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Marco Alverà

Snam si sta preparando alla rivoluzione dell'idrogeno

Intervista a Marco Alverà, Amministratore Delegato di Snam

La Hydrogen Strategy europea e i piani nazionali annunciati da alcuni paesi, inclusa l’Italia, sono un passo importante affinché l’idrogeno possa contribuire all’obiettivo di arrivare a zero emissioni nette di CO2 al 2050. Ma per creare una filiera nazionale ed europea, occorre favorire lo scale up delle tecnologie, la discesa dei costi, l’aggregazione dei consumi anche attraverso le hydrogen valleys e una solida collaborazione tra imprese, istituzioni e mondo della ricerca.

Dottor Alverà, quali sono le policy necessarie per lo sviluppo di un “sistema idrogeno” a livello nazionale ed europeo?

La Hydrogen Strategy varata dall’Unione Europea e le strategie nazionali annunciate da alcuni paesi, inclusa l’Italia, sono un passo importante nella giusta direzione affinché l’idrogeno possa contribuire all’obiettivo di rendere l’Europa il primo continente a zero emissioni nette di CO2 al 2050. Per l’Italia, ad esempio, la strategia posta in consultazione nei mesi scorsi prevede 5 GW di capacità installata per la produzione di idrogeno verde e un primo target del 2% del mix energetico al 2030, con una crescita attesa fino al 20% nel 2050.

Per accelerare lo sviluppo della filiera servono politiche che favoriscano lo scale up delle tecnologie e la discesa dei costi. Ad esempio, il consorzio Gas for Climate ha recentemente proposto alla Commissione Ue di introdurre un target vincolante dell’11% di gas rinnovabili – di cui il 3% di idrogeno verde – nella domanda finale di gas entro il 2030. Questo è, a nostro avviso, un esempio di policy driver efficace, così come può esserlo il ricorso sempre maggiore al blending di idrogeno e gas naturale nelle reti. È inoltre essenziale creare una filiera tecnologica nazionale ed europea per non perdere opportunità come accaduto con il fotovoltaico: in questo senso sarà decisivo dare vita a delle gigafactory per la realizzazione di elettrolizzatori, i componenti che rendono possibile la trasformazione dell’elettricità rinnovabile in idrogeno verde.

Per far partire il mercato, infine, sarà indispensabile aggregare i consumi a livello geografico creando delle hydrogen valley, anche per ottimizzare le infrastrutture. La collaborazione tra imprese, istituzioni e mondo della ricerca sarà un tassello chiave di questo processo.

Lo scorso gennaio, parlando ai Ceo dell’Hydrogen Council, la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen ha sottolineato che “l’Europa prende sul serio l’idrogeno pulito: fa parte del nostro futuro" e che per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 occorre investire nell'idrogeno pulito. Come può il nostro Paese assumere un ruolo di rilievo nell’ambito di una strategia europea per l’idrogeno? Possiamo diventare un hub dell’idrogeno verde e, in prospettiva, un ponte infrastrutturale con il Nord Africa?

Siamo convinti che l’Italia abbia un posizionamento ideale, sia in termini di competenze sia a livello geografico, per svolgere questo ruolo. In primo luogo siamo uno dei primi tre paesi europei nelle tecnologie termiche, in quelle meccaniche e in quelle per la produzione dell’idrogeno. Abbiamo aziende energetiche leader mondiali nei rispettivi settori e disponiamo di un forte know-how nella ricerca, come dimostrano anche le recenti iniziative di Enea.

Siamo già oggi un hub del gas affacciato sul Mediterraneo, uno degli snodi fondamentali per gli approvvigionamenti energetici presenti e futuri. Il potenziale naturale per la produzione di idrogeno da rinnovabili è significativo nel Sud Italia ed è enorme nel Nord Africa. Il nostro Paese potrà essere un ponte infrastrutturale verso la Germania, che giocherà un ruolo chiave nell’economia globale dell’idrogeno. 

