Copertina della rivista
Francesca Zarri

L’innovazione è al centro della nostra mission

Intervista con Francesca Zarri, Director Technology, R&D & Digital di Eni

Francesca Zarri è Director Technology, R&D & Digital di Eni dal luglio 2020. E’ laureata in Ingegneria Mineraria ed è Presidente di Eniservizi, di EniProgetti e rappresentante di Eni in Assomineraria. Fa inoltre parte del Board dell’Accademia Italiana di Ingegneria e Tecnologia. Tenuto conto di questo suo curriculum e del fatto che sia una delle poche donne in prima linea nel management dell’azienda abbiamo voluto intervistarla sui temi della ricerca e dell’innovazione. In particolare le abbiamo chiesto quali sono le maggiori sfide per un’impresa che voglia fare innovazione e trasferimento tecnologico oggi in Italia? E qual è il percorso intrapreso da Eni?

Eni mette l’innovazione al centro, partendo dal principio che il sapere, il merito, la propositività e il dialogo con l’esterno hanno, e devono sempre più avere, un ruolo fondamentale, un impegno costante e quotidiano affinché le persone che lavorano nei nostri laboratori, nei nostri uffici e nei nostri siti produttivi possano dare sempre il meglio di sé e sentirsi parte viva del grande percorso di trasformazione che Eni ha intrapreso. Ciò è necessario per passare sempre più da una innovazione migliorativa di processi legati a forme tradizionali di energia a proposte e idee che, una volta concretizzate e messe sul mercato, ci aiutino a trasformare, de-carbonizzandolo, il cuore stesso del nostro business.

E’ importante essere coscienti di come il proprio lavoro andrà ad inserirsi in una strategia articolata e di ampio respiro e di come il proprio contributo, in continuità all’impegno di chi l’ha preceduto/a, abbia un senso ed un valore ben preciso.

Fino dai primi anni Duemila, proprio per supportare l'onboarding di nuovi ricercatori o ingegneri e la creazione di un patrimonio strutturato, indicizzato e “vivo” di esperienze, sviluppiamo sistemi interni di condivisione della conoscenza, delle criticità e delle best practices scientifico-tecnologiche che possono essere messe a fattor comune su progetti diversi in svariate parti del mondo. Questo contribuisce sia al rafforzamento dell’efficienza e dell’affidabilità dei nostri asset industriali, sia a quella fertilizzazione trasversale di idee e di saperi che caratterizza il nostro approccio all’innovazione.

Può farci un esempio?

Uno di questi sistemi, chiamato eKMS (Eni Knowledge Management System), è stato recentemente insignito di un importante riconoscimento di eccellenza, conferito da APQC (American Productivity & Quality Center), autorità di riferimento a livello mondiale nel benchmarking, best practices e miglioramento del knowledge management.

e-KMS oggi è diventato il punto di riferimento per il knowledge management di Eni, l’ambiente dove condividiamo e sviluppiamo la nostra conoscenza tecnica, raccontiamo le nostre esperienze operative (ad esempio attraverso la produzione di webinar fruibili sia in diretta sia on-demand), raccogliamo e capitalizziamo le nostre lessons learnt e presentiamo i casi di successo nei quali il Knowledge Management ha avuto un ruolo chiave nel creare benefici di business (le nostre “Success Stories”).

Vi sono ulteriori sfide in questo percorso?

L’altra sfida è di natura prettamente realizzativa, vale a dire è costituita dalla difficoltà di portare l’idea tecnologica dal (progetto) pilota nei laboratori fino a divenire impianto o prodotto dimostrativo.
In Eni, già da molto tempo, e ogni giorno con rinnovata energia, ci stiamo impegnando per accorciare questa distanza tra idea innovativa e nuovi prodotti o servizi pienamente sostenibili affinché proprio l’innovazione rimanga sempre centrale nella nostra Mission di contribuire a una “just transition”, nella quale l’accesso all’energia venga esteso ad un numero sempre maggiore di persone nel mondo (in questo ci sentiamo particolarmente coinvolti, operando in oltre 60 Paesi) e al tempo stesso tale accesso avvenga in condizioni intrinsecamente e durevolmente sostenibili per l’ambiente e per le comunità.

