Copertina della rivista

L’Open Innovation come modello di gestione della conoscenza per facilitare l’eco-innovazione

Johanna Ronco, Roberto Pelosi - CRIT - Centro Ricerca e Innovazione Tecnologica (Vignola – Modena)

DOI: 10.12910/EAI2013-15

L’Open Innovation è un nuovo modello di gestione della conoscenza che descrive processi di innovazione caratterizzati dall‘apertura verso l’esterno. Da alcuni anni diverse aziende hanno deciso di integrare l’Open Innovation con la sostenibilità ambientale, dando vita a modelli di Open Green Innovation. L’articolo offre una panoramica sulle migliori pratiche internazionali di Open Green Innovation (crowdsourcing open network, crowdfunding, reti collaborative, cluster tecnologici), riportando alcuni casi studio caratterizzati da un elevato potenziale di replicabilità

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FIGURA 1 - Closed Innovation VS Open Innovation Fonte: Henry Chesbrough, Open Business Models: How to Thrive in the New Innovation Landscape, Harvard Business School Press, 2006

L’ecosistema con il quale le aziende possono scambiare know-how è costituito in primo luogo dai clienti e dalla rete di fornitura, ma anche da centri di ricerca, università, start-up e soggetti pubblici o privati in grado di facilitare i processi di trasferimento tecnologico.

Le logiche di Open Innovation sono varie e possono prevedere, ad esempio, la collaborazione con centri di ricerca esterni, il coinvolgimento come parte attiva dei propri clienti o fornitori o l‘eventuale cessione dei risultati della ricerca interna, anche trasformando programmi di sviluppo interni in progetti open source.

Storicamente, tutte le grandi rivoluzioni tecnologiche sono state guidate dalle intuizioni di pochi geniali innovatori o dal coinvolgimento di  grandi organizzazioni con forti capacità di ricerca e sviluppo, ma oggi stiamo assistendo a un vero e proprio cambio di paradigma. L’Open Innovation  è nata ufficialmente nel 2003 con la pubblicazione dell’omonimo libro del professor Henry Chesbrough dell’Università della California a Berkeley[1], ma questo modello, complice anche lo sviluppo dirompente di internet,  è rimasto sulla carta solo per breve tempo, dal momento che nel corso del decennio successivo è stato abbracciato da grandi aziende come Procter & Gamble, IBM, SAS e molte altre.

Fin dal 2003 gli studi relativi all’Open Innovation hanno sempre intercettato in maniera più o meno marcata il dibattito sul rapporto tra innovazione e sostenibilità ambientale. Non sorprende quindi il fatto che già da diversi anni alcune aziende abbiano deciso di combinare tra loro i due modelli, dando vita a quella che oggi viene definita open green innovation[2]. L’entità del fenomeno è sorprendente: uno studio condotto dal MIT su oltre 3000 aziende in 113 paesi, ha rilevato che la maggior parte delle imprese riesce a coniugare i propri obiettivi di sostenibilità al profitto solo cambiando il proprio modello di business. E tra le migliori pratiche che favoriscono l’innesco di questo processo virtuoso, spicca appunto l’attitudine delle aziende a collaborare non solo con clienti e fornitori, ma anche con le comunità locali, le ONG e persino i concorrenti[3].