Hub di gas

Nei prossimi anni, infatti, Berlino dovrà uscire al contempo da nucleare e carbone e per riuscirci avrà bisogno di molto idrogeno (da 90 a 110 TWh, stando alle stime relative alla loro strategia nazionale). Secondo i calcoli di Bloomberg New Energy Finance, il modo più economico per importarlo al 2050 sarà proprio via gasdotto dal Nord Africa attraverso l’Italia.

La nostra rete si sta preparando alla rivoluzione dell’idrogeno: stimiamo che circa il 70% dei tubi gestiti da Snam sia già pronto a trasportare percentuali crescenti di idrogeno. Abbiamo anche adottato una normativa interna per l’approvvigionamento di materiali per i nuovi gasdotti che consentano di trasportare non solo gas naturale e biometano ma anche, in prospettiva, percentuali crescenti di idrogeno fino al 100%. Contestualmente stiamo anche lavorando su centrali di compressione e stoccaggi.

L’Italia lavora a una Strategia nazionale sull’idrogeno per individuare i settori dove si ritiene che possa diventare competitivo in tempi brevi e per verificare le aree d’intervento più adatte a sviluppare e implementare l’utilizzo dell’idrogeno. Quali sono le proposte e la vision di Snam? E quali sono le criticità eventualmente da superare?

Secondo le nostre previsioni l’idrogeno potrà diventare competitivo in vari settori in tempi relativamente brevi e in anticipo rispetto alle attese. Immaginiamo vari step: per primi, entro qualche anno, i trasporti su rotaia e quelli pesanti, dal 2030 alcuni settori industriali come le raffinerie e alcuni processi di produzione dell’acciaio, infine dal 2040 il riscaldamento domestico e altre applicazioni. Siamo agli albori di una nuova era: per far partire il mercato europeo servirà una regolazione dinamica e un level playing field per mettere gli stati membri nelle stesse condizioni.

Per permettere al mercato di decollare sarà fondamentale la collaborazione tra imprese. Per questo, oltre a preparare la propria infrastruttura al trasporto e allo stoccaggio dell’idrogeno, Snam ha avviato delle partnership con vari operatori, nel rispetto della normativa unbundling, per mettere insieme le rispettive competenze e abilitare lo sviluppo della filiera a livello nazionale ed europeo. In primo luogo, stiamo lavorando con gli operatori ferroviari (FS Italiane e Ferrovie Nord), con i fornitori di motrici (Alstom) e con i fornitori di energia (Eni e A2A) per sviluppare infrastrutture di rifornimento per rendere possibile anche in Italia la mobilità ferroviaria a idrogeno.

Snam sta inoltre collaborando con altri soggetti che utilizzano la propria infrastruttura a monte e a valle (fornitori e consumatori di gas naturale), ciascuno secondo le proprie competenze, per progetti e sperimentazioni finalizzati all’utilizzo dell’idrogeno per decarbonizzare alcuni processi industriali (come raffinazione e siderurgia) o la generazione elettrica. In particolare, abbiamo annunciato insieme a Tenaris ed Edison un progetto finalizzato all’immissione di idrogeno verde in alcuni processi produttivi dell’acciaieria di Dalmine in sostituzione del metano.

Snam è stato il primo grande player a sperimentare l’immissione di idrogeno nella rete del gas a Contursi, in provincia di Salerno. Vi sono altre iniziative in cantiere, in particolare per il nostro Paese?

Il test di Contursi è stato importante perché ha dimostrato che l’infrastruttura gas potrà nei prossimi anni trasportare idrogeno in volumi crescenti per aiutare l’Italia e l’Europa a centrare gli obiettivi di decarbonizzazione. Utilizzare le reti gas è il modo più competitivo per trasportare idrogeno: come calcolato da Guidehouse nello studio ‘European Hydrogen Backbone’, gli interventi necessari per riconvertire l’infrastruttura esistente a idrogeno hanno un costo compreso tra il 10 e il 25% rispetto a quelli previsti dalla costruzione ex novo di nuove reti.