Quella della “just transition” non è un’equazione semplice da risolvere, ma in essa sta il segreto di una significativa componente di qualità della nostra vita futura e di quella delle prossime generazioni e, ancor più, un “seme” di giustizia sociale a cui l’innovazione è in grado di contribuire.

Qual è la sua ‘ricetta’ per renderlo concreto?

E’ veramente imperativo lavorare per creare un link virtuoso tra nuove idee e loro realizzazione, se pensiamo alla brevità della finestra temporale che le nostre economie e i nostri Paesi hanno a disposizione per trasformare interi settori, tra i quali quello dell’energia. Un segno di questa urgenza ci viene ad esempio dagli investimenti enormi che si stanno dispiegando già oggi[1] e che ancor più occorrerà profondere per la trasformazione di questo settore, dove la presenza materiale degli Stati assieme a quella dei privati, e quindi anche il pieno consenso dei cittadini, è indispensabile per poter progredire con la necessaria rapidità. Il riconoscimento da parte di Eni del valore della tecnologia come enabler di una transizione energetica equa e sostenibile ci ha quindi portati, nell’estate del 2020, proseguendo un percorso intrapreso già diversi anni prima, alla creazione della Direzione che attualmente presiedo, denominata TECH.

Quali sono le sue caratteristiche?

Essa integra un insieme di professionalità e di strutture da sempre presenti in Eni - ma fino ad allora distribuite in aree separate della nostra azienda - con nuove competenze e processi indispensabili per rispondere agli obiettivi di innovazione identificati nel corso di questi tre anni. La realizzazione di questa «casa comune» della tecnologia, che comprende l’innovazione tecnologica e digitale e i servizi di ingegneria, è il vero valore aggiunto di TECH, perché favorisce l’integrazione di competenze differenti in campi sia contigui sia apparentemente distanti tra loro. Ciò catalizza processi innovativi, promuovendo una cultura e un’appartenenza comuni tra oltre duemila persone.

TECH realizza la Ricerca & Sviluppo e l’innovazione tecnologica & digitale per il raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione e a supporto dei business di Eni, con un approccio trasversale ed integrato, anche puntando a tecnologie game-changer, attraverso prestigiose partnership esterne. Fornisce servizi ingegneristici ed informatici all'avanguardia, garantendo l’integrità degli asset e la nostra cyber resilience.

TECH ha inoltre adottato modelli di Open Innovation per valorizzare le tecnologie proprietarie e svilupparle fino alla creazione di iniziative imprenditoriali con elevato potenziale, che esplorano nuovi mercati, per promuovere la Just Transition e creare valore a breve e medio termine.

In questo modo lavorate per massimizzare la fertilizzazione incrociata di conoscenze ed esperienze, valorizzando il patrimonio intellettuale di Eni?

Si. Perché raggruppare sotto un unico «tetto» saperi tecnico-scientifici ed ingegneristici e persone con una grande varietà di esperienze aumenta la robustezza della nostra società e la focalizzazione nel dialogo con l’esterno, altra componente fondamentale del lavoro e della “mission” di TECH all’interno di Eni.

Questa impostazione organizzativa ci consente oggi di fare cose molto interessanti, come ad esempio applicare ad ambiti differenti esperienze maturate nei settori energetici più tradizionali; posso riportare due esempi particolarmente significativi:
Il primo riguarda un ambito nel quale conoscenze sviluppate e provate sul campo per decenni possono ora essere messe al servizio della transizione energetica; mi riferisco alla cattura, stoccaggio e utilizzo della CO2 (CCUS, Carbon Capture, Utilization & Storage).
La possibilità di riutilizzare parte dei nostri asset upstream e dei giacimenti esauriti ci consente di proporre progetti di trasporto e stoccaggio ottimizzati, che, interfacciandosi con la realtà produttiva locale, prenderanno la forma di “hub” industriali.

