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scarti di frutta e verdura

Digestione anaerobica di scarti agro-zootecnici per la produzione di biocarburanti avanzati

DOI 10.12910/EAI2025-050

di Giuseppe Lembo, Antonella Marone, Antonella Signorini - Divisione Tecnologie e Vettori per la Decarbonizzazione: accumuli, idrogeno, mobilità, CCUS e usi finali – Laboratorio Idrogeno e nuovi Vettori Energetici - ENEA

Il piano europeo REPowerEU pone un'attenzione significativa al biometano per ridurre la dipendenza dal gas naturale e aumentare la sicurezza energetica. Un obiettivo chiave è arrivare al traguardo di 35 miliardi di metri cubi (bcm) all'anno entro il 2030 con un aumento sostanziale della produzione attuale. Questo articolo analizza il ruolo strategico degli scarti agro-industriali nella filiera dei biocarburanti avanzati - ottenuti da biomasse residuali senza competizione con le produzioni alimentari - esplorando le potenzialità della digestione anaerobica, le innovazioni tecnologiche e le prospettive di sviluppo di un settore cruciale per l’economia circolare e la transizione energetica.

L’attenzione verso la sostenibilità e la riduzione dell’impatto ambientale nel settore energetico ha posto i biocarburanti al centro della transizione ecologica. In particolare, i biocarburanti avanzati, ottenuti da biomasse residuali e rifiuti organici non in competizione per l’uso del suolo con le produzioni agricole a destinazione alimentare o mangimistica, rappresentano un’alternativa concreta ai combustibili fossili, in quanto il loro utilizzo contribuisce alla riduzione delle emissioni di gas serra ed alla diversificazione delle fonti energetiche.

In particolare, in Europa, il piano REPowerEU pone un'attenzione significativa al biometano per ridurre la dipendenza dal gas naturale (la fonte di energia primaria maggiormente utilizzata a livello europeo e nazionale) e aumentare la sicurezza energetica riducendone l’importazione da paesi terzi. Un obiettivo chiave è quello di aumentare la produzione di biometano a 35 miliardi di metri cubi (bcm) all'anno entro il 2030, cosa che richiederà un incremento sostanziale rispetto alla produzione attuale.

In questo contesto, la digestione anaerobica (DA) emerge come una tecnologia chiave per produrre biogas, dal quale, dopo purificazione, si ottiene il biometano.  

Permettendo la valorizzazione di residui colturali, reflui zootecnici e sottoprodotti delle industrie agroalimentari la DA rappresenta la tecnologia più importante - e potenzialmente di maggior interesse - per la produzione di energia rinnovabile da parte delle aziende agricole, migliorando al tempo stesso la sostenibilità delle colture. Infatti, in aggiunta alla produzione di energia dagli scarti, come sottoprodotto della DA si ottiene il digestato che può essere utilizzato come biofertilizzante organico, poiché contiene importanti nutrienti come azoto, fosforo e potassio, ed ha un impatto positivo sulla struttura del suolo.

Il ruolo strategico degli scarti agro-industriali

La digestione anaerobica è un processo biochimico che degrada la sostanza organica in assenza di ossigeno, producendo biogas, composto principalmente da metano (55-65%) e anidride carbonica (35-45%), con piccole quantità di impurità come acido solfidrico e ammoniaca. Il processo coinvolge una comunità microbica di bacteria e archaea che lavorano sinergicamente: i bacteria gestiscono le prime tre fasi (idrolisi, acidogenesi, acetogenesi), mentre gli archaea sono responsabili della metanogenesi finale. Questi microrganismi, appartenenti a domini evolutivi distinti, hanno diverse esigenze fisiologiche e caratteristiche ecologiche, ma cooperano attraverso una forma particolare di mutualismo nota come sintrofia. L’incremento dell’efficienza complessiva del processo di digestione anaerobica è un obiettivo strategico per massimizzare la produzione di biogas e biometano, nonché per migliorare la qualità del digestato. Per questo motivo, la DA è al centro di numerose attività di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione condotte dal gruppo di esperte/i del Dipartimento Tecnologie Energetiche e Fonti Rinnovabili (TERIN) dell’ENEA.

