Biogas: l’energia che nutre la terra
di Mirco Garuti
DOI 10.12910/EAI2025-029
Oltre ad avvalersi di fonti energetiche rinnovabili e minimizzare la produzione di rifiuti è necessario, nell'ottica di un'economia circolare e sostenibile, considerare la materia organica di scarto come una risorsa con un potenziale ancora da sfruttare. Dal punto di vista ambientale, gli impianti di digestione anaerobica che utilizzano letame e liquame sono doppiamente vincenti perché contrastano il cambiamento climatico sia per le emissioni di gas serra evitate dallo stoccaggio degli effluenti, sia perché il biogas sostituisce fonti fossili, accumulando “crediti” di CO2 equivalente per unità di energia prodotta.

Mirco Garuti
Responsabile del Settore Ambiente ed Energia del CRPA - Centro Ricerche Produzioni Animali
La filiera agroalimentare comprende la produzione, la lavorazione, la distribuzione e il consumo di prodotti alimentari. Oltre alla sua rilevanza economica, l’industria alimentare ha anche un impatto significativo sulla salute pubblica, sulla sostenibilità ambientale e sull’equità sociale, temi questi che stanno portando a un cambiamento delle preferenze dei consumatori con ricadute sui sistemi produttivi zootecnici e agronomici.
La FAO definisce lo sviluppo agricolo “sostenibile” quando la gestione delle risorse naturali, delle tecnologie utilizzate e delle politiche adottate sono in grado di soddisfare i bisogni umani presenti e futuri e di preservare al contempo suolo e acqua. Il cibo e l'agricoltura sono alla base di tutti gli obiettivi di sviluppo sostenibile e la necessità di trasformare i sistemi agroalimentari per renderli più efficienti, più inclusivi, più resilienti e più sostenibili, a beneficio delle persone e del pianeta, è imprescindibile.
Un altro aspetto legato allo sfruttamento delle risorse naturali nel sistema agroalimentare è legato alla eccessiva produzione di rifiuti. Ridurre, riutilizzare, riparare, rigenerare, riciclare e recuperare sono i fondamenti dell’economia circolare e sono alla base dell’incremento nell’efficienza dei processi, sia che essi riguardino la materia oppure l’energia. Diventa chiaro come, in questo contesto, la scelta delle fonti energetiche necessarie alla filiera agroalimentare assuma un ruolo di rilievo.
Oltre ad avvalersi di fonti energetiche rinnovabili e minimizzare la produzione di rifiuti è necessario, nell'ottica di un'economia circolare e sostenibile, considerare la materia organica di scarto come una risorsa con un potenziale ancora da sfruttare.
Residui agricoli, sottoprodotti della trasformazione alimentare sia di origine animale che vegetale, effluenti zootecnici ma anche i fanghi di depurazione e la frazione organica dei rifiuti solidi urbani sono biomasse utilizzabili per generare energia attraverso impianti di digestione anaerobica per la produzione di biogas. Il biogas può essere valorizzato come energia elettrica e termica in cogenerazione oppure ulteriormente purificato a biometano per l’immissione nella rete del gas naturale o per la sua liquefazione ad uso di biocombustibile. La digestione anaerobica è quindi una biotecnologia in grado di ridurre quantitativamente la massa di materia organica producendo energia rinnovabile. Parallelamente produce un effluente risultante dal processo, il digestato, ricco di nutrienti e ottimo fertilizzante per l'agricoltura.
Digestione anaerobica e zootecnia, binomio vincente
Il settore zootecnico è cruciale nel sistema agroalimentare nazionale e si sta trovando ad affrontare sfide complesse interconnesse e riguardanti l’alimentazione e il benessere animale, la trasformazione in prodotti alimentari, la tutela ambientale. Adottare approcci basati su ricerca scientifica e progresso tecnologico permetterà di produrre in modo più efficiente e sostenibile.
Gli effluenti zootecnici dell’allevamento possono avere un impatto negativo sull’ambiente se non gestiti correttamente. In generale, emissioni in atmosfera di gas ad effetto serra come il metano, il protossido di azoto e l’anidride carbonica provenienti dallo stoccaggio non ottimale degli effluenti zootecnici possono influire negativamente sul cambiamento climatico.