Questi hub CCUS possono rappresentare un'opportunità ideale per la decarbonizzazione dell'industria, riducendo il costo complessivo del CCUS per gli emettitori attraverso la realizzazione di un'infrastruttura condivisa.

Che esperienza avete nel campo della CCUS?

Eni ha in particolare una significativa esperienza rispetto alla fase della cattura, in quanto ha da sempre affrontato il tema della separazione della CO2 nei flussi upstream (in particolare con processi basati sulle ammine, anch’essi applicati con successo da decenni).

Le tecnologie di cattura e stoccaggio sono ritenute anche dalla IEA una componente importante del ventaglio di strumenti che abbiamo a disposizione per contribuire alla decarbonizzazione dei nostri sistemi energetici ma ancor più di quelli produttivi, per i cosiddetti settori industriali “hard to abate”, come i cementifici, nei quali proprio il ciclo produttivo è in sé generatore di emissioni di anidride carbonica, indipendentemente dalla fonte energetica utilizzata per sostenerlo.

Le nostre capacità di caratterizzazione e modellizzazione del sottosuolo, che ci sono riconosciute a livello internazionale e che si avvalgono di sistemi di supercalcolo come il nostro supercalcolatore HPC5 (ad oggi il quindicesimo al mondo per potenza di picco), la varietà di esperienza accumulata dai nostri geologi in più di 70 anni in tutto il mondo e le sofisticate tecnologie di monitoraggio dei giacimenti depleti utilizzabili per lo stoccaggio (inclusi sistemi automatizzati di droni sottomarini, la nostra tecnologia Clean Sea) che per milioni di anni hanno contenuto gas naturale e che, dopo un’estensiva fase di verifica e validazione, possono essere dichiarati idonei anche a contenere la CO2 catturata da siti industriali ed ivi re-iniettata, ci hanno consentito, di posizionarci come uno dei principali attori nello sviluppo di progetti di CCS nel Regno Unito.

E il secondo esempio?

Il secondo esempio di applicazione a nuove tematiche di conoscenze sviluppate in altri settori è quello della fusione a confinamento magnetico, una tecnologia nella quale Eni crede molto. Il nostro impegno su ricerca e innovazione tecnologica al servizio della decarbonizzazione sta producendo infatti miglioramenti incrementali, ma spesso sostanziali, di tecnologie esistenti, la nascita di nuove tecnologie per lo sfruttamento di fonti rinnovabili e, infine, l’apertura di percorsi verso tecnologie breakthrough o game-changer, potenzialmente in grado di cambiare permanentemente il paradigma energetico mondiale, come appunto quella della fusione a confinamento magnetico, che possiamo considerare come l’esempio più avanzato ad oggi del modo di Eni di lavorare nell’innovazione tecnologica.

Nel pensiero comune, anche di una parte importante del mondo accademico, la fusione è ancora spesso ritenuta una tecnologia che sarà possibile solo in un futuro molto lontano. È innegabile che siano in gioco ancora enormi complessità, ma è anche vero che, specialmente negli ultimi due anni, abbiamo assistito ad un'incredibile accelerazione del progresso tecnico e scientifico. Eni è parte di questa accelerazione, che in modo assai simile a quanto è avvenuto con le tecnologie spaziali, vede un ruolo sempre crescente del settore privato, che si aggiunge e dialoga con il contributo pluridecennale della ricerca pura o dei grandi programmi internazionali come ITER, apportando una spinta ed un approccio completamente nuovi ai problemi che si sono finora incontrati.

Da quanto avete iniziato a lavorare sulla fusione?