Questo articolo analizza il ruolo strategico degli scarti agro-industriali nella filiera dei biocarburanti, esplorando le potenzialità della digestione anaerobica, le innovazioni tecnologiche e le prospettive di sviluppo di un settore cruciale per l’economia circolare e la transizione energetica.

Uno degli aspetti più interessanti della DA applicata agli scarti agroo-zootecnici è la sua flessibilità: questa tecnologia consente infatti di trattare una vasta gamma di matrici, dalle deiezioni animali e sottoprodotti dei caseifici e dei birrifici alle acque di vegetazione dei frantoi, dai residui delle distillerie agli scarti della lavorazione di cereali, barbabietole, patate e scarti di macellazione. Per questo motivo nel nostro Paese è presente un’alta differenziazione locale e stagionale delle biomasse utilizzabili ai fini della digestione anaerobica. Inoltre, è importante sottolineare che non tutti gli scarti agricoli sono uguali: la loro composizione chimica, il contenuto di sostanza secca, la presenza di lignina, cellulosa o zuccheri semplici influenzano profondamente la resa del processo di digestione.

Di conseguenza, negli impianti più moderni si tende a praticare la co-digestione, ovvero la miscelazione di diversi tipi di scarti. Questa, oltre a far fronte alla disponibilità stagionale, consente di bilanciare le caratteristiche dei substrati e di garantire un apporto di carbonio ed azoto ottimale per la crescita dei microorganismi. La pratica della co-digestione permette inoltre di diluire carichi organici eccessivi e picchi di concentrazione di sostanze potenzialmente inibenti e quindi, di ottimizzare la produzione di biogas.

La co-digestione, però, richiede una maggior capacità di gestione ed un’approfondita conoscenza del processo anaerobico che la rende un argomento di ricerca importante. Ad esempio, la co-digestione del liquame di allevamenti bovini con substrati altamente fermentescibili è stata oggetto, negli anni 2010-2013 delle attività di ricerca nell’ambito del progetto MAREA (SOS-ZOOT - D.M. 13459/7303/10), finanziato dal MiPAAF. In particolare, i ricercatori ENEA hanno sviluppato un Disegno sperimentale statistico per individuare la composizione ottimale della mistura di substrati ai fini di aumentare le rese energetiche dalla digestione del liquame (Marone et al., 2015; Varrone et al, 2014).

Il processo a “doppio stadio”

Un differente approccio, utilizzato per ottimizzare il processo di digestione anaerobica, consiste nella separazione e controllo delle diverse fasi della DA in due reattori distinti, in un processo detto “a doppio stadio”. Nel primo stadio avvengono le reazioni di idrolisi e acidogenesi con produzione di un biogas ad elevato contenuto (30-50%) di bioidrogeno. Nel secondo stadio, alimentato con gli effluenti del primo, si svolgono prevalentemente le fasi di acetogenesi e metanogenesi, con produzione di un biogas con un contenuto in metano maggiore di circa il 20% rispetto al processo convenzionale in un singolo stadio. I biogas prodotti possono essere recuperati separatamente o miscelati per formare l’idrometano, una miscela di gas combustibili, che purificati dalla CO2 può essere utilizzata come biocarburante. Una miscela di idrogeno e metano, chiamata hythane®, è un marchio registrato con un contenuto di idrogeno compreso tra il 10 e il 25% in volume (Fulton et al., 2010). Combinando i vantaggi dell’idrogeno e del metano, l’hythane® è considerato uno dei combustibili gassosi più rilevanti nel processo di transizione da un modello basato sui combustibili fossili a una società fondata sull’idrogeno come modalità principale per la produzione di energia.