Il crowdsourcing, uno strumento nuovo (ma non troppo) a servizio dell’ambiente

Non si può parlare di Open Innovation senza chiamare in causa la sua espressione forse più nota, ovvero il crowdsourcing. Il crowdsourcing è in pratica quello strumento per cui un committente (azienda, ente, gruppo di interesse ecc.) si rivolge alla “folla” (in inglese crowd) attraverso una richiesta aperta, chiamata anche sfida (open call o challenge), per risolvere una determinata questione e per la quale spesso è prevista una ricompensa monetaria. Si tratta di un modello di business in cui un committente decide coscientemente di delegare un'attività di ricerca al pubblico; è quindi molto diverso dalla cosiddetta collaborazione di massa[4],  processo in cui un grande numero di persone si auto-coordina senza organizzazione gerarchica, al fine di realizzare un progetto, quasi sempre libero e gratuito, come nel caso dell’enciclopedia libera Wikipedia.  Inoltre, il pubblico coinvolto nel crowdsourcing può essere più o meno vasto a seconda delle esigenze del committente: secondo la definizione originaria di Jeff Howe[5], la potenzialità del crowdsourcing si fonda sulla possibilità di sfruttare il talento di una grande massa di utenti – la cosiddetta intelligenza collettiva –, mentre per altri autori il crowdsourcing è tanto più efficace quando più riesce ad indirizzare il desiderio di confronto e condivisione reciproca di un gruppo selezionato di esperti.

In ogni caso, la validità del modello è testimoniata dal fatto che le prime pratiche di crowdsourcing risalgono a diversi secoli fa. Per citare un esempio di successo, il progetto dell’Oxford English Dictionary ha avuto inizio nel lontano 18° secolo seguendo proprio un approccio “open”, basato sul contributo di migliaia di volontari.

Oggi le opportunità offerte da internet hanno reso infinitamente più facili e veloci le interazioni tra le persone, tanto che si parla espressamente di  open network per indicare i portali web di crowdsourcing che svolgono la funzione di mercati della conoscenza. Ed è proprio tra gli open network che si possono riscontrare alcuni significativi casi di successo per la risoluzione di problemi di eco-innovazione.

Gli open network per l’eco-innovazione, ovvero come sfruttare la “saggezza della folla” per salvare il pianeta

Un primo caso di successo degli open network è rappresentato dalla piattaforma OpenIDEO[6], nata per raccogliere idee e spunti riguardanti un ampio numero di problematiche sociali e tecnologiche. Le “sfide” proposte da OpenIDEO sono sponsorizzate sia da soggetti pubblici che privati e spesso riguardano tematiche ambientali, come, ad esempio, lo sviluppo di sistemi di gestione dei rifiuti elettronici, oppure la ricerca di metodologie di valorizzazione delle imprese eco-innovative. Il pubblico interpellato è molto vasto: OpenIDEO basa infatti la sua efficacia sulla motivazione intrinseca degli utenti, fortemente stimolati dall’esigenza di contribuire alla risoluzione di problemi di rilevanza sociale.

Spostandoci verso un fronte più commerciale, uno dei principali attori nell’ambito del crowdsourcing è certamente InnoCentive[7], piattaforma grazie alla quale le aziende possono proporre una serie di problemi irrisolti ed offrire ricompense monetarie a chiunque riesca a trovare una soluzione, trasferendo la proprietà intellettuale dell'invenzione all’impresa committente. In pratica, attraverso il suo portale, InnoCentive mette in relazione i Seeker (le aziende con problemi aperti di ricerca) e i Solver (la comunità online degli oltre 300.000 ricercatori membri del sito). Per quanto riguarda l’eco-innovazione, sulla piattaforma InnoCentive è presente una sezione interamente dedicata alle cosiddette tecnologie pulite, denominata Clean Tech Innovation Pavilion, nella quale sono proposti quesiti tecnologici che spaziano dalla realizzazione di prodotti eco-compatibili, al monitoraggio ambientale, fino alla realizzazione di nuovi sistemi per l’accumulo energetico. Ad oggi sono numerose le organizzazioni che si sono rivolte a InnoCentive per promuovere iniziative legate alla sostenibilità: ad esempio, InnoCentive e l’Environmental Defense Fund (EDF), uno dei più importanti gruppi ambientalisti degli Stati Uniti, nel 2011 hanno stabilito una partnership rivolta ad accelerare l’innovazione ambientale nelle imprese, attraverso la definizione di opportune sfide ambientali (ECO-Challenges)[8]. Analogamente a InnoCentive, anche altri open network come yet2.com[9], NineSigma[10], IdeaConnection[11] agiscono come intermediari dell’Open Innovation, con modalità e strumenti diversi, ed offrono alle aziende la possibilità di ottenere soluzioni a problemi riguardanti l’eco-innovazione di prodotto, di processo e organizzativa. Tra tutte, citiamo EarthHack[12], un’iniziativa di crowdsourcing sviluppata da Marblar.com[13] con il sostegno di IKEA, Climate Group e Philips e rivolta allo sviluppo di soluzioni tecnologiche per la casa eco-sostenibile. A livello italiano, si segnala idea TRE60[14], una piattaforma online creata dalla Fondazione Italiana Accenture per promuovere e sviluppare l’innovazione sociale e attiva in diversi ambiti di intervento, tra cui lo sviluppo sostenibile.

