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Buone pratiche di economia circolare in Italia: riflessioni sui driver e gli ostacoli per la loro applicazione a livello nazionale

di Marco Conte

DOI 10.12910/EAI2019-030

Il sistema produttivo italiano ha tra le migliori performances di efficientamento e recupero di materiali in Europa. Vi sono numerosi casi di eccellenza di produttori o di intere filiere che hanno adottato strategie comuni o tecniche di riduzione dell’impatto delle produzioni in tema di rifiuti. Ma per poter cogliere in pieno le opportunità dell’economia circolare è necessario avviare una nuova politica industriale, uno sforzo di programmazione e coordinamento e rendere più rapida ed efficace la produzione di norme tecniche

Marco Conte

Marco Conte

Vicesegretario Generale e Responsabile Area economia circolare e ambiente Unioncamere

Ci si aspetta che l’Economia Circolare (EC) rappresenti uno dei fattori di più profonda trasformazione per l’economia e la società. Il modello lineare, che costituisce il modo in cui ancora produciamo e consumiamo, è in realtà destinato a divenire in un futuro molto prossimo un importante limite per lo sviluppo economico e per il benessere della società, a causa della combinazione di vari fattori collegati – tra gli altri – all’esaurimento delle materie prime vergini e al cambiamento climatico.

Realizzare un’EC significa sostituire il concetto del “fine vita di un prodotto” con quello della rigenerazione, puntando sull’uso di fonti di energia rinnovabili, riducendo al minimo l’uso di sostanze chimiche tossiche tali da limitare il riuso dei prodotti o di loro parti, mirando alla riduzione dei rifiuti intervenendo fin dall’origine nel “design” dei materiali, dei prodotti, dei sistemi: in poche parole, una profonda revisione dei modelli di business.

Da queste brevi note appare evidente come l’economia circolare non è un argomento puramente ambientale, ma siamo di fronte alla necessità di una nuova politica industriale, potenzialmente in grado – a regime – di aumentare la competitività, ridurre la dipendenza delle economie di trasformazione dalle materie prime da importare, generando benefici macroeconomici sulle bilance commerciali e benefici diretti per le imprese.

Dopo l’Agenda 2030 dell’ONU per lo Sviluppo Sostenibile, tra il 2015 e il 2018 l’UE ha definito il c.d. Pacchetto sull’economia circolare, cinque direttive che rivedono profondamente il regime giuridico comunitario dei rifiuti, nell’ottica di una loro gestione che risponda a una nuova gerarchia: prevenzione del rifiuto, preparazione per il riutilizzo, riciclaggio di materiali, recupero di altro tipo e smaltimento.

L’adozione di misure per sviluppare un’EC richiede quindi inevitabilmente una nuova strategia sui rifiuti, dove i passaggi principali sono la progettazione di materiali e prodotti il cui valore è conservato nel tempo il più a lungo possibile perché riciclabili e riutilizzabili, la produzione di rifiuti è ridotta al minimo; il recupero attraverso la combustione per la produzione di energia o lo smaltimento in discarica – pur ineliminabile – devono essere considerati una extrema ratio e riguardare frazioni sempre più ridotte di materiali.

Le Direttive devono essere recepite nell’ordinamento interno entro il 7 luglio 2020.

Come si presenta l’Italia all’appuntamento con queste grandi novità? La situazione è molto articolata e diversa se valutiamo il settore economico-produttivo, la gestione dei rifiuti urbani, il quadro delle regole.

Intanto soggetti istituzionali e della società civile hanno costituito un tavolo presso l’ENEA per ragionare insieme sui temi dell’EC. L’Italian Circular Economy Stakeholders Platform – ICESP, che si è articolata in gruppi di lavoro: tra questi il gruppo 6 è incaricato di individuare best practices ed esempi di innovazione tra le imprese, per l’adeguamento a quanto richiede la transizione verso l’EC; l’obiettivo è di stimolare la diffusione tra le imprese della sensibilità ai temi dell’EC e favorire lo sviluppo e la diffusione di pratiche di circolarità.