Al di là del valore aggiunto apportato dalla produzione di idrogeno verde, il processo a due stadi presenta diversi vantaggi rispetto al processo di digestione anaerobica convenzionale a singolo stadio quali: maggiore stabilità e maggiore resa energetica, ed al contempo la durata del processo è ridotta, tutti fattori che contribuiscono  ad aumentare la produttività energetica ed a diminuire le emissioni di gas serra (GHG) (Lembo et al., 2022).

L’esperienza dell’ENEA su questo tema è stata sviluppata negli anni attraverso attività di ricerca e di sperimentazione condotte in passato nell’ambito di diversi progetti, come il progetto METISOL (2011-2013- finanziato dal Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Accordi di Programma ENEA-MSE sulla Ricerca di Sistema Elettrico (2012-2014; 2015-2017) e il già citato progetto MAREA. Quest’ultimo in particolare, in collaborazione con il CREA (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria), ha portato alla progettazione e realizzazione di un impianto pilota a due stadi (brevetto ENEA/CREA n. 0001416926), costituito da un reattore di fermentazione accoppiato a un digestore anaerobico, funzionante con siero di latte e liquame animale (Fig. 1).

Attualmente, all’interno del progetto AGRITECH (task 8.2.1) finanziato con fondi PNRR, l’ENEA è impegnata nello studio di un processo avanzato di digestione anaerobica (DA) a due stadi finalizzato alla massimizzazione della conversione energetica complessiva del residuo della filiera della produzione delle arance, il così detto “Pastazzo”.

La biometanazione

Per poter impiegare su una scala più ampia e diversificata, rispetto alla più semplice produzione di energia elettrica in azienda, il metano contenuto nel biogas è necessario sottoporlo ad un processo di purificazione chiamato upgrading, che rimuove la CO2, oltre all’H2S e altre impurezze presenti in tracce, permettendo di ottenere metano praticamente puro (> 97%), identico al gas naturale, conosciuto con il nome di “biometano”. Il biometano così ottenuto è un “green gas” con caratteristiche tali da renderlo idoneo all’immissione nella rete di distribuzione del gas e per tutti gli usi finali attualmente coperti dal gas naturale contribuendo, in parte, alla decarbonizzazione di settori difficili da elettrificare. Le tecnologie di upgrading commercialmente disponibili si basano principalmente sulla rimozione della CO₂ tramite metodi chimico-fisici come water scrubbing, pressure swing adsorption (PSA), assorbimento con soluzioni di ammine o carbonati e separazione con membrane. Sebbene efficienti, queste tecnologie hanno costi operativi elevati che riducono la profittabilità, specialmente in impianti esistenti che devono essere sottoposti a revamping (Angelidaki et al., 2018).

In questo contesto, il processo biologico di biometanazione, che consiste nella riduzione biologica della CO₂ (contenuta nel biogas) a metano mediante H2 operata da specifici microrganismi  (Agneessens et al., 2018; Fang et al., 2020), riveste un particolare interesse perché potenzialmente utilizzabile su impianti di piccola-media taglia (≤ 300 kW), come sono appunto la maggior parte degli attuali impianti di biogas da reflui di allevamenti zootecnici presenti in Italia.

La metanazione biologica rientra nell’ambito delle tecnologie definite “Power to Gas” (PtG), che consentono la conversione dell’energia elettrica in energia chimica sotto forma di metano (PtM). Con la finalità di contribuire alla decarbonizzazione, la tecnologia richiede che l’idrogeno utilizzato per la riduzione della CO2 a metano, sia prodotto in modalità “green”, quindi per elettrolisi dell’acqua, alimentata da energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili (fotovoltaico ed eolico). Data la natura intermittente e la crescente penetrazione di queste fonti nel mix energetico, in particolare del fotovoltaico, la metanazione della CO2 si configura come una delle soluzioni più promettenti per lo stoccaggio energetico su larga scala del surplus di elettricità prodotta da queste fonti in alcuni momenti della giornata. Questa tecnologia consente quindi di trasformare l’energia elettrica eccedente in un vettore energetico ad alta densità e facilmente immagazzinabile, contribuendo in modo significativo alla gestione degli sbilanciamenti tra produzione e domanda elettrica, nonché alla stabilità e flessibilità della rete (Kougias et al., 2017).