L’eco-innovazione in vetrina: dal crowdsourcing al crowdfunding

Il crowdsourcing può funzionare anche senza l’intermediazione di open network specializzati, soprattutto nel caso in cui la potenziale soluzione può essere più facilmente generata da una “folla” molto vasta, non necessariamente costituita da esperti. È questo il caso dello ScrapLab Design Contest realizzato nel 2011, nel quale designer provenienti da tutto il mondo si sono sfidati per realizzare il prodotto riciclato più innovativo[15].

Inoltre, una possibile declinazione del crowdsourcing è il crowdfunding, detto anche crowdfinancing o microcredito. A riguardo, Kickstarter, nata nel 2009, è probabilmente la più diffusa piattaforma online dedicata al crowdfunding di progetti creativi e innovativi, con una raccolta fondi di circa 650 milioni di dollari destinati al finanziamento di oltre 43.000 progetti.

Tra i numerosi progetti eco-innovativi che negli ultimi anni hanno ottenuto importanti finanziamenti con Kickstarter, citiamo una lampada laser con tecnologia di raffreddamento passivo, un ricarica-batterie compatto ad energia solare e un volano flessibile per l’accumulo energetico[16], a cui si aggiungono anche numerosi progetti eco-innovativi a basso investimento. Un esempio italiano di crowdfunding eco-innovativo è rappresentato dal progetto della casa sostenibile Med in Italy[17], realizzato da Università degli Studi di Roma Tre, Sapienza Università di Roma, Libera Università di Bolzano e Fraunhofer Italia. Nel 2012, infatti,  Med in Italy si è appoggiato al portale di crowdfunding Eppela[18] per ottenere i fondi necessari a gareggiare al Solar Decathlon Europe, le Olimpiadi mondiali dell'architettura green.

In generale, l’utilizzo del crowdfunding offre agli inventori di prodotti eco-innovativi un’ulteriore opportunità: indipendentemente dal buon esito del finanziamento richiesto, le varie piattaforme online permettono di mettere in vetrina anche piccoli progetti destinati a un mercato di nicchia, offrendo spesso uno spazio di discussione in cui si possono ricevere utili suggerimenti per sviluppare il proprio modello di business. Dal punto di vista dei finanziatori, invece, vi è la possibilità di selezionare idee progettuali che hanno un grande potenziale di consenso da parte del mercato, a fronte di un piccolo rischio di investimento.

Non solo internet: l’Open Innovation come rete di relazioni non gerarchiche

L’Open Innovation non si realizza solo attraverso la rete internet, anzi, essa trova la sua espressione più efficace proprio nel caso in cui realizza uno scambio di conoscenza tra aziende, enti, centri di ricerca e start-up. Il superamento del paradigma della Closed Innovation porta infatti all’affermazione di nuove forme di organizzazione caratterizzate dalla minimizzazione della gerarchia come meccanismo di coordinamento (eterarchie), anche se vi possono essere alcuni soggetti che mantengono un ruolo baricentrico o di controllo[19]. Una delle possibili forme di Open Innovation è quindi quella che porta alla costituzione di reti collaborative prevalentemente non gerarchiche tra partner e attori diversi, basate essenzialmente sulla valorizzazione delle relazioni. In questo caso l’Open Innovation, oltre a consentire economie di scala nel raggiungimento degli obiettivi di ricerca e sviluppo delle imprese, permette di accrescerne il bagaglio di conoscenze e competenze, in quanto la proprietà intellettuale e il know-how sono sì condivisi, ma anche tutelati e adeguatamente valorizzati.