Dal punto di vista ambientale, gli impianti di digestione anaerobica che utilizzano letame e liquame sono doppiamente vincenti perché contrastano il cambiamento climatico sia per le emissioni di gas serra evitate dallo stoccaggio degli effluenti, sia perché il biogas sostituisce fonti fossili, accumulando “crediti” di CO2 equivalente per unità di energia prodotta.
La produzione di biogas o biometano rappresenta per il proprietario dell’impianto un reddito aggiuntivo rispetto alla attività zootecnica e agricola. Inoltre, gli agricoltori possono utilizzare il digestato ricco di nutrienti biodisponibili per le piante (principalmente azoto e fosforo) e di sostanza organica per incrementare le rese delle colture vegetali.
Il corretto dimensionamento dello stoccaggio del digestato ne garantisce la gestione circolare, permettendo così di ottenere diversi vantaggi agronomico-ambientali, quali una riduzione delle emissioni dalla fase di stoccaggio e la possibilità di utilizzare il digestato in sostituzione a fertilizzanti di origine fossile nei tempi, nelle modalità e nelle dosi richieste dalla coltura vegetale.
Non solo biogas
Per arrivare ad una produzione alimentare sostenibile, anche la salute del suolo e l'uso circolare dei nutrienti giocano un ruolo importante e la digestione anaerobica può contribuire positivamente anche su questo aspetto, attraverso l’uso del digestato.
La perdita di sostanza organica nei terreni agricoli riduce le rese colturali compromettendo la produzione alimentare in generale. Apportare carbonio organico al suolo mediante l’uso di ammendanti organici non significa semplicemente garantire salute e fertilità del terreno, ma anche sequestrare carbonio dall’atmosfera e quindi compensare le emissioni globali di anidride carbonica di origine antropica contrastando il cambiamento climatico.
Il digestato contiene ancora materiale organico non degradato. Una volta che è apportato al suolo, può essere utilizzato per aumentare il contenuto di carbonio nel terreno quando vengono abbinate tecniche di agricoltura conservativa.
L’agricoltura conservativa per definizione punta a “conservare” il suolo e salvaguardarne la fertilità, lo stato di salute e la sua biodiversità attraverso il minimo disturbo, la copertura permanente della superficie con residui colturali o cover crop e rotazioni colturali.
Per un’azienda agricola l’uso agronomico del digestato porta, oltre ad un beneficio ambientale, anche una riduzione di costi per l’acquisto di fertilizzanti di origine fossile. Per rendere il digestato adatto alle specifiche esigenze fertilizzanti esistono tecnologie in grado di separare, recuperare e delocalizzare i nutrienti. Tra le tecniche di trattamento del digestato, la separazione solido-liquido è senza dubbio quella più applicabile in azienda.
Essa rappresenta solo il primo anello di linee di post-trattamento del digestato più complesse volte ad una separazione dei nutrienti, quali processi per il trattamento della frazione solida (bio-stabilizzazione, compostaggio, essiccazione) e della frazione liquida (microfiltrazione, strippaggio, evaporazione, filtrazione a membrana e osmosi inversa). Questi rappresentano interessanti prospettive per un futuro mercato dei bio-fertilizzanti “su misura” che possono essere prodotti dal digestato solido.
Con il post-trattamento sul digestato liquido, inoltre, si punta ad ottenere una significativa riduzione del volume e a delocalizzare i nutrienti (in particolare azoto e fosforo sottoforma, tra l’altro, di ammonio solfato liquido e struvite) verso zone a bassa intensità zootecnica o ad utilizzarli come componenti per i fertilizzanti stessi.
Guadagnare con il biogas e non solo
Individuare nel digestato una fonte di reddito addizionale per i proprietari degli impianti di digestione anaerobica potrebbe non essere così lontano. I prezzi dei fertilizzanti minerali esercitano un effetto leva significativo, come si è potuto osservare nel 2022 quando sono raddoppiati e triplicati. Nel momento in cui i fertilizzanti minerali diventano troppo costosi rispetto agli elementi nutritivi contenuti nel digestato o la loro disponibilità diventa limitata, il digestato prodotto localmente diventa automaticamente interessante. Se a questo si aggiungono schemi di supporto per gli impianti di digestione anaerobica che siano il più completi possibile e che vadano oltre la sola incentivazione dell’energia rinnovabile prodotta ma includano anche il digestato, l’impianto di digestione anaerobica si può prefigurare ancora di più come una soluzione per promuovere l'economia circolare e la bioenergia.