Le performance di efficientamento e recupero di materiali da parte del sistema produttivo italiano sono tra le migliori in Europa; del resto, in un Paese privo di materie prime questa era una via obbligata. Questo non significa che l’Italia già adotti l’EC, ma solo che il mondo produttivo è abituato a ragionare in termini di riutilizzo e riduzione degli sprechi. E numerosi sono i casi di eccellenza di produttori o di intere filiere che hanno adottato strategie comuni o tecniche di riduzione dell’impatto delle produzioni in tema di rifiuti. Tra i tanti, eccone alcuni senza alcuna pretesa di esaustività.

La Carlsberg Italia, filiale di una multinazionale, ha modificato il proprio modello di business nella direzione di una maggiore sostenibilità e circolarità, convincendo della bontà delle proprie scelte anche la casa madre, che ha poi adottato l’innovazione, che consiste nel trasportare la birra in fusti non più di acciaio che una volta vuoti devono essere eliminati, ma in contenitori in materiale plastico deformabile, che può essere riutilizzato più volte per lo stesso fine.

Ancora una multinazionale della birra – la AB InBev – presente in Italia con una società di distribuzione a Gallarate, ma che controlla anche la Birra Peroni, ha sviluppato nel 2012 un piano per aumentare la propria resilienza davanti ai cambiamenti ambientali come scarsità d’acqua, riscaldamento globale e diminuzione delle risorse naturali. Si sono programmati investimenti per imballaggi ottenuti al 100% da materie riciclate entro il 2025. Il nodo, inevitabilmente, è l’elevato costo della ricerca e delle materie necessarie, per cui si ritiene utile la costituzione di un fondo europeo per la ricerca.

È invece una eccellenza tutta italiana l’industria Viscolube che, forte di una tecnologia innovativa e di alcuni brevetti utilizzati anche oltre oceano, è il leader della filiera del riciclo degli oli esausti, dai quali ricava prodotti rigenerati con prestazioni analoghe a quelle assicurate da prodotti ottenuti da materie vergini: in questi processi produttivi l’uso di materie prime vergini è ridotto a quantità minime. Naturalmente, per alimentare la produzione si è utilizzato un sistema di recupero degli scarti degli stessi clienti, riducendo quindi l’impatto ambientale di quelle produzioni.

Di particolare rilievo per il positivo impatto sull’ambiente Ecopneus, un consorzio creato dai produttori di pneumatici per gestire il riciclo dei PFU. Interessante è il modello di business e il coinvolgimento nel territorio di piccoli trasformatori certificati. L’intero sistema è finanziato da un contributo ambientale che ogni acquirente di pneumatici paga all’atto dell’acquisto e che serve esclusivamente ad assicurare la corretta gestione dello pneumatico a fine vita. La ricerca continua per ridurre sempre più la componente che finisce in termovalorizzazione. È noto l’utilizzo del prodotto della frantumazione di pneumatici fuori uso nella realizzazione di asfalti per le strade, con migliori proprietà di elasticità e silenziosità: e questo dimostra l’importanza delle decisioni da parte delle Pubbliche Amministrazioni le quali, come stazioni appaltanti, devono garantire l’uso di materiali riciclati (si tratta del Green Public Procurement, ancora molto indietro in Italia).

Contarina-Fater è il primo impianto su scala industriale in grado di trasformare il 100% dei pannolini usati in materie secondarie ad alto valore aggiunto. La tecnologia innovativa è stata sviluppata da Fater, una joint venture tra Procter & Gamble e il Gruppo Angelini, dopo una sperimentazione avviata nel 2015 nella sede di Treviso della Contarina.

Da citare ancora due progetti: uno della Barilla con la Favini, finalizzato al recupero della crusca derivante da macinazione di grano, orzo, segale ed altri cereali, non più adatta all’alimentazione. La crusca recuperata, mescolata alla cellulosa, diventa materia prima per la produzione della carta, riducendo il quantitativo di materia vergine necessaria.

