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Nazioni Unite: regole obsolete rendono inconcludenti i negoziati

Le strutture e i processi che regolano i negoziati delle Nazioni Unite sono ormai obsoleti e inadeguati, anzi costituiscono un ostacolo per giungere ad accordi efficaci. E’ questo il risultato di una ricerca dell’Università della “East Anglia” e del “Tyndall Centre for Climate Change Research”, pubblicata sul numero del 19 ottobre della rivista “Nature Climate Change”.

L’esempio più clamoroso è rappresentato dal negoziato sui cambiamenti climatici che si trascina da 18 anni in modo assolutamente inconcludente e fallimentare. Uno dei principali ostacoli alle decisioni è costituito dalla regola del “consenso” in vigore alle Nazioni Unite. Questa regola, infatti, interpretata come unanimità, blocca i negoziati, facendo rimandare di volta in volta le decisioni e alla fine impedisce l’attuazione di azioni, a danno soprattutto dei paesi più poveri. Inoltre, la regola del consenso che è già di difficile attuazione quando i delegati sono in numero limitato, non permette di decidere quando il numero dei delegati diventa enorme.

Se si intende rivedere la regola del consenso, allo stesso modo deve essere rivista la partecipazione ai negoziati. Infatti, per quanto riguarda quelli sui cambiamenti climatici, dopo una iniziale fase costruttiva, la situazione è andata via via peggiorando in un crescendo di inconcludenza quasi proporzionale alla numerosità delle delegazioni. Ogni sessione negoziale che si tiene annualmente, vede aumentare il numero di delegazioni e soprattutto di delegati. Dai 757 delegati in rappresentanza di 170 paesi nella prima sessione negoziale (COP1) tenuta a Bonn nel 1995, siamo passati a 10.591 delegati di 194 paesi nella quindicesima sessione (COP-15) di Copenhagen, quella più famosa per un clamoroso fallimento. In pratica, nei primi 15 anni di negoziati c’è stato un incremento di delegati del 1400 %, ma l’incremento non ha riguardato solo i delegati governativi, ma anche i delegati delle organizzazioni non governative che, scarsamente presenti nelle prime sessioni negoziali, hanno raggiunto nel 2009 la cifra record di 13.500 delegati in rappresentanza di 937 organizzazioni non governative.

Tuttavia, l’aumento a dismisura del numero di delegati non ha riguardato tutte le delegazioni, ma principalmente quelle dei paesi industrializzati, esclusi gli USA, e quelle dei cinque paesi emergenti (Cina, India, Brasile, Messico e Sud Africa), mentre viceversa i paesi più poveri hanno addirittura ridotto il numero dei loro delegati. Gli Stati Uniti, dopo l’uscita dal Protocollo di Kyoto nel 2001, hanno mantenuto una delegazione limitata.

Con l’aumento del numero dei delegati non sono parimenti cresciuti la qualità e il profilo dei negoziatori, infatti ora tra nelle delegazioni ci sono molti meno esperti sui problemi trattati e molti più politici e, questo ha comportato nel tempo una variazione del processo negoziale. In conseguenza di ciò, i paesi con un numero maggiore di delegati, per lo più politici, hanno maggiori capacità di indirizzare ed egemonizzazione le discussioni sui propri obiettivi politici.

Gli autori dello studio raccomandano di stabilire regole precise di partecipazione e di rappresentatività limitando il numero dei delegati per ciascuna delegazione e imponendo che in ogni delegazione vi sia un’equilibrata rappresentanza della società civile del proprio paese. Non è più logico mantenere regole stabilite circa 65 anni fa quando furono fondate le Nazioni Unite e la missione delle Nazioni Unite era principalmente focalizzata a prevenire i conflitti armati dopo la terribile esperienza della seconda guerra mondiale, a risolvere in modo partecipato e consensuale i contenziosi internazionali, a combattere le discriminazioni di ogni genere per promuovere la dignità di ogni persona e i diritti umani, e ad aiutare i paesi più poveri a uscire dalle loro condizioni di sottosviluppo.

Come aveva già affermato Ban Ki-moon, Segretario Generale delle Nazioni Unite, nel consueto messaggio d’inizio anno, in un mondo che è profondamente cambiato rispetto a più di mezzo secolo fa, pur rimanendo intatti i valori di base della pace, dei diritti umani, del disarmo e della sicurezza dei popoli, le Nazioni Unite devono ora essere in grado di affrontare le grandi sfide che attendono l’umanità nel prossimo futuro. E tra le grandi sfide, quella dei cambiamenti climatici è prioritaria, perché i cambiamenti del clima, al di là delle conseguenze ambientali, costituiscono una minaccia per la sicurezza energetica, la sicurezza alimentare, la sicurezza idrica e la qualità della vita di una popolazione mondiale in rapida crescita.

(Caterina Vinci)

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