Ad esempio, nell’ambito del PNRR, il decreto Pratiche Ecologiche favorisce interventi finanziabili con un contributo in conto capitale fino al 65% della spesa ammissibile per la diffusione di pratiche ecologiche (acquisto di attrezzature finalizzate alla minima lavorazione del suolo e per la distribuzione ottimizzata del digestato in campo con riduzione delle emissioni), per la creazione di poli consortili per il trattamento centralizzato del digestato, per la sostituzione di trattori obsoleti e a bassa efficienza con mezzi più efficienti e alimentati esclusivamente a biometano, per interventi finalizzati a migliorare l’efficienza degli impianti esistenti per la produzione di biogas. Altre linee di intervento di future forme di supporto potrebbero riguardare la definizione e la implementazione di schemi di remunerazione per le pratiche di sequestro del carbonio nel suolo (carbon farming).
Biogas o biometano?
La digestione anaerobica è una tecnologia così versatile che permette di realizzare impianti di dimensioni molto diversificate. Si può andare da micro-impianti da 3-10 Sm3CH4/ora, a impianti di piccole-medie dimensioni tra 15-130 Sm3CH4/ora e fino a 150-500 Sm3CH4/ora e grandi impianti da 500-1.200 Sm3CH4/ora e oltre.
La scelta del dimensionamento dell’impianto dipende da molteplici fattori, primo fra tutti la disponibilità di biomasse che è strettamente legata al tema della presenza di allevamenti zootecnici, industrie di trasformazione dei prodotti alimentari ma anche realtà agricole in grado di produrre, oltre a colture vegetali per il mercato del food e del feed, anche residui agricoli e colture vegetali dedicate alla bioenergia (ad esempio secondi raccolti, cover crop).
Altri aspetti che vanno presi in considerazione riguardano il destino d’uso previsto per il biogas generato (cogenerazione/purificazione a biometano, autoconsumo aziendale, comunità energetiche rinnovabili/autotrasporti/usi industriali, utilizzo della CO2 rinnovabile del biogas) e, ovviamente, la tipologia di schema incentivante a supporto del progetto.
Realtà agro-zootecniche di piccole e medie dimensioni che non trovano sostenibilità economica nella realizzazione di un nuovo impianto di biometano o nella riconversione a biometano di un impianto biogas esistente, potranno dare il loro contributo alla transizione energetica producendo biogas per la cogenerazione. Con il decreto FER2 vengono delineati i meccanismi di incentivazione per una serie di fonti rinnovabili innovative, prevedendo un contingente di 150 MW di potenza elettrica installata per nuovi impianti alimentati a biogas e a biomasse solide da mettere a bando tramite le procedure dei registri basate su un meccanismo di offerta di ribasso percentuale rispetto alla tariffa di riferimento.
Scelte consapevoli
Il dibattito sulle dimensioni dell’impianto può essere controverso. I progetti biometano richiedono risorse significative per la loro implementazione, quali ad esempio l’allacciamento alla rete del gas naturale, i costi operativi per la logistica di approvvigionamento delle biomasse, per lo spandimento del digestato, per l’ordinaria gestione e per le specifiche manutenzioni. Sono quindi importanti i vantaggi derivanti dall’economia di scala del progetto, sia nella gestione di costi che nell’ottenimento dei ricavi dalla produzione di energia quando si parla di upgrade del biogas a biometano.
Tuttavia, anche la semplice produzione di energia elettrica da biogas è funzionale alle aziende agro-zootecniche in grado di valorizzare l’energia termica del cogeneratore e di privilegiare effluenti zootecnici, sottoprodotti e residui agricoli come biomasse in alimentazione all’impianto.
Per l’estrema versatilità della digestione anaerobica è ragionevole pensare anche a soluzioni alternative, come la realizzazione di impianti biometano centralizzati in cui le singole aziende agro-zootecniche non abbiano un impianto di digestione anaerobica di proprietà ma conferiscano biomassa (in particolare effluenti zootecnici) e riutilizzino il digestato sui terreni aziendali.
In conclusione, la digestione anaerobica si pone come una delle tecnologie più promettenti per affrontare le sfide dovute al cambiamento climatico e all'autonomia energetica dalle fonti fossili e che meglio si abbinano alle migliori pratiche zootecniche e agricole sostenibili per ridurre l'impatto ambientale della filiera-agroalimentare.