Il secondo è il progetto Revet–Plasmix: una collaborazione tra Revet, operante con Corepla, il centro di ricerche Pontech e la Piaggio ha portato a recuperare circa 15.000 tonnellate di rifiuti plastici di bassa qualità e composizione eterogenea (film, componenti di giocattoli, bottiglie di detergenti ecc.) tradizionalmente considerati non riciclabili, che sono stati utilizzati per produrre un mix plastico innovativo, acquistato da Piaggio per componenti plastiche della Vespa.

Un altro esempio di iniziative per la sostenibilità è rappresentato da Aurubis, multinazionale presente in Italia con due società produttive a Mortara e ad Avellino, attiva nella produzione di manufatti in rame, una tra le maggiori esperte in Europa nel recupero e riutilizzo di scarti del rame e di materiali ferrosi. Il Gruppo produce ogni anno 1,4 milioni di tonnellate di prodotti in rame, utilizzando 700.000 tonnellate di materiale riciclato di varie qualità e composizioni. Naturalmente, la compagnia sottolinea la necessità di un’adeguata raccolta differenziata dei materiali da cui recuperare ciò che deve essere riciclato. 

L’EC non riguarda solo l’industria, anzi potremmo dire che il settore naturalmente indicato per l’adozione di politiche circolari è il primario, l’agricoltura, dove da sempre si riutilizzano molti residui di attività agricole, ma molti sono gli ostacoli allo sviluppo di filiere circolari. Qui citiamo il caso della Società agricola Case Levi, una azienda agricola nei pressi di Treviso, che possiede 750 capi di bestiame, 250 ettari di seminativo (mais e soia) e 5 ettari di vigneti. Per ridurre le conseguenze negative – giuridiche ed economiche – della gestione degli effluenti del bestiame, nel 2012 l’azienda decise di investire in un impianto di biogas da 2,5 milioni di euro, che oggi ha una potenza elettrica di oltre 500 kW e produce, oltre all’energia elettrica, composti organici ricchi di sostanze, utili per concimare i terreni (compost) che sono utilizzati in azienda o venduti alle aziende del circondario.

La produzione di rifiuti urbani in Italia è una quantità più o meno simile a quella industriale, per cui anche questo comparto è rilevante per il raggiungimento degli obiettivi comunitari; ma nonostante i grandi passi avanti compiuti in tante aree del Paese, si deve rilevare un livello di raccolta differenziata ben al di sotto del 50% della produzione totale mentre la preparazione per il riciclo e il riutilizzo sono ancora insufficienti: molte sono le frazioni indifferenziate che finiscono in termovalorizzazione, se non in discarica. Ciò significa che rispetto alle nuove norme comunitarie siamo lontani dagli obiettivi indicati, mentre si disperdono enormi quantità di materiali pregiati che potrebbero garantire materie prime/seconde. Su questo è evidente che occorre anche da parte dello Stato uno sforzo di programmazione e coordinamento, altrimenti lo sviluppo dell’EC non potrà essere completo.

Il quadro regolatorio

Questo è forse l’ambito nel quale il nostro Paese denuncia le maggiori difficoltà. A meno di dodici mesi dallo scadere del termine per il recepimento del Pacchetto di direttive sull’EC, è stata appena approvata la norma di delegazione legislativa al Governo, per cui è probabile che il termine non potrà essere rispettato.