Le basi del nostro impegno sulla fusione, nella quale abbiamo creduto per primi tra le grandi società energetiche mondiali, affondano nella nostra collaborazione di lunga data con il MIT di Boston. Tra il 2017 e il 2018, dopo alcuni mesi dal ritiro dei finanziamenti del Governo americano al progetto sulla fusione che il MIT stava portando avanti (frutto di una posizione che, proprio in questi ultimi mesi, tale Governo sta modificando) un gruppo di scienziati dell’ateneo, che credeva fortemente nella fusione, diede vita ad una start-up chiamata Commonwealth Fusion Systems o CFS. Nel 2018 Eni ha acquisito una quota del suo capitale, condividendo l’obiettivo di CFS di sviluppare il primo impianto industriale che produrrà energia grazie alla fusione a confinamento magnetico. Il progresso tecnologico della fusione a confinamento magnetico è così diventato un obiettivo centrale della collaborazione di Eni con il MIT. La nostra collaborazione con CFS è stata rafforzata, a marzo di quest’anno, dalla firma di un accordo di cooperazione che ci vede protagonisti non solo a livello finanziario, ma come attori di una partnership tecnologica e di gestione progettuale.

A livello operativo come si concretizza l’impegno sulla fusione?

Oggi il nostro impegno in ambito fusione si focalizza su più fronti:

  • sullo sviluppo della tecnologia, che stiamo portando avanti con centri di eccellenza come il MIT di Boston, il CNR e molte università italiane;
  • sullo sviluppo industriale, per il quale lavoriamo fianco a fianco sia con i colleghi americani di CFS sia con i colleghi italiani del consorzio DTT (Divertor Tokamak Test), partecipato anche da ENEA e da importanti università del nostro Paese, che realizzerà il più grande esperimento scientifico e tecnologico italiano, riguardante lo studio della gestione dell’enorme calore sviluppato negli impianti a fusione;
  • sullo sviluppo del business della fusione e sull’analisi di come future centrali alimentate da questa nuova fonte potranno integrarsi al meglio nelle reti di trasporto e distribuzione dell’energia.

Grazie ad un team eterogeneo composto da circa 100 persone in parte dedicate interamente alla fusione, e altre che provengono da diversi settori di Eni, con competenze specifiche di ingegneria, project management, metallurgia, sistemi di simulazione numerica, robotica industriale, regolazione del settore energetico, permitting ecc. abbiamo lavorato nel recente periodo per dare coerenza, struttura e focalizzazione a tutte le nostre linee di lavoro sulla fusione. E’ un’opportunità notevole ed un esempio di come sia strategico valorizzare le diverse competenze di persone provenienti da ambiti differenti ma che possono apportare il proprio contributo di professionalità in un campo di frontiera, sviluppando nuove reti professionali trasversali con colleghi di altre discipline e con realtà esterne di eccellenza accademica.

Quindi la fusione è una grande opportunità?

L’impegno comune di questo grande team trasversale è quello di contribuire a “de-rischiare”, per usare un linguaggio ingegneristico, le tante sfide scientifiche e tecnologiche che ancora ci separano dalla fruizione industriale e commerciale di questa forma di energia che ha implicazioni potenzialmente dirompenti per il futuro di tutti. La fusione infatti – una volta portata a livello industriale – permetterebbe di generare grandi quantità di energia a zero emissioni e con un processo sicuro, virtualmente illimitato.

Noi siamo convinti che queste sfide si possano affrontare e risolvere una ad una con l’approccio concreto e progettualmente robusto, che ci ha sempre caratterizzati; ci crediamo molto e lavoriamo per questo e per dare un contributo di valore alle diverse collaborazioni tecnico-scientifiche sulle quali siamo impegnati nello straordinario ambito della fusione. Questi sono solo due esempi del nostro specifico metodo, che punta a “Ingegnerizzare” l’innovazione e agevolare la circolazione interna delle conoscenze. Abbiamo la fortuna di avere al nostro interno funzioni e competenze articolate di ingegneria (compresa la società EniProgetti) che, operando con i nostri specialisti di ricerca, contribuiscono a dare concretezza e metodo alla nostra innovazione.

