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Lo sviluppo dell’economia circolare: un’opportunità da cogliere (ma occorre attrezzarsi)

di Stefano Leoni

DOI 10.12910/EAI2019-032

La sfida lanciata dall’Unione Europea di convertire la nostra economia verso la circolarità servirà non solo a rendere più ambientalmente sostenibili i nostri modelli di produzione e di consumo, ma rappresenta anche una grande opportunità per l’Italia. Ad oggi, tuttavia, sono troppi i nodi strutturali che il nostro Paese deve superare per raggiungere le performance richieste. Occorre un piano organico – una strategia italiana – che definisca risorse, mezzi e aree di intervento, individui gli ostacoli e realizzi misure per oltrepassarli: in altri termini, occorre investire per creare nuove infrastrutture per lo sviluppo dell’economia circolare

Stefano Leoni

Stefano Leoni

Coordinatore area economia circolare della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile

La sfida lanciata dall’Unione Europea di convertire la nostra economia verso la circolarità servirà non solo a rendere più ambientalmente sostenibili i nostri modelli di produzione e di consumo, contribuendo così anche allo sviluppo di un’economia più solidale e meno impattante (green economy), ma rappresenta anche una grande opportunità per l’Italia. Sia sotto il profilo occupazionale, che come crescita economica. Quando nel 2015 la Commissione Europea presentò il pacchetto per l’economia circolare, elaborò anche alcune stime dei vantaggi attesi1, secondo le quali, solo tenendo conto dell’attuazione dello scenario derivante dalle direttive approvate e con il raggiungimento dei suoi obiettivi, il nostro Paese godrebbe di risparmi economici e minori costi ambientali nell’arco di 20 anni per un valore complessivo di oltre 11 miliardi di €. A cui si aggiungerebbero un incremento dell’occupazione di più di 20.000 nuovi posti di lavoro a tempo pieno e una riduzione delle emissioni di gas climalteranti di quasi 111 Mt. Come si può vedere dalla Tabella 1, estratta dal documento citato, saremo in termini assoluti tra i maggiori beneficiati dagli effetti derivanti dal raggiungimento dei nuovi obiettivi riguardanti i rifiuti urbani e di imballaggio, associati con la riduzione della quantità conferibile in discarica.

Stato membro

Costi finanziari

Costi esterni

Costi sociali netti2

Occupazione3

Riduzione emissioni di gas serra

Valori attualizzati rispetto al 2035 (miliardi di €)