L’EC richiede una legislazione molto vicina alle esigenze delle imprese e dei consumatori, ma anche molto rapida: sarà forse necessario definire nuove procedure per l’emanazione di regole tecniche senza dover necessariamente produrre norme legislative o regolamentari, in modo da fornire tempestivamente al mercato le soluzioni utili a garantire la salute pubblica e lo sviluppo di attività economiche. Non corrisponde certo alle esigenze della produzione un tempo medio di quattro anni per un regolamento sull’end of waste (la cessazione della qualifica di rifiuto) e, del resto, anche le autorizzazioni “caso per caso” che le Regioni possono rilasciare, dopo la sentenza del 28 febbraio 2018, n. 1229 del Consiglio di Stato, hanno subìto un deciso ridimensionamento che la recente norma di legge inserita nella conversione del Decreto-legge “Sblocca cantieri” non ha certo recuperato. Si noti che la decisione del Consiglio di Stato è intervenuta proprio sull’autorizzazione dell’impianto di trattamento dei pannolini, di cui si è parlato sopra, alla quale il Governo ha posto rimedio con il Decreto Ministeriale del 15 maggio 2019, sull’end of waste dei pannolini.

A ciò si aggiunga il difficile contesto nel quale operano le amministrazioni che devono autorizzare gli impianti di trattamento dei rifiuti, per l’evidente ostilità delle popolazioni, mentre occorre sottolineare che l’EC si basa su una efficiente rete di impianti di trattamento, relegando incenerimento e discariche al fondo della gerarchia dei trattamenti.

I driver per l’economia circolare

La riconversione dell’economia lineare in EC richiede importanti investimenti, ma molti studi indicano che i ritorni dei profitti saranno molto ingenti. Sono direttamente coinvolti non solo i decisori pubblici, ma anche banche, assicurazioni e investitori finanziari. Qui ci si concentra sulle politiche pubbliche.

La legge n. 221 del 2015 sulla Green economy ha istituito il Catalogo dei sussidi ambientalmente favorevoli e dannosi; questo Catalogo deve essere continuamente aggiornato e deve servire come guida per i primi interventi: rimuovere i sussidi dannosi, rinforzando invece la linea dei sussidi favorevoli. La seconda edizione del Catalogo è stata pubblicata in data 8 luglio 2019 e censisce sussidi dannosi per 19,3 miliardi di euro: questo è certamente un campo nel quale le politiche pubbliche devono intervenire in modo da assicurare la necessaria gradualità all’eliminazione degli incentivi dannosi, liberando nel contempo risorse che potrebbero essere dirottate sul finanziamento di azioni ecosostenibili.

Un’EC comporta profonda innovazione nei modelli di business, nei sistemi e nelle filiere della produzione, nelle abitudini dei consumatori. Ciò significa che le imprese grandi, per loro natura più strutturate e in grado di affrontare l’innovazione, devono però poter contare sulla loro rete di subfornitori che, essendo per lo più PMI, avranno invece maggiori difficoltà a riorganizzare la loro attività: se non si vuole assistere a una forte riduzione di queste imprese – con effetti evidenti sull’occupazione e sul PIL – è indispensabile mettere in campo strumenti pubblici di politica economica e industriale che sostengano le PMI nell’investimento iniziale, non escludendo forme di intervento pubblico diretto magari con fondi rotativi; questo è un tema sul quale anche la nuova Commissione UE intende intervenire, per cui è necessario che il Governo predisponga al più presto la propria posizione. Appare peraltro evidente che questi aspetti non possono essere affidati alle norme di recepimento delle direttive comunitarie, ma richiedono un’attenzione precisa che coinvolga l’intero Governo e in particolare chi si occupa dei sistemi produttivi, del settore primario e delle infrastrutture: ma la questione è di un tale rilievo che non potranno non essere coinvolte le parti sociali e le Regioni.

Servirà peraltro uno strumento pubblico per orientare la ricerca pubblica e privata verso nuovi materiali che siano frutto di riciclo con le necessarie garanzie di sicurezza, affidabilità e durevolezza.

Come la vicenda dell’end of waste dei pannolini dimostra, occorre rendere più rapida ed efficace la produzione di norme tecniche per consentire a determinati materiali di uscire dalla qualifica di rifiuto ed entrare nel mercato delle materie prime seconde: abbiamo visto che qui la strada è ancora lunga, ma deve essere imboccata con decisione e rapidità.

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