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Nucleare sostenibile: scenari e prospettive
di Gilberto Dialuce
Presidente ENEA
Il riscaldamento globale di origine antropica che caratterizza gli ultimi decenni (l’ultima decade è stata la più calda sinora registrata e il 2023 è stato l’anno più caldo dal 1850) è secondo la comunità scientifica la principale causa dei cambiamenti climatici che si manifestano sul pianeta con emergenze ambientali che avvengono con sempre maggiore frequenza. Solo riducendo rapidamente al minimo le emissioni di gas serra si potrà cercare di rallentare e stabilizzare un processo per troppo tempo trascurato e questo spiega perché la spinta verso la decarbonizzazione è sempre più forte e nell’interesse globale.
È necessario, perciò, in questo cammino ricorrere a tutti i mezzi che la ricerca e lo sviluppo tecnologico mettono a disposizione per arrivare a una transizione energetica che sia il più possibile rapida, sicura, equa e sostenibile per l’ambiente e il territorio e per le comunità e le imprese: l’efficientamento dei consumi e della trasmissione dell’energia, accanto alla diffusione capillare della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili e lo sviluppo dello stoccaggio dell’energia, sono interventi ormai imprescindibili, ma non consentono da soli di ridurre l’uso dei combustibili fossili a livelli che consentano di centrare gli obiettivi di neutralità climatica che i Paesi industrializzati si sono dati a partire dal primo accordo universale per la lotta contro i cambiamenti climatici del 2015, in occasione della 21ª Conferenza delle Parti (COP21) della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici a Parigi, accolti in ambito G7 e recentemente ribaditi dalla COP28.
L’instabilità dello scenario geopolitico, emersa drammaticamente nell’ultimo biennio, ed i suoi ulteriori sviluppi, che coinvolgono la sicurezza delle rotte di transito dell’energia, e i nuovi scenari sulla necessità di crescenti approvvigionamenti di materie prime critiche necessarie alla crescita degli impianti rinnovabili, hanno evidenziato in modo drammatico la necessità della sicurezza degli approvvigionamenti energetici: in un Paese come il nostro, dove tre quarti dell’energia elettrica dipende dall’estero (importazione diretta o delle materie prime che utilizziamo per produrla), diventa indispensabile cercare una soluzione che permetta a un sistema elettrico basato fondamentalmente sulle rinnovabili di avere la necessaria stabilità di funzionamento in presenza della loro connessa variabilità, garantendo al contempo al mercato elettrico una certa stabilità dei prezzi e della disponibilità a lungo termine.
In questo contesto si inserisce la mozione approvata dalla Camera, che ha impegnato il Governo ad “incentivare lo sviluppo delle nuove tecnologie nucleari destinate alla produzione di energia per scopi civili”. Diretta conseguenza della mozione è stata l’istituzione della “Piattaforma Nazionale per un Nucleare Sostenibile”, coordinata dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica con il supporto di ENEA e RSE, che ha l’obiettivo “di definire in tempi certi un percorso finalizzato alla possibile ripresa dell’utilizzo dell’energia nucleare in Italia e alle opportunità di crescita della filiera industriale nazionale già operante nel settore”.
Senza nulla togliere all’impegno su efficienza energetica, idrogeno (che può rappresentare un promettente carrier energetico del futuro) e sviluppo delle fonti rinnovabili, l’intrinseca discontinuità di queste ultime rende inevitabile che un mix energetico credibile e decarbonizzato debba essere costituito, almeno per una quota parte, da una fonte programmabile e da una serie di soluzioni tecnologiche adatte a settori specifici (quali biogas, biocarburanti avanzati per il trasporto marittimo e aereo), con un ruolo nel transitorio ancora affidato al gas naturale, tenuto anche conto dell’impegno al phase out dal carbone entro il 2025, e della possibilità di ridurne le emissioni tramite la CCS, fonte che tuttavia presenta ancora incertezze in termini di approvvigionamento a causa delle tensioni internazionali a cui sono sottoposte le aree geografiche di produzione e transito.
Nel lungo periodo, una soluzione potrà essere il ricorso alla fusione nucleare: quando saranno risolte le criticità in termini di gestione del plasma ed efficienza di produzione ed estrazione dell’energia prodotta mediante la reazione che tiene in vita le stelle, i reattori a fusione potranno contribuire in modo decisivo al fabbisogno energetico mondiale, dato che si basano per il loro funzionamento sugli isotopi di idrogeno, non legati a scenari geopolitici, e non producono scorie a lunga durata.
La comunità scientifica internazionale, con l’Italia in prima fila, sta facendo sforzi enormi per rendere fruibile questa fonte; i principali progetti in corso sono:
- ITER (International Thermonuclear Experimental Reactor), in costruzione nel sud della Francia, che dovrà essere il primo reattore a produrre un surplus di energia tale da rendere economicamente conveniente sfruttare il processo per produrre energia elettrica;
- JT60-SA (Japan Torus 60 – Super Advanced), realizzato anche con finanziamenti italiani, di recente inaugurato presso il sito di Naka, che dovrà sperimentare le configurazioni di plasma da utilizzare presso ITER;
- DTT (Divertor Tokamak Test), in realizzazione presso il Centro Ricerche ENEA di Frascati, che studierà le configurazioni del divertore, cioè il componente del reattore a fusione su cui si scarica l’enorme calore prodotto e il plasma esausto, che possano essere utilizzate con successo in un reattore a fusione industriale.