Migliaia di occupati a tempo pieno al 2035

Mt CO2 eq, al 2035

Mt CO2 eq dal 2015 al 2035

Austria

-0,36

-0,49

-0,85

2,05

-0,75

-11,69

Belgio

0,11

-0,52

-0,42

2,1

-0,55

-7,37

Bulgaria

-0,01

-0,14

-0,15

0,36

-0,29

-3,55

Croazia

-0,08

-0,18

-0,27

3,06

-0,47

-4,31

Cipro

-0,09

-0,06

-0,15

0,25

-0,17

-2,01

Rep. Ceca

-0,32

-0,39

-0,72

1,34

-0,78

-8,8

Danimarca

-0,23

-0,11

-0,33

1,07

-0,12

-1,5

Estonia

-0,01

-0,03

-0,04

0,34

-0,12

-1,13

Finlandia

-0,30

-0,09

-0,39

0,81

-0,1

-1,18

Francia

-2,75

-8,3

-11,05

27,57

-9,77

-144,21

Germania

-1,03

-1,06

-2,09

9,81

-2,53

-31,01

Grecia

-0,26

-0,3

-0,56

1,47

-0,78

-8,1

Ungheria

-0,09

-0,66

-0,75

2,51

-1,12

-14,85

Irlanda

-0,22

-0,28

-0,5

1,71

-0,75

-9,73

Italia

-5,62

-5,44

-11,05

20,41

-7,57

-110,91

Lettonia

-0,01

-0,05

-0,06

0,38

-0,11

-1,41

Lituania

-0,06

-0,13

-0,19

0,55

-0,24

-3,22

Lussemburgo

-0,02

-0,02

-0,05

0,09

-0,03

-0,31

Malta

0,01

-0,01

0

0,08

-0,05

-0,47

Paesi Bassi

-0,81

-0,55

-1,36

2,58

-0,65

-9,65

Polonia

0,06

-0,51

-0,45

13,01

-1,54

-18,43

Portogallo

-0,06

-0,52

-0,59

4,35

-1,17

-14,4

Romania

0,45

-0,51

-0,06

1,88

-1,66

-13,87

Slovacchia

-0,01

-0,17

-0,19

0,8

-0,47

-3,67

Slovenia

-0,01

-0,08

-0,09

0,16

-0,1

-1,54

Spagna

0,26

-0,93

-0,68

12,22

-2,19

-26,63

Svezia

-0,42

-0,11

-0,53

0,68

-0,25

-3,41

Regno Unito

0,84

-3,99

-3,15

28,78

-5,82

-86,06

EU28

-11.0

-25,7

-36,71

140

-40,1

-543,4

Tab. 1  Costi finanziari, esterni e sociali netti del pacchetto per l’economia circolare nei Paesi dell’Unione Europea. Scenario 2015-2035 denominato Option 3.8 (a), elaborato dalla Commissione Europea1

Note

  1. I costi negativi rappresentano un vantaggio per la società. Tutti gli scenari confrontati con l’implementazione completa
  2. Costi sociali netti = costi finanziari + costi esterni
  3. I dati sull'occupazione rappresentano solo l’occupazione diretta (non sono stati inclusi gli effetti moltiplicatori)

Risparmi sulle bollette e minori importazioni di petrolio

A questi vantaggi, sempre secondo la Commissione Europea, si sommano quelli derivanti dall’attuazione del piano di lavoro – che fa parte della strategia sull’economia circolare – sulla progettazione eco-compatibile che a livello europeo dovrebbe entro il 2020 comportare un risparmio di circa 175 Mtep all’anno di energia primaria, cifra superiore al consumo annuo di energia primaria dell’Italia. Per i consumatori questo dato si traduce in un risparmio di 490 euro l’anno per famiglia sulle bollette energetiche. Si ritiene inoltre che questa politica garantirà circa 55 miliardi di euro all’anno di entrate extra per l’industria, il commercio all’ingrosso e al dettaglio, di cui una parte potrebbe tradursi in nuovi posti di lavoro diretti – fino a un massimo di 800.000 – nei settori interessati. Essa contribuisce quindi anche alla sicurezza energetica, riducendo l’importazione di energia nell’UE per l’equivalente di 1,3 miliardi di barili di petrolio all’anno e riducendo le emissioni di CO22.

Anche lo sviluppo dell’economia collaborativa (sharing economy) permette di creare valore aggiunto. La Commissione Europea fa proprie le stime, secondo cui un suo sviluppo potrebbe apportare all’economia dell’UE da 160 a 572 miliardi di euro di ulteriore giro d’affari3. Stima ridotta da studi del Parlamento europeo, ma comunque positiva4.

Ulteriori benefici economici derivano poi dall’attuazione della nuova direttiva sulla plastica monouso. In proposito il Commissario Karmenu Vella, ha dichiarato che: "Le cannucce o le forchette di plastica sono oggetti di piccole dimensioni che possono causare gravi danni duraturi. La legislazione sulla plastica monouso riguarderà il 70% dei rifiuti marini, scongiurando danni ambientali che ci costerebbero 22 miliardi di euro entro il 2030". Affermazioni inequivocabili, che fanno comprendere come destinare risorse in questa direzione è nell’interesse di tutti gli Stati membri e dell’Unione stessa.

Peraltro, una simile iniziativa si allinea anche con le politiche di rientro dal deficit. Poiché, come affermato dalla Commissione, una conversione verso l’economia circolare porterebbe ad una crescita economica, sarebbe in grado di generare maggior introiti fiscali e, quindi, di ridurre strutturalmente il disavanzo. Sarebbe, pertanto, un grave errore non cogliere questa opportunità.

Nodi strutturali da superare

Cosa fare allora? Di sicuro non basta recepire le nuove direttive. Sono troppi i nodi strutturali che l’Italia deve superare per raggiungere le performance richieste. Occorre un piano organico – una strategia italiana – che definisca risorse, mezzi e aree di intervento, tra cui l’individuazione di questi ostacoli e realizzi misure per oltrepassarli. In altri termini, occorre investire per creare nuove infrastrutture per lo sviluppo dell’economia circolare.

Il primo passo da compiere è quello di individuare i primi nodi da sciogliere. Una simile analisi è relativamente semplice: sono stati pubblicati diversi studi al riguardo. Ma è sufficiente fare qualche esempio, come il raggiungimento degli obiettivi 2025, 2030, 2035 sul riciclo dei rifiuti urbani. I dati dell’ISPRA sul rapporto tra la crescita della raccolta differenziata e quella del riciclaggio5  ci dicono che, se permane l’attuale andamento per raggiungere nel 2035 l’obiettivo del 65%, dovremmo per assurdo superare il 100% di raccolta differenziata. Quindi, l’obiettivo europeo risulterebbe fuori dalla nostra portata.

