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Perché l’economia circolare è così à la page?

di Marco Frey

DOI 10.12910/EAI2019-040

La logica lineare dell’economia che ha caratterizzato il modello di sviluppo dell’ultimo secolo non è più in grado di reggere di fronte alla enorme crescita della popolazione e dei consumi che si è registrata a livello globale e proseguirà nei prossimi anni. Occorre modificare radicalmente i modelli di produzione e consumo, fare ‘meglio con meno’ e recuperare la consapevolezza di un uso più oculato delle risorse. L’economia circolare deve essere vista in modo integrato con la sfida della sostenibilità, puntando con decisione sulla consapevolezza e l’empowerment dei cittadini-consumatori per superare i nodi ancora irrisolti

Marco Frey

Marco Frey

Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa

Stiamo assistendo ad una grande popolarità del concetto di economia circolare che richiede, per essere compreso, una lettura tra passato e presente. Il passato più remoto è quello della natura, prima dell’avvento dell’antropocene, in cui gli equilibri tra produzione e uso delle risorse si sono sempre mantenuti a livelli sostenibili. Così è avvenuto anche nelle nostre società agricole, dove raramente si sprecava qualcosa, perché tutto (pensiamo al maiale) era prezioso. La società dei rifiuti è più recente e ha provocato i danni di cui abbiamo recentemente assunto consapevolezza.

Sappiamo che la logica lineare dell’economia che ha caratterizzato il modello di sviluppo dell’ultimo secolo non è più in grado di reggere di fronte alla enorme crescita della popolazione e dei consumi che si è registrata a livello globale e che proseguirà nei prossimi anni, soprattutto per la spinta dei Paesi in via di sviluppo. Occorre quindi modificare radicalmente i modelli di produzione e consumo, facendo “meglio con meno” e recuperando la consapevolezza di un uso più oculato delle risorse.

La letteratura economica ci segnala da tempo questa necessità. Cominciò Malthus che a fine ‘700 pose in evidenza le prospettive critiche di crescita di lungo periodo derivanti dalla scarsità di terreno necessario a sostenere il contestuale aumento della popolazione e del benessere. L’innovazione tecnologica e il connesso aumento della produttività portata dalla rivoluzione industriale stemperò questa preoccupazione e aprì alla fase delle “future e progressive sorti”, in cui si riponeva una grandissima fiducia nella capacità della tecnologia di garantire uno sviluppo senza limiti.

Nel pieno della grande crisi XX secolo, un altro economista, Harold Hotelling, pose l’enfasi sull’esaurimento delle risorse non rinnovabili, mostrando come il paradigma dello sviluppo fordista, basato su risorse esauribili, riproponesse il problema della conciliazione tra sviluppo e ambiente.

Ma per trovare un riferimento esplicito all’economia circolare bisogna arrivare a Kenneth E. Boulding che poco più di 50 anni fa rappresentò la Terra come una navicella spaziale dotata di uno stock limitato di risorse: l’astronauta trova il suo spazio in un sistema ecologico circolare, che deve essere capace di una continua riproduzione di materia per minimizzare il consumo di risorse scarse.

Da lì in poi abbiamo altri importanti contributi, non più solo di economisti, come quelli del Club di Roma sui limiti dello sviluppo (1972), di Stahel (1982) che propone una nuova economia più efficiente e responsabile in cui i cicli di vita dei prodotti siano allungati o di Ayres (1989) che conia i concetti di ecologia e di simbiosi industriale. Altri economisti, come Pearce e Turner (1991), chiedono che le tre essenziali funzioni dell’ambiente (fornitore di risorse, supporto alla vita, assorbitore di emissioni e rifiuti) abbiano un prezzo, introducendo opportuni strumenti economici che possano incoraggiare una migliore gestione delle risorse e percorsi di circolarità. E prima della fine del secolo abbiamo il Factor 4 di Von Weizsäcker, che valorizza il concetto di disaccoppiamento tra uso delle risorse e crescita del benessere.

 

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Fig. 1 Economia circolare e ciclo di vita del prodotto

Economia circolare e sostenibilità

Nell’ultimo decennio l’orientamento delle istituzioni internazionali verso un’economia green, che parafrasando l’UNEP consente un benessere più esteso e di migliore qualità, salvaguardando il capitale naturale, è cresciuto notevolmente. E più recentemente la prospettiva della green economy è andata arricchendosi con la visione dell’economia circolare, che interessa l’intero ciclo di vita dei prodotti/servizi e modifica radicalmente i modelli di business e le interazioni lungo la filiera.

In questa visione istituzioni, imprese, ricercatori, consumatori sembrano essere uniti, confidando che possiamo trovare davvero un nuovo modello sostenibile di produzione e consumo.

Ma per far sì che ciò sia vero come dobbiamo muoverci? Provo al proposito a indicare sinteticamente quelle che a mio giudizio sono alcune condizioni primarie.