Numerose attività di ricerca, già svolte e attualmente in corso a livello internazionale si focalizzano, principalmente, su due tipologie di processo: la biometanazione “ex-situ”, in cui il la reazione di biometanazione si compie in un reattore dedicato a valle di quelli in cui avviene la DA e, la biometanazione “in-situ”, in cui la conversione della CO2 in metano viene effettuata iniettando idrogeno all’interno dello stesso impianto di DA. Per entrambi i processi, la diffusione dell’idrogeno nella fase liquida è il fattore limitante poiché la bassa solubilità ne riduce la biodisponibilità per i microorganismi. Tuttavia, mentre per il processo ex-situ si può lavorare sulla configurazione dei reattori, per quello in-situ esiste il vincolo della configurazione dell’impianto AD, che nella maggior parte degli impianti a biogas è del tipo continuo a serbatoio agitato “CSTR” (Continuously Stirred-Tank Reactor).

Il processo di biometanazione in-situ è stato oggetto di attività di ricerca del gruppo di esperte/i del dipartimento TERIN dell’ENEA negli ultimi anni. Nell’ambito delle attività relative al Programma di Ricerca sul Sistema Elettrico, (2019-2021;) è stato sviluppato un reattore pilota ibrido CSTR, progettato per ridurre al minimo le modifiche da apportare a un digestore esistente. In questo impianto pilota la biomassa microbica è stata arricchita tramite l’immobilizzazione su supporti mentre il rimescolamento liquido per l'omogeneizzazione dei nutrienti veniva ottenuto tramite il ricircolo del biogas arricchito con idrogeno, favorendo al contempo la solubilizzazione dell’H2 nella fase liquida. (Fig. 2). Con questa configurazione si è ottenuta un una miscela gassosa costituita da 79.6% CH4, 18.0% H2, 2.4% CO2, con un incremento della concentrazione di metano nel biogas del 56%. (Lembo et al., 2023, 2021; Signorini e Rosa, 2021).

In generale, il processo di biometanazione in-situ risulta particolarmente interessante in quanto non richiedendo la costruzione di un ulteriore reattore a valle del preesistente, consentirebbe di apportare modifiche minori su quelli già in funzione, riducendone i costi di revamping. D’altra parte, un eccesso di H2 ed una diminuzione della CO2 disciolta ad di sotto di certi valori possono alterare la stabilità del processo fino alla sua interruzione. Quindi, data la complessità intrinseca della DA, ci sono ancora alcune difficoltà tecniche da risolvere prima che questa tecnologia possa essere utilizzata su larga scala.

Attualmente, nell’ambito del progetto Piano di Ricerca sull’Idrogeno (POR-H2 - LA2.1.8), finanziato con fondi PNRR, sono in corso due attività di ricerca parallele sul processo di upgrading biologico in-situ del biogas.

In una di queste, caratterizzata da un elevato potenziale innovativo, è in fase di studio un nuovo concetto denominato BEPtG (Bioelectrochemical Power-to-Gas), che prevede l’integrazione di una cella di elettrolisi microbica (MEC) all’interno di un digestore anaerobico (DA). Questa tecnologia sfrutta la capacità dei microrganismi elettroattivi (Electroactive Bacteria, EAB) di scambiare elettroni con un materiale elettrodico. L’energia elettrica rinnovabile fornita al sistema consente la riduzione bioelettrochimica della CO₂ a CH₄, attraverso la produzione in-situ di elettroni e/o idrogeno (Fig. 3).