Il valore dell’approccio ingegneristico ai processi di innovazione è per noi davvero fondamentale, perché contribuisce a creare una cultura della concretezza, della robustezza e del testing di idee e proposte e agevola il percorso industriale di quelle ritenute più valide e maggiormente in grado di contribuire alla trasformazione del nostro business.

Stiamo investendo molte energie per costruire questo tipo di cultura, per promuovere sempre di più questi valori e questo tipo di approccio nell’affrontare quotidianamente l’impegno della trasformazione, mettendo sempre al centro degli snodi della conoscenza le persone ed il contributo che il loro sapere e la loro esperienza sono in grado di fornire.

Particolarmente importante, per il successo di un tale percorso di trasformazione, è definire obiettivi chiari e misurabili, inserendoli come parte centrale della nostra strategia aziendale, che ci porterà a diventare “carbon neutral” al 2050 per tutti i tipi di emissioni (incluse le emissioni Scope 3, cioè derivanti dalla catena del valore dell’azienda).

Quali sono i settori più promettenti per investimenti in innovazione in un prossimo futuro per Eni?

La nostra innovazione per la transizione energetica si basa su un mix di tecnologie, perché non esiste una risposta singola e risolutiva a questa grande sfida. La trasformazione del mix energetico passa infatti, necessariamente, da una diversificazione geografica e tecnologica delle fonti energetiche e dall’implementazione di nuove tecnologie, attraverso un approccio neutrale alle stesse, che consideri l’effettivo contributo, a vita intera, alla decarbonizzazione e ancor più in generale alla sostenibilità a tutto tondo (ambientale, sociale, geopolitica) di ciascuna fonte e soluzione. Per noi la tecnologia è quindi un’opportunità di trasformazione, per costruire un portafoglio differenziato di soluzioni concrete, che ci consentano la piena realizzazione del nostro percorso di decarbonizzazione.

Già oggi, e per il prossimo futuro, la ricerca e l'innovazione tecnologica di Eni sono declinate sui seguenti pilastri strategici:

  • decarbonizzazione dei processi: con l'obiettivo di ridurre, catturare, trasformare o stoccare la CO2, aumentare l'efficienza energetica, ridurre le emissioni e promuovere vettori energetici a bassa impronta di carbonio;
  • economia circolare e prodotti bio: con l'obiettivo di ridurre, riciclare e riutilizzare prodotti e sottoprodotti, trasformando i rifiuti in prodotti a valore aggiunto per le bioraffinerie, la mobilità sostenibile e la chimica verde;
  • rinnovabili e nuove energie: con l'obiettivo di sostenere lo sviluppo di energie rinnovabili e di soluzioni per l'accumulo di energia e di sviluppare tecnologie energetiche innovative come la fusione a confinamento magnetico;
  • eccellenza operativa: la perseguiamo con l'obiettivo di sviluppare tecnologie che garantiscano il massimo livello di efficienza e sicurezza, il minimo impatto ambientale, riducendo al contempo i costi e il time-to-market delle nostre operazioni.

Quali sono gli esempi virtuosi che possiamo ricavare da player della ricerca e innovazione a livello internazionale che potremmo adottare anche in Italia?

E’ molto difficile distillare “ricette” ed esperienze internazionali che possano funzionare tout-court nel sistema italiano della ricerca e dell’innovazione, che ha punti di grande eccellenza (lo constatiamo ad esempio nella filiera scientifico-industriale del nucleare in senso ampio e della fusione in modo particolare, solo per citare uno tra molti possibili casi).

La nostra collaborazione con oltre 70 tra università e istituzioni di ricerca di primo piano nazionali ed internazionali (tra cui ENEA, il Cnr, molte università italiane e il MIT di Boston) e gli strumenti ed i veicoli per l’Open Innovation e per l’Outbound Innovation che abbiamo creato negli ultimi anni, sono tutti tasselli di un approccio all’innovazione che penso ci caratterizzi anche rispetto ai nostri peers internazionali, soprattutto per il grado di apertura, che tale approccio comporta verso le idee esterne e verso il dialogo con una pluralità di soggetti, quelli che chiamiamo i nostri “alleati”, che con noi portano avanti e promuovono innovazione.