I benefici derivanti dall’applicazione dell’Open Innovation oggi risultano ancora più evidenti in contesti di crisi economica o scarsità di risorse finanziarie disponibili: l’Open Innovation consente infatti di ottimizzare le risorse destinate a ricerca e sviluppo, favorendo la rimozione di eventuali barriere tecnologiche e di mercato e incentivando la diffusione dei risultati ottenuti. In questo contesto, l’adozione di pratiche di Open Innovation può dimostrarsi particolarmente efficace in tutti i settori industriali interessati all’eco-innovazione.

La Commissione Europea si è posta recentemente il problema di misurare l’impatto dell’Open Innovation sulla capacità delle aziende di sviluppare eco-innovazioni[20]. Il risultato dell’analisi è che, in generale, l’Open Innovation aiuta le aziende a diventare più eco-innovative, ma per raggiungere la massima efficacia la qualità delle relazioni deve essere opportunamente calibrata in base alle esigenze delle imprese. In altre parole, affinché le aziende possano assorbire adeguatamente le conoscenze esterne in materia di eco-innovazione, senza andare incontro ad eventuali blocchi decisionali, è fondamentale creare adeguate piattaforme per lo scambio della conoscenza, per esempio in specifici settori manifatturieri o contesti regionali. È inoltre importante supportare le aziende sulle modalità di ricerca e sviluppo delle loro eco-innovazioni, soprattutto nel momento della scelta delle attività da esternalizzare. Infine, il rapporto illustra come l’Open Innovation sia estremamente utile nel caso in cui un’azienda che ha già sviluppato soluzioni sostenibili decida di espandere il proprio portafoglio di eco-innovazioni. Di conseguenza, anche per la “open green innovation” diventa fondamentale il ruolo degli intermediari dell’innovazione (broker tecnologici e centri di innovazione e trasferimento tecnologico), in quanto essi possono stimolare lo scambio di conoscenza in opportuni contesti economici e territoriali.

Pionieri e promotori dell’Open Green Innovation

Oggi si contano numerose iniziative di Open Innovation indirizzate allo sviluppo di tecnologie pulite e che coinvolgono grandi realtà industriali.

Il primo e forse più famoso caso è rappresentato da GreenXChange[21], un’organizzazione nata su iniziativa di Nike e che attualmente coinvolge importanti realtà come Best Buy e Yahoo!. GreenXChange si propone si condividere brevetti e idee per aiutare le aziende a ridurre i propri impatti ambientali. L’idea risale ai primi anni 2000, quando Nike sviluppò una “gomma verde” con un impatto ambientale estremamente limitato, ma non idonea ad essere utilizzata per i prodotti dell’azienda. Dopo una vasta consultazione interna, Nike decise di offrire la propria tecnologia in licenza a Mountain Equipment Co-op, un’azienda canadese. Ciò che spinse Nike a privarsi per la prima volta di un proprio risultato di ricerca a beneficio di un’azienda esterna (sia pur con un ritorno economico), fu un semplice concetto: se hai una buona idea per l’ambiente, ma per vari motivi non la puoi sviluppare, devi permettere che lo faccia qualcun altro[22].