  1. L’economia circolare deve essere vista in modo integrato con la sfida della sostenibilità. Ciò vale sia per le istituzioni che per le imprese. Volendo considerare l’Agenda 2030 come il framework condiviso per il perseguimento in un’ottica di sistema della sostenibilità, la circolarità costituisce un percorso chiave che deve però integrarsi con altri obiettivi, in primis con quelli del cambiamento climatico, dell’innovazione digitale, della lotta alle disuguaglianze, della valorizzazione del capitale naturale. 
  2. life cycle thinking. Questa ci consente di analizzare le diverse fasi in cui è possibile intervenire, modificando l’approccio tradizionale ed individuando opportunità significative di efficientamento nel ciclo della materia e delle risorse. Non bisogna infatti dimenticare che oggi nel mondo solo l’8% dei materiali viene riciclato e che ciò non dipende solo dal livello di scarti/rifiuti che vengono raccolti, ma dalla dispersione in tutte le precedenti fasi del ciclo di vita. Per sintetizzare cosa ciò implichi in termini di modifica del modello tradizionale, nella Figura 1 presentiamo, rivisitando la rappresentazione classica, il ciclo di vita distinto in sette fasi, a cui abbiamo anche associato 8R.  Pur essendo le fasi tra loro interconnesse, l’impostazione concettuale del ciclo di vita ha il vantaggio di consentire ad ogni impresa di individuare l’ambito di intervento che può essere foriero dei maggiori vantaggi in termini economici ed ambientali, concentrandosi prioritariamente su di esso.
  3. In questa logica è opportuno, soprattutto per le imprese italiane, partire dal design, progettando prodotti e servizi che nascano per essere circolari e che quindi utilizzino al massimo materie prime seconde o fonti rinnovabili, siano concepiti per essere disassemblabili, riciclabili, riutilizzabili al fine del ciclo di consumo.
    In una ricerca che abbiamo svolto come Scuola Superiore Sant’Anna è emerso che le imprese che ottengono grazie alla circolarità migliori risultati competitivi sono, subito dopo quelle (solo l’8%) che sono state capaci di perseguire la circolarità in tutte le fasi del ciclo di vita, quelle (15%) che si sono concentrate sul design. E gli esempi di imprese italiane che si sono proposte o hanno rilanciato il loro posizionamento sui mercati nazionali e internazionali su un nuovo design “circolare” continuano a crescere.
  4. È importante sviluppare la capacità di misurare la circolarità. Come in tutte le mode, nel passare dalla intenzione al risultato, è fondamentale dare una misura alle opportunità, agli obiettivi e ai risultati stessi. Vi è una crescente disponibilità da parte delle imprese, ma anche di tutti gli altri attori, a mettersi in gioco, ma è importante capire bene dove e come. Gli strumenti di misurazione, a partire dal Life Cicle Assessment, ci sono, ma devono essere adeguatamente sviluppati per consentire di valorizzare pienamente la grande opportunità offerta dall’economia circolare.
  5. Il tema della valorizzazione richiama un ultimo punto chiave, quello delle politiche. Come ben sappiamo la Commissione Europea sta proseguendo il percorso avviato nel 2015 con il pacchetto sull’economia circolare e ci troviamo ora ad affrontare la sfida della plastica.

I nodi irrisolti

Vi sono però alcuni nodi ancora irrisolti che rischiano di appesantire notevolmente lo stesso percorso. Se il primo è noto a tutti e riguarda l’end-of-waste, ve ne sono altri che meritano di essere richiamati in un’ottica di mercato: l’inserimento di criteri di circolarità nei Criteri Ambientali Minimi (CAM), per utilizzare il Green Public Procurement (PP), l’affermazione di alcuni principi base nelle numerosissime etichette ecologiche di prodotto. In generale le politiche sull’economia circolare di un Paese come il Giappone ci insegnano che il primo investimento da fare per quanto riguarda la trasformazione del modello di sviluppo all’insegna della circolarità è legata alla consapevolezza e all’empowerment dei cittadini-consumatori. È questa la strategia per una “sound material society” che dovrebbe essere fatta propria dall’Europa e dall’Italia.

BIBLIOGRAFIA

  1. Ayres R. U. (1989), “Industrial Metabolism”, in Technology and Environment, pag. 23-49, National Academy Press, Washington D.C.
  2. Boulding K. E. (1966), “The economics of the coming spaceship earth”, NCSE, Boston University
  3. Hotelling H. (1931), “The Economics of Exhaustible Resources”, Journal of Political Economy, Vol. 39, No. 2 (Apr., 1931), pp. 137-175
  4. Malthus T. R. (1798), Saggio sul principio della popolazione e i suoi effetti sullo sviluppo della società, Londra
  5. Pearce D. e Turner R. K. (1991), “Economia delle risorse naturali e dell’ambiente”, Il Mulino, Bologna
  6. Qi J. (2016), “Development of circular economy in China”, Springer International Publishing
  7. Stahel W. (1982), “Jobs for Tomorrow: The Potential for Substituting Manpower for Energy”, Vantage Press Inc., New York
  8. Von Weizsäcker E. U., Lovins A.B., Lovins L. H. (1998), “Factor four: doubling wealth, halving resource use”, Routledge, Londra
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