Per quanto riguarda in modo specifico il dialogo con le migliori realtà esterne e i relativi canali di “osmosi” nel campo dell’innovazione, a metà dello scorso anno abbiamo creato una struttura interna che sovrintende al processo di identificazione, sviluppo e coordinamento degli ecosistemi e degli hub di innovazione tecnologica e digitale a supporto della nostra strategia. Questo ci consente di operare nel pieno spirito dell'Open Innovation, con un'esposizione al mercato e alle startup a diversi stadi di maturità tecnologica, sia in Italia sia all'estero, principalmente attraverso tre veicoli:

  • Joule, la nostra scuola d’impresa, che supporta la crescita di startup innovative e sostenibili per creare un ecosistema imprenditoriale nella filiera energetica a emissioni zero;
  • Eni Next, il nostro Corporate Venture Capital, che investe in start-up ad alto potenziale per creare tecnologie breakthrough a partire dalla fase di feed;
  • Eniverse, il nostro Corporate Venture Builder, che valorizza le nostre competenze e le nostre tecnologie proprietarie per creare nuove iniziative di business ad alto contenuto tecnologico.

La qualità di questa impostazione non è passata inosservata e nel 2022 Eni è stata confermata tra le “100 TOP Corporate Startup Stars” rientrando nella categoria delle 50 aziende che sono state premiate con "l'Open Innovation Challengers award" promosso dalla International Chamber of Commerce.

La dimensione internazionale che da sempre ci caratterizza a livello di operazioni è ovviamente un elemento importante anche in ambito Open Innovation. Ad esempio, a fine 2021, Eni ha inaugurato un "Open Innovation Outpost" a San Francisco.

L'obiettivo di questo privilegiato punto di contatto è quello di esporre la nostra Società alle innovazioni e ai business model provenienti dalla Silicon Valley e di intercettare le tecnologie emergenti che potrebbero avere un impatto significativo sull'intero settore energetico.

E l’Eni Award come si inserisce in questo contesto?

Il premio Eni Award si inserisce appieno nel contesto di dialogo verso le migliori realtà esterne della ricerca a livello internazionale. Eni Award è stato istituito nel 2007 come premio aziendale e da allora è cresciuto fino a diventare un riconoscimento di livello internazionale per la ricerca e l’innovazione tecnologica applicate al mondo dell’energia. Giunto alla quindicesima edizione, i lavori premiati riguardano scoperte di grande impatto poiché rendono possibili innovazioni radicali nell’efficienza energetica, nelle energie rinnovabili, nella decarbonizzazione e nella tutela dell’ambiente. Dal 2017, inoltre, Eni Award si è aperto ai talenti scientifici dell’Africa, un continente dalle enormi potenzialità.

Che importanza ha il binomio formazione-innovazione?

Penso che questo binomio sia fondamentale per costruire le competenze necessarie oggi e in futuro; senza lo sviluppo delle competenze STEM adeguate, e senza le soft skill, che sono altrettanto rilevanti, il nostro Paese e più in generale tutto il nostro continente non potranno fare quel salto di qualità nella trasformazione del proprio intero sistema produttivo ed economico nel quale ci siamo impegnati per realizzare la transizione energetica.

Dove non arrivano la scuola e l’università è fondamentale che intervenga il mondo produttivo, facendo in modo che la formazione dei giovani diventi un altro modo in cui le aziende, specialmente quelle grandi come Eni, possono restituire al territorio risorse e capacità, determinando una soluzione vincente sotto molti punti di vista e per tutti i soggetti coinvolti: gli studenti, le aziende, i Paesi e le comunità dai quali gli studenti provengono.