Anche il settore dell’energia ha fatto proprie le pratiche dell’Open Innovation per lo sviluppo di tecnologie più pulite. Nel 2010, ad esempio, General Electric e alcuni investitori di Venture Capital hanno dato il via ad un’iniziativa di Open Innovation denominata Ecomagination Challenge, nella quale sono coinvolti aziende, imprenditori, inventori e studenti. Secondo il padre dell’Open Innovation, Henry Chesbrough, con questa iniziativa General Electric ha creato i presupposti per diventare uno dei principali attori mondiali nel settore delle energie pulite, con una strategia orientata a mantenere la maggior parte dell’attività R&D all’interno, integrandola con competenze specifiche provenienti dall’esterno[23]. L’iniziativa prevede un finanziamento di circa 200 milioni di dollari e coinvolge, tra gli altri, Carbon Trust, un’associazione senza scopo di lucro[24].

Ma gli esempi non si fermano qui: anche Shell sta infatti portando avanti un programma di ricerca rivolto alla mobilità sostenibile e allo studio di combustibili alternativi, attraverso un modello basato sui principi dell’innovazione aperta denominato Open Innovation toolkit.

Inoltre, nel settembre del 2013 anche il colosso francese dell’energia EDF - Électricité de France, ha presentato la sua strategia di Innovazione Aperta alla conferenza ECO13 a Berlino. EDF ha deciso di adottare l’Open Innovation per lo sviluppo di tecnologie pulite per la mobilità, e proprio grazie a questo approccio oggi la centralina di ricarica per auto elettriche ideata dalla startup berlinese Ubitricity è in fase di prova presso i laboratori di ricerca e sviluppo di EDF[25].

Infine, è emblematico il caso dell’italiana ENI, la quale si sta sempre più orientando verso l’adozione dell’Open Innovation in alternativa alle consolidate pratiche di outsourcing, con l’intento di incrementare la propria capacità di produrre innovazione[26].

In un altro settore, l’acceleratore di innovazione statunitense Cleantech Open, ha stretto recentemente una collaborazione con PARC, una società della Xerox Corporation, uno dei più grandi produttori di stampanti e fotocopiatrici. La collaborazione è finalizzata in particolare a promuovere lo sviluppo e la formazione professionale delle startup operanti nel settore delle energie rinnovabili, offrendo supporto sia per lo sviluppo di business che per la realizzazione di prototipi[27].

Infine, non possiamo dimenticare le numerose iniziative di Open Innovation avviate da Google proprio in ambito ambientale, tra cui citiamo la Climate Savers Computing Initiative e il Green Grid, due gruppi che mirano a elevare gli standard di efficienza e sostenibilità in tutto il mondo.

I poli dell’innovazione verde

Non bisogna però pensare che l’Open Innovation sia una prerogativa delle grandi realtà aziendali. Il modello di Open Innovation è valido anche per lo sviluppo degli ecosistemi industriali, tanto che recenti studi hanno dimostrato che le pratiche di Innovazione Aperta hanno un effetto positivo su interi sistemi territoriali, in quanto  migliorano l’efficacia degli investimenti pubblici e contribuiscono a strutturare le reti innovative locali, favorendo nel contempo la costruzione di filiere innovative internazionali.

Ad oggi si contano numerose strutture ed associazioni nate con lo scopo di favorire l’Open Innovation nel settore delle tecnologie verdi, come il Rocky Mountain Institute (RMI)[28], un'organizzazione statunitense con sede in Colorado che si occupa soprattutto di innovazioni per l’efficienza energetica, oppure Greenovate Europe[29], un’associazione internazionale no-profit costituita da un gruppo di lavoro che conta oltre 500 consulenti e 2.000 tecnici esperti provenienti da 14 paesi europei. Tra le competenze principali del gruppo, vi è appunto lo sviluppo di pratiche di innovazione collaborativa rivolte all’eco-innovazione.

A livello italiano si segnala l’esperienza di CRIT[30], azienda privata specializzata nella pratica dell’innovazione collaborativa inter-aziendale, che ha realizzato un ciclo di incontri denominato “High-Tech for Green-Tech”, il cui scopo è favorire il trasferimento tecnologico dal settore high-tech a quello delle tecnologie pulite.

