definire le priorità strategiche dei prossimi anni per la promozione e lo sviluppo dell’idrogeno.
Riteniamo importante concentrare l’attenzione sulla necessità di riprogettare le diverse fasi dei processi produttivi tradizionali, dalla re-ingegnerizzazione dei prodotti alla massimizzazione dell’utilizzo di materiali di scarto, dal ripensamento degli impianti produttivi all’ibridazione delle macchine termiche, il tutto per assicurare la riduzione dell’impronta di carbonio. Solo attraverso lo sfruttamento di tutte le opzioni tecnologiche sostenibili, da quelle mature, come le rinnovabili o i sistemi per l’efficienza energetica, a quelle in corso di evoluzione, come l’idrogeno o il CCS/CCUS, si potrà raggiungere la neutralità carbonica del vecchio continente al 2050.
Veniamo al nostro Paese. Nel settembre scorso Confindustria ha presentato un Piano d’azione per l’idrogeno ampio e dettagliato che mira allo sviluppo di una filiera dell’idrogeno nazionale. A suo giudizio quali sono le principali leve su cui agire e quali ostacoli? Possiamo realisticamente diventare un hub dell’idrogeno?
Confindustria ha promosso la definizione di una Strategia per l’Idrogeno da parte delle istituzioni italiane, presentando il Piano d’azione per l’idrogeno lo scorso settembre al Ministro dello Sviluppo Economico. Si tratta di una visione organica sul tema la quale, partendo dall’analisi degli obiettivi/opportunità per l’Italia rispetto agli altri Paesi UE, ha analizzato le principali barriere allo sviluppo di una filiera integrata per comprendere i futuri campi di applicazione e i potenziali mercati per l’idrogeno, anche nell’ottica di trasformare l’Italia in un hub del vettore. In sintesi, per risolvere le criticità a cui facevo riferimento poc’anzi, si può agire su cinque leve:
- Supporto alla ricerca, attraverso il supporto a progetti di ricerca internazionali come quello dell’IPCEI, che ha visto 150 manifestazioni di interesse da parte di aziende italiane;
- Supporto alla produzione di idrogeno e suoi derivati, strutturando un sistema che faciliti l’istallazione degli impianti e copra i costi incrementali di produzione rispetto al combustibile sostituito (in particolare il gas naturale);
- Sostegno alla domanda di idrogeno e suoi derivati, mediante appositi incentivi alla trasformazione degli impianti per accettare il nuovo vettore negli usi energetici finali;
- Chiarire gli aspetti normativi e regolatori, eliminando gli attuali gap presenti sia nella legislazione che nella normazione tecnica e snellendo le pratiche autorizzative, le quali al momento rendono difficile, se non impossibile, portare avanti gli investimenti;
- Promuovere una cultura dell’idrogeno, eliminando le asimmetrie informative sul vettore e presentare in maniera chiara rischi, costi e benefici dello sviluppo dell’idrogeno nel nostro Paese.
Restando all’Italia, Lei ha sottolineato che la Strategia Nazionale sull’Idrogeno può rappresentare un potenziale game changer delle politiche di sostenibilità. Quali sono le condizioni affinché ciò possa avvenire?
L'impiego di combustibili gassosi a basse (zero) emissioni di carbonio contribuirà a ridurre le emissioni di gas a effetto serra solo se saranno disponibili, a prezzi competitivi, volumi adeguati a soddisfare il consumo energetico di settori “hard to abate”, reti di trasporto e distribuzione interoperabili, attrezzature di stoccaggio sicure e tecnologie affidabili per l'uso finale, in sinergia con i trend di elettrificazione previsti a livello comunitario. La Strategia Nazionale sull’idrogeno può rappresentare un game changer se sarà in grado di definire, coerentemente con il framework europeo, politiche e meccanismi basati sul mercato volti a facilitare la produzione e la domanda di nuovi gas, il trasporto e la distribuzione degli stessi, ma anche la produzione di apparecchiature lungo tutta la catena del valore. Abbiamo bisogno di un approccio neutrale sotto il profilo tecnologico, che alimenti una concorrenza leale tra le tecnologie (P2X, storage, CCS/CCUS, ecc.) e vettori (idrogeno, energia elettrica, ecc.), e valuti il risparmio delle emissioni di gas a effetto serra nell’intero ciclo di vita, superando approcci ideologici come quelli che spesso si riscontrano in relazione alle diverse cromie dell’idrogeno.
Nei mesi scorsi (l’intervista esce ad aprile NDR) avete firmato un accordo con ENEA per rafforzare ricerca e innovazione sul fronte idrogeno. E’ sufficiente il grado di collaborazione fra sistema industriale e mondo della ricerca in Italia o servono più sforzi, sul modello di altri Paesi europei nostri concorrenti come ad esempio la Germania? E in che misura gli investimenti in ricerca posso tradursi in maggiore competitività?