Per quanto riguarda invece le nuove iniziative, la principale inclusa nel nostro piano strategico, con investimenti per 150 milioni, riguarda progetti per la mobilità ferroviaria che abbiamo avviato insieme ad altri partner per la conversione di tratti di rete italiana da diesel a idrogeno. Nel nostro Paese ci sono ancora quasi 5.000 km di rete non elettrificata: il treno a idrogeno, che è già una realtà nella vicina Germania, può diventare una opportunità importante anche per l’Italia. Come accennato in precedenza stiamo anche lavorando insieme ad altre aziende, italiane e non, su sperimentazioni e progetti per mettere a disposizione la nostra infrastruttura e le nostre tecnologie per l’industria e la generazione elettrica.

Più in generale, quali sono le linee portanti della strategia Snam per la transizione energetica e il Green Deal?

Nel nostro piano strategico al 2024 ci siamo dati l’obiettivo di raggiungere la neutralità carbonica al 2040, con un target intermedio di abbattimento del 50% delle emissioni di CO2 equivalente entro il 2030. Guardando all’esterno, ci stiamo impegnando a contribuire sempre di più alla decarbonizzazione del sistema, con oltre 700 milioni di euro di investimenti previsti nei nostri nuovi business per la transizione energetica, come il biometano, la mobilità sostenibile, l’efficienza energetica e l’idrogeno. Tramite queste leve permetteremo al Paese, già nel 2024, di evitare emissioni per oltre 600.000 tonnellate di CO2.

Ritiene che la pandemia, come avvertono esponenti di rilievo del settore energetico, potrà rallentare lo sviluppo, l’implementazione e l’attuazione delle policy per la decarbonizzazione?

Penso che la pandemia si stia rivelando per tutti, aziende incluse, una sfida molto complessa, ma che offre anche l’opportunità di superare l’inerzia e affrontare con maggior coraggio e determinazione il futuro. Come ha sottolineato il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel messaggio inviato insieme ad altri Capi di Stato al Climate Action Summit di due anni fa, il cambiamento climatico è la sfida chiave del nostro tempo e la nostra è l’ultima generazione ad avere l’opportunità di combatterla efficacemente. L’Europa punta a diventare il primo continente a emissioni nette zero e l’Italia è in prima linea, come dimostra l’impegno del governo sulla transizione ecologica. Gli Stati Uniti sono rientrati nell’accordo di Parigi e la Cina ha annunciato l’obiettivo net zero entro il 2060. L’impegno globale sul clima sta riprendendo quota e mi auguro che la COP26 in programma a fine anno in Italia e nel Regno Unito possa portare risultati concreti, anche per lo sviluppo dell’idrogeno.

A suo giudizio quali sono i punti di forza sui quali fare leva e gli ostacoli da superare per raggiungere l’obiettivo europeo della neutralità climatica al 2050?

C’è un impegno e un senso di urgenza forte da parte della Commissione europea, come emerge dal New Green Deal e dai fondi messi a disposizione (a partire dal Recovery Fund). La pandemia sembra aver accelerato questo trend. I segnali sono sicuramente incoraggianti ma dobbiamo essere consapevoli che l’obiettivo rimane estremamente sfidante.

L’elettrificazione degli usi finali, accompagnata da una generazione elettrica da rinnovabili è una leva fondamentale, assieme all’efficienza energetica, ma ci consentirà di decarbonizzare solo il 50-60% del mix energetico. Nuove soluzioni devono essere messe sul campo. E un grande connettore come l’idrogeno può mettere finalmente in comunicazione il mondo dell’elettricità con quello delle molecole in ottica di sector coupling. Come ha sottolineato l’attuale ministro alla Transizione ecologica Roberto Cingolani in una recente lecture, “la sfida della tecnologia è sviluppare soluzioni che risolvano diversi problemi simultaneamente”. È un’occasione che non possiamo permetterci di perdere.

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