Infine, gli ultimi anni hanno visto la nascita di veri e propri cluster eco-tecnologici che riuniscono ricercatori, aziende ed enti pubblici. Una relazione del Ministero francese dell’Ambiente del 2011 ha analizzato l'ascesa di otto cluster di valenza internazionale nel campo delle eco-tecnologie. In generale, gli enti pubblici rivestono un ruolo importante nella creazione dei cluster eco-tecnologici (soprattutto in Giappone e in Europa), ma le  finalità sono varie, e spaziano dalla volontà di assicurare sostegno a un'industria già sviluppata (come nel caso del progetto Lahti Solar Valley in Finlandia) al desiderio di rendere maggiormente ecocompatibili le attività locali (come nel caso di CleanTECH  a San Diego, US).

I poli eco-tecnologici spesso sorgono nelle vicinanze di grandi parchi scientifici o di centri di ricerca e tendono ad essere multidisciplinari; inoltre, sebbene sia generalmente il settore pubblico ad assicurare il maggiore sostegno, la partecipazione di uno o più soggetti privati consente una maggiore diffusione delle eco-innovazioni sul mercato. È questo ad esempio il caso di Novozymes, che contribuisce a favorire lo sviluppo di biocarburanti nel cluster dano-svedese Øresund Environment[31], ma anche dell’olandese Green Chemistry Campus[32], un centro di “Open Chemical Innovation” nato nel 2011 da un’iniziativa congiunta del gruppo petrolchimico SABIC, degli enti locali e dell’agenzia di sviluppo territoriale.

È da notare tuttavia che soggetti pubblici e grandi aziende non sono gli unici protagonisti dei cluster eco-tecnologici: le piccole e medie imprese, infatti, rappresentano almeno il 60% (e spesso anche l’80%-90%) degli attori coinvolti.

A livello italiano, citiamo il Cluster Tecnologico Nazionale della Chimica Verde[33], recentemente finanziato dal MIUR – Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca – per promuovere la crescita della biobased industry nei territori del nostro Paese. Il Cluster, promosso da Novamont, Chemtex Italia ed Eni-Versalis con il supporto di Federchimica,  raggruppa attualmente oltre 100 soggetti impegnati nel campo della chimica verde (imprese, enti di ricerca, poli di innovazione regionali, fondazioni e associazioni) e si sviluppa in quasi tutte le regioni italiane. Infine, è significativo l’esempio di ASTER, Società consortile tra la Regione Emilia-Romagna, le Università, il CNR e l’ENEA, le Associazioni di categoria e Unioncamere. ASTER ha infatti realizzato un rapporto per identificare le aree strategiche di sviluppo per la Regione Emilia Romagna, in un’ottica fortemente orientata all’Open Innovation. In questo modello la Green Economy copre un ruolo rilevante ed interseca tutte le altre aree di ricerca, attraverso una delle linee tendenziali di sviluppo definita Innovating to zero[34], che amplia e sviluppa lo Zero-concept, ovvero il concetto di un futuro a zero emissioni, zero rifiuti, zero prodotti non riciclabili ecc.

Conclusioni

L’Open Innovation è oggi ritenuta uno degli strumenti più promettenti per lo sviluppo dell’eco-innovazione nelle imprese e nella società. Gli esempi che abbiamo citato non esauriscono certamente la casistica delle possibili applicazioni e modalità operative della Open Innovation dedicata allo sviluppo dell’eco-innovazione, ma possono offrire un quadro della varietà e della continua evoluzione di questo nuovo modello di gestione della conoscenza.

In un prossimo futuro, la selezione dei modelli di “open green innovation” in grado di coniugare l’eco-innovazione con la sostenibilità economica, potrà rappresentare per  aziende, enti ed istituzioni un importante vantaggio competitivo, capace di apportare  positive ricadute sull’intero sistema territoriale di appartenenza.

[1] H. Chesbrough , Open Innovation: The New Imperative for Creating and Profiting from Technology. Harvard Business School Press, 2003.