Nell’ambito della seconda linea di attività, è in fase di sviluppo un nuovo processo di biometanazione ibrido (in-situ + ex-situ), in collaborazione con il Dipartimento SSPT dell’ENEA. Il gruppo di lavoro del Dipartimento TERIN è attualmente impegnato nella sperimentazione di un processo in-situ in cui solo una parte della CO₂ viene ridotta a CH₄ mediante l’aggiunta di una quantità ottimale di idrogeno, tale da non compromettere il corretto funzionamento del processo di digestione anaerobica, ma da consentire un incremento del contenuto di metano nel biogas (Fig.3). A questo stadio segue un processo ex-situ, in cui il biogas arricchito e l’idrogeno vengono ulteriormente convertiti in biometano grazie all’azione di colture idrogenotrofiche arricchite. Tale configurazione consente di utilizzare un reattore separato per la fase ex-situ di dimensioni significativamente ridotte, ottimizzando così l’efficienza complessiva del sistema.

La digestione anaerobica degli scarti agro-zootecnici rappresenta una soluzione strategica e sostenibile per la produzione di energia rinnovabile e per la valorizzazione dei residui organici, contribuendo in modo significativo alla transizione ecologica e all’economia circolare. L’evoluzione verso processi a due stadi e l’integrazione di tecnologie innovative, come l’upgrading biologico e i sistemi bioelettrochimici, hanno dimostrato su scala sperimentale di poter incrementare l’efficienza, la flessibilità e la sostenibilità della filiera biogas-biometano.

I risultati ottenuti nei progetti ENEA, in collaborazione con Università ed altri Enti di ricerca, evidenziano come l’ottimizzazione dei parametri di processo e la valorizzazione di substrati diversificati possano garantire una produzione più elevata e qualitativamente migliore di “green gas” utilizzabili come biocarburanti avanzati (bioidrogeno e biometano), riducendo al contempo le emissioni di gas serra e i costi operativi.

Le prospettive future sono orientate verso una sempre maggiore integrazione tra produzione di biogas, utilizzo di idrogeno verde da fonti rinnovabili e innovazione tecnologica, con l’obiettivo di rendere questi processi sempre più efficienti, scalabili e competitivi. In questo contesto, la sinergia tra ricerca scientifica, innovazione industriale e politiche di sostegno sarà fondamentale per consolidare il ruolo dei biocarburanti avanzati nel panorama energetico nazionale ed europeo.

 

 

 

Figura 1 - Impianto prototipo processo doppio stadio per la produzione di idrometano (brevetto ENEA/CREA n. 0001416926).
Figura 2 - Reattore pilota ibrido (60L) di biometanazione in situ, alimentato con reflui dell’industria casearia.
Figura 3 - Reattore sperimentale (1L) per l’integrazione di un sistema bioelettrochimico (BEPtG) nel digestore anaerobico per l’upgrading del biogas attraverso la riduzione in-situ della CO2 a CH4
Figura 4 - Apparato sperimentale (15L) per l’ottimizzazione del processo di upgrading biologico in-situ per la produzione di una miscela arricchita in metano.

Bibliografia

  • Agneessens, L.M., Ottosen, L.D.M., Andersen, M., Berg Olesen, C., Feilberg, A., Kofoed, M.V.W., 2018. Parameters affecting acetate concentrations during in-situ biological hydrogen methanation. Bioresour. Technol. 258, 33–40.
  • Angelidaki, I., Treu, L., Tsapekos, P., Luo, G., Campanaro, S., Wenzel, H., Kougias, P.G., 2018. Biogas upgrading and utilization: Current status and perspectives. Biotechnol. Adv. 36, 452–466.
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  • Varrone, Antonella Marone, Floriana Fiocchetti, Barbara Giussani, Giulio Izzo, Luciano Mentuccia, Silvia Rosa, Antonella Signorini. Optimization of substrate composition for biohydrogen and methane production from buffalo slurry co-fermented with cheese whey and crude glycerol. 22th European Biomass Conference & Exibition (22th EU BC & E) 23-26 June, 2014, Hamburg, Germany

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