Questa necessità di formazione da parte dell’azienda su tematiche particolarmente specialistiche e qualificanti fu evidente già al nostro fondatore, quando volle la creazione, nel 1957, della Scuola Mattei, che ha dato vita al primo esempio di formazione post universitaria in Italia, il Master MEDEA, diventando negli anni un punto di riferimento per i professionisti del settore energetico, in particolare per giovani donne e uomini con la passione per l’energia e l’ambiente e con il desiderio di costruire il proprio futuro, e di cui sono stata un’orgogliosa partecipante, per questo ne conosco il valore, la ricchezza di esperienze (come le visite ai nostri siti in Italia e all’estero), l’opportunità formativa e l’arricchimento sia professionale che personale.

La durata del Master MEDEA è di dieci mesi, durante i quali ai partecipanti è offerta l'opportunità di studiare in un ambiente internazionale particolarmente stimolante. Grazie all'interazione con docenti universitari, manager ed esperti di Eni, nonché all'incontro con compagni di corso provenienti da tutto il mondo, i partecipanti possono acquisire le conoscenze più aggiornate ed approfondire le tematiche economiche, industriali ed ambientali associate al business dell’energia.

Come funziona l’Eni Corporate University?

In una realtà come quella del mondo in cui operiamo, che richiede rapidità di adattamento al contesto, apertura ad accogliere nuove esigenze formative e un lavoro di upskilling per le persone di qualunque età, la formazione interna, come quella erogata dalla nostra Eni Corporate University, rappresenta un grande vantaggio per valorizzare l’impegno e la voglia di crescere di ciascuno, mettendo tale volontà al servizio di nuovi traguardi personali ed aziendali.

Questo avviene ad esempio per i nostri geologi che si specializzano sulla CCUS o per i nostri tecnici che entrano nel mondo di frontiera della fusione a confinamento magnetico o, ancora, per chi, proveniente dal mondo upstream o downstream, deve acquisire nuove capacità nella filiera dell’agri-business e della produzione di biocarburanti, una filiera che stiamo costruendo in diversi Paesi del mondo e che sta trasformando profondamente questa parte del nostro business.

La transizione energetica e il cambio epocale di paradigma che stiamo vivendo sono innanzitutto grandi opportunità di crescita, che dobbiamo saper cogliere, anche incrociando, in aula e poi nei luoghi di lavoro, i differenti percorsi delle nostre persone, in ottica di cross-fertilization.

Una realtà come quella di Eni è anche in grado di estendere la formazione non solo a singole persone ma anche a giovani realtà imprenditoriali che con noi condividono la necessità e l’urgenza della transizione energetica e con le quali è possibile fare una parte di strada assieme.

E’ proprio questa la missione di Joule, ovvero promuovere la crescita di imprese sostenibili, formando una nuova generazione di imprenditori e imprenditrici attraverso lo sviluppo di competenze e l'utilizzo di strumenti chiave per accelerare lo sviluppo delle startup. Contribuisce inoltre a fornire accesso a sfide e opportunità concrete, offre una rete di formatori e docenti di alto livello e crea le condizioni per far parte di una vasta community.

Si tratta di un vero e proprio ecosistema in cui si dà spazio ad un nuovo modo di vedere il futuro.
Anche in questo caso, aziende come la nostra possono “proiettare” innovazione all’esterno, nel tessuto circostante, indirizzando le migliori energie delle startup e delle imprese giovani verso la sostenibilità.

Note

[1Secondo l’ultimo aggiornamento (giugno 2023) del report "Government Energy Spending Tracker” della IEA: “1,34 trilioni di dollari [sono stati] stanziati dai Governi [nel mondo] per il sostegno agli investimenti nell'energia “pulita“ dal 2020. La spesa pubblica ha svolto un ruolo centrale nella rapida crescita degli investimenti nell'energia “pulita“ dal 2020, che è aumentata di quasi il 25% dal 2021 al 2023, superando la crescita dei combustibili fossili nello stesso periodo.

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