[2] Saving the Climate is Saving the Business – Aligning Sustainable and Open Innovation http://www.innovationmanagement.se/2010/04/12/saving-the-climate-is-saving-the-business-aligning-sustainable-and-open-innovation/

[3] A presentation of the findings of the 2012 global study on how companies are realizing the benefits of changing business models for sustainability success, http://sloanreview.mit.edu/article/video-sustainability-the-new-business-model-opportunities/

[4] Secondo alcuni autori anche la collaborazione di massa può essere intesa come una estensione della Open Innovation. (es. T. Fredberg, M. Elmquist, S. Ollila: Managing Open Innovation - Present Findings and Future Directions, Chalmers University of Technology, 2008).

[5] Jeff Howe, The Rise of Crowdsourcing, © 2006 - Wired Magazine - Issue 14.06 - June 2006 http://www.wired.com/wired/archive/14.06/crowds_pr.html

[6] OpenIDEO, http://www.openideo.com/

[7] InnoCentive , http://www.innocentive.com/

[8] InnoCentive and Environmental Defense Fund Announce Eco-Challenge Series , Feb. 2011, http://www.edf.org/news/innocentive-and-environmental-defense-fund-announce-eco-challenge-series

[9] Yet2.com, http://www.yet2.com/

[10]NineSigma, http://www.ninesigma.com

[11] IdeaConnection, http://www.ideaconnection.com

[12] Earthhack by Marblar.com, http://marblar.com/challenge/earthhack-sustainable-homes

[13] http://www.theguardian.com/sustainable-business/crowdsourcing-open-innovation-change-world

[14] idea TRE60, http://www.ideatre60.it

[15] Creating a Green World with Open Innovation. Using competition to create new reusable furniture, artwork and accessories from scrap, http://www.scraplab-community.com/start.php

[16] Kickstarter Project: Blue Laser Lamp- with passive cooling technology; WakaWaka Power: the Best Compact Solar Power Station & Light; Velkess Energy Storage, http://www.kickstarter.com/

[17] Med in Italy , http://medinitaly.eu

[18] Eppela, www.eppela.com

[19] L. Quaratino, L. Serio, L’innovazione aperta - La prospettiva dell’innovazione aperta e le nuove logiche organizzative e manageriali, Sviluppo & Organizzazione, settembre 2009.

[20] S. Montresor et al, The “green-impact” of the open innovation mode. Bridging knowledge sourcing and absorptive capacity for environmental innovations, EU Policy Brief, August 2013.

[21] GreenXChange, http://greenxchange.cc/

[22] Nike’s Open (Green) Innovation, http://blogs.hbr.org/2010/06/nikes-open-green-innovation/

[23] GE’s innovator community, http://www.openinnovation.net/featured/ge%E2%80%99s-innovator-community/

[24] GE and Carbon Trust Partner to Boost Clean Tech, http://www.openinnovation.net/open-innovation/ge-and-carbon-trust-partner-to-boost-clean-tech/

[25] EDF on Open Innovation, http://www.openinnovation.net/featured/edf-on-open-innovation/

[26] L. Pellegrini, V. Lazzarotti, E. Pizzurno, From outsourcing to Open Innovation: a case study in the oil industry, International Journal of Technology Intelligence and Planning, August 2012

[27] Cleantech Open Accelerates Clean Innovation, http://www.openinnovation.net/open-innovation/cleantech-open-accelerates-clean-innovation/

[28] Rocky Mountain Institute (RMI), http://www.rmi.org/

[29] Greenovate Europe, http://www.greenovate-europe.eu/about/profile

[30] CRIT Research, http://www.crit-research.it/

[31] Øresund Environment , http://www.oresund.org/food/

[32] Green Chemistry Campus , http://www.greenchemistrycampus.com/

[33] Cluster Tecnologico Nazionale della Chimica Verde , http://www.chimicaverde.eu/

[34] ASTER, Scenari tecnologici per l’Emilia Romagna, http://www.aster.it/tiki-index.php?page=Scenari

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