Si tratta di un processo lungo e ancora con molte incognite: le stime più credibili degli addetti ai lavori portano al 2050 la realizzazione del primo dimostratore di reattore europeo e alla fine del secolo la diffusione su larga scala dei reattori a fusione.
Nel breve e medio periodo, quindi, una possibilità per introdurre nel mix energetico una quota significativa di energia decarbonizzata e programmabile, che diventi poi alternativa al gas naturale è costituita dal nuovo nucleare avanzato da fissione, e in questo settore il sistema della ricerca scientifica e il tessuto industriale italiano si pongono in posizione di rilievo in tutti i progetti internazionali in questo ambito.
La maggior parte delle centrali nucleari oggi operative sono infatti di seconda generazione, con decenni di operazione alle spalle e dovranno essere sostituite nell’arco dei prossimi 20-30 anni: attualmente sono state agganciate alla rete o sono in fase di realizzazione le prime centrali nucleari di terza generazione, raffreddate ad acqua come la maggior parte dei reattori di seconda generazione, che però incrementano gli standard di sicurezza grazie all’inserimento delle sicurezze passive (che non hanno la necessità di attuatore elettrico e quindi entrano in gioco anche in assenza di alimentazione elettrica) e sono caratterizzate da potenze installate molto elevate. Gli ingenti investimenti necessari e i lunghi tempi di costruzione ne hanno tuttavia limitato l’installazione ai Paesi in cui il ricorso all’energia nucleare era già diffuso e la filiera industriale molto sviluppata. Per facilitare la sostituzione delle centrali nucleari e per nuove applicazioni tecnologiche integrate sono perciò allo studio, anche se con diversi gradi di maturità tecnologica, due filiere molto interessanti: gli Small Modular Reactor (SMR) e gli Advanced Modular Reactor (AMR).
I primi derivano dai grandi reattori di terza generazione, mantenendone immutata la sicurezza ma riducendone drasticamente dimensioni e potenza, con conseguente riduzione dei costi e dei tempi di realizzazione: sono prossimi al dispiegamento, essendo vari progetti in corso di licensing e di sviluppo prototipale, potenzialmente disponibili su larga scala e quindi suscettibili di giocare un ruolo fondamentale già nella prossima decade. Anche la Commissione Europea, che ha riconosciuto la sostenibilità del nucleare innovativo, intende lanciare una iniziativa comune in questo ambito.
I secondi, ancora in fase di sviluppo, sono la versione ridotta dei reattori di quarta generazione: le caratteristiche principali sono la sicurezza intrinseca (sono raffreddati a metallo liquido e sono progettati in modo che in caso di non alimentazione elettrica il reattore si spenga automaticamente, senza l’intervento umano o elettro-meccanico) e con un uso più sostenibile del combustibile, di cui è previsto il riciclo in modo da minimizzare la quantità di rifiuti radioattivi a lunga vita prodotti. Si prevede che i primi prototipi industriali saranno realizzati nei prossimi dieci anni per arrivare, ove tale tecnologia sia confermata in termini di fattibilità e costi, a una produzione alla fine degli anni ’30.
L’ENEA contribuisce in modo significativo allo sviluppo di molteplici concetti di reattori SMR/AMR, tra i quali NuScale (SMR ad acqua pressurizzato, licenziato dal DoE americano), NUWARD (concetto francese di SMR modulare, riferimento europeo, guidato da EDF), Rolls Royce (SMR progettato nel Regno Unito), ALFRED (prototipo UE per un AMR basato su GEN-IV Lead-cooled Fast Reactor, LFR), LFR-AS-30 (AMR sviluppato dalla start-up newcleo, basato sulla tecnologia ENEA).
In ambito fusione, inoltre, su mandato del MASE, ENEA svolge il ruolo di Programme Manager nazionale nel programma europeo per la fusione, coordinando la compagine italiana, costituita dai principali enti di ricerca, player industriali, università e consorzi universitari impegnati nel settore, e funge da Industrial Liason Officer per l’Agenzia europea Fusion for Energy che gestisce le risorse economiche stanziate dalla Commissione Europea per la realizzazione di ITER.
Questo patrimonio di conoscenze e applicazioni di alto livello scientifico e tecnologico e i possibili connessi sviluppi industriali, potranno essere anche occasione di crescita della filiera italiana, che già opera in tali ambiti con successo all’estero, e del mondo della formazione scientifica e professionale. Sarà comunque necessario informare in modo corretto i cittadini sulle opportunità e potenzialità di queste tecnologie: eliminare i pregiudizi e permettere una valutazione basata sulla conoscenza e non sulle emozioni mediatiche è possibile solo ricorrendo a una campagna di informazione e ad azioni di divulgazione semplici, tecnicamente corrette ed efficaci.
In quest’ottica, l’ENEA, che dispone di un Dipartimento con oltre 430 addetti sul nucleare, attraverso i suoi esperti del settore, potrà amplificare il suo ruolo di intermediazione qualificata tra il mondo della ricerca, i cittadini, e le Istituzioni, ruolo che già svolge da anni nel pubblico interesse.