Confindustria crede che dal dialogo con le istituzioni, il mondo della ricerca e la società civile si possano ottenere le migliori idee in ogni ambito applicativo. Negli scorsi mesi abbiamo istituito tre focus di approfondimento tematico sull’idrogeno con la collaborazione di ENEA, coinvolgendo altri enti rilevanti per la normazione del vettore come UNI e CIG. Contrariamente a quanto si possa immaginare, il know how se trasferito non viene perduto e allo stesso proposito abbiamo aperto gli incontri del Gruppo Tecnico Energia ad importanti rappresentanti istituzionali. La riunione di insediamento ha visto la partecipazione di Stefano Patuanelli, allora Ministro dello Sviluppo Economico, mentre agli incontri seguenti sono stati invitati il Presidente dell’Autorità per la Regolazione di Energia, Reti e Ambiente (ARERA), Stefano Besseghini, ed il Commissario Europeo per l’Energia, Kadri Simson. Per tornare al rapporto con il mondo della ricerca, abbiamo impostato un ulteriore approfondimento sul futuro scenario energetico nazionale, questa volta in collaborazione con RSE, nell’ambito del quale abbiamo intenzione di mappare le filiere tecnologiche sostenibili per comprenderne la readiness e la resilienza nell’attuale fase di transizione. Gli investimenti che dovremo mettere in campo per raggiungere i nuovi obiettivi al 2030 sono considerevoli, stime preliminari portano ad immaginare oltre 500 Miliardi di € addizionali nei prossimi 10 anni, e l’arricchimento di competenze dato dal dialogo e la consultazione di tutti gli stakeholder sarà centrale per la corretta allocazione dei fondi, a partire da quelli del Piano nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) volti alla ripartenza dell’economia italiana dopo la pandemia.
Più in generale, quali sono le linee portanti della strategia di Confindustria per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione, di contrasto al cambiamento climatico e di sostenibilità nell’ambito delle strategie di rilancio post-pandemia?
Confindustria è fortemente impegnata per valorizzare lo sviluppo sostenibile del sistema industriale, in grado di garantire la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio e la disponibilità di un’energia sicura, compatibile con l’ambiente e competitiva sotto il profilo dei costi per il settore manifatturiero nazionale. In estrema sintesi, sono quattro le linee portanti della nostra strategia per quanto attiene la transizione energetica nel piano di ripresa e resilienza post pandemia e possono essere distinte su due linee di intervento, correlate ai due pilastri tecnologici su cui si basa la lotta ai cambiamenti climatici, ovvero le fonti rinnovabili e l’efficienza energetica.
La prima concerne la decarbonizzazione del settore elettrico attraverso la promozione di una partecipazione attiva dei consumatori industriali alla transizione energetica e lo sviluppo di interventi sulle reti di trasporto e distribuzione.
La seconda concerne la decarbonizzazione del settore gas abilitando la diffusione di nuove fonti e nuovi vettori mediante interventi infrastrutturali e contributi alla filiera.
La terza concerne la decarbonizzazione dei trasporti attraverso il sostegno alla transizione energetica delle fonti e dei vettori di alimentazione del settore, in coerenza con le linee guida governative per la mobilità sostenibile.
La quarta concerne la promozione dell’efficienza energetica attraverso progetti integrati in sinergia con la digitalizzazione dei processi produttivi per la ripresa economica e per l’ambiente.
Filo conduttore di tutte le politiche per abilitare la ripartenza è l’eliminazione dei colli di bottiglia presenti nella burocrazia, pensiamo ad esempio alle pratiche autorizzative insostenibili che, fomentate dal cosiddetto effetto NIMBY (Non In My Back Yard), bloccano l’istallazione di impianti per la generazione di energia pulita.
A proposito di pandemia, secondo alcuni autorevoli esponenti del settore energetico, la crisi che stiamo attraversando può segnare una forte battuta d’arresto negli investimenti in tecnologie e progetti per la transizione energetica. Sono timori giustificati?
Le politiche climatiche ed energetiche sono centrali per la crescita economica del Paese, esse, infatti, influiscono profondamente sui fattori di competitività delle imprese, ma, al contempo, posso rivelarsi una grande opportunità di investimento e avanzamento tecnologico. Il Piano nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), in coerenza con il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC), destinerà gran parte dei fondi per la ripartenza dell’economia italiana al raggiungimento dei nuovi ambiziosi obiettivi di riduzione dei gas serra previsti nel Green Deal UE.
Per tale ragione, crediamo improbabile una completa battuta d’arresto della trasformazione integrata lungo l’intera filiera energetica, la quale saprà stimolare gli investimenti che, gioco forza, sono stati rallentanti nel biennio 2020-2021. Appuntamenti cruciali per comprendere il futuro delle ambizioni climatiche nel contesto globale saranno però il G20, che si terrà in Italia nel prossimo autunno, e la COP 26, gestita in partnership fra il nostro Paese ed il Regno Unito. Il raggiungimento degli obiettivi europei di decarbonizzazione di medio e lungo termine potranno effettivamente tradursi nella transizione energetica dei settori dell’economia, mediante la diffusione di tecnologie verdi abilitate da un nuovo contesto di mercato energetico, solo in un contesto mondiale di cooperazione nella lotta ai cambiamenti climatici. In assenza di una reale convergenza internazionale, la concorrenza sleale delle aree meno attente alle criticità ambientali potrebbe minare non solo il raggiungimento dell’Accordo di Parigi, ma anche la sopravvivenza stessa di una industria manifatturiera in Europa.