Un altro punto di debolezza è la variabilità del mercato del riciclaggio e dell’utilizzo del riciclato, troppo esposto all’oscillazione dei prezzi delle materie prime, della domanda internazionale o della rispondenza ai criteri qualitativi degli utilizzatori delle materie riciclate.

Oppure: l’annoso problema dell’insufficienza impiantistica per il trattamento di alcune tipologie di rifiuti; la scarsa disponibilità di risorse per ricerca e sperimentazione; la non sempre idonea preparazione e/o conoscenza delle tematiche sia da parte degli operatori economici, sia del personale della pubblica amministrazione. Questi sono solo alcuni esempi, certamente non esaustivi, ma affatto rappresentativi.

Tuttavia, essi sono sufficienti a farci comprendere come per incontrare gli obiettivi europei sono richiesti cambiamenti strutturali, quindi non basta solo adottare diverse modalità di raccolta dei rifiuti, ma anche si deve vietare la commercializzazione di prodotti non facilmente riciclabili e cambiare i modelli di produzione e di consumo. Strada, peraltro, che ci viene indicata dalla recente direttiva 904 del 2019 sulle plastiche monouso.

Incrementare il tasso di circolarità della nostra economia

Se passiamo, poi, al piano strategico europeo sull’economia circolare6 ci rendiamo conto che il campo di intervento dovrà essere ben più ampio. Come ad esempio, sviluppare l’economia collaborativa (sharing economy), investire sulla prevenzione, in particolare sull’ecoprogettazione e sull’efficientamento dei processi produttivi, coinvolgere la finanza, facilitare il dialogo tra i riciclatori e l’industria manifatturiera, diffondere la conoscenza e sostenere modelli di consumo più sostenibili.

Questo ci consentirà di superare incertezze applicative - come ad esempio riguardo il riconoscimento dei sottoprodotti o dell’End of Waste -, di aumentare l’affidabilità degli investimenti, di rendere meno oneroso l’accesso al credito, di agevolare il reimpiego dei materiali riciclati.

Come Fondazione Sviluppo Sostenibile, all’interno del Circular Economy Network, abbiamo cominciato ad immaginare quali possano essere le infrastrutture che il nostro Paese deve creare, potenziare o riformare per incrementare il tasso di circolarità della nostra economia. Con lo scopo di definire un primo elenco che abbiamo utilizzato come base di confronto con le categorie interessate durante le giornate di novembre 2019 alla Fiera Ecomondo di Rimini. I temi chiave al momento individuati sono:

  • la prevenzione;
  • il riutilizzo;
  • attività e servizi per l’utilizzo condiviso (economia collaborativa - sharing economy);
  • il riciclo dei rifiuti;
  • attività e servizi per il mercato delle materie prime seconde e per i prodotti realizzati con materiali riciclati;
  • servizi finanziari per lo sviluppo dell’economia circolare.

Tenendo conto di questo elenco riteniamo che infrastrutture da realizzare dovranno essere in grado di assistere e supportare il raggiungimento degli obiettivi europei e promuovere almeno azioni per lo sviluppo di:

  • ricerca e sperimentazione, nonché diffusione delle migliori pratiche e tecnologie disponibili;
  • riduzione delle sostanze pericolose nei processi di produzione e nei prodotti finali;
  • riduzione dei rifiuti;
  • riduzione dei rifiuti marini;
  • riparazione e riutilizzo;
  • soddisfacimento del fabbisogno impiantistico per il riciclaggio;
  • l’affidabilità dei servizi di sharing;
  • l’ammortizzazione delle oscillazioni del mercato del riciclaggio;
  • il sostegno alla domanda di materiale riciclato.

 Le infrastrutture – intese nel senso più ampio – dovrebbero, ad esempio, consistere in:

  • la costituzione di un’agenzia per l’uso efficiente delle risorse, attraverso una ‘rifondazione’ dell’ENEA;
  • la riforma del sistema ISPRA e agenzie regionali;
  • l’assegnazione di nuove funzioni alle Camere di commercio, ai Consorzi sotto regime EPR e ai centri di ricerca;
  • la realizzazione di soggetti certificatori per la riparazione, riutilizzo, sottoprodotto ecc.

Queste infrastrutture dovrebbero essere in grado di attivare centri di assistenza, promuovere la formazione, gestire piattaforme di condivisione e di scambio di buone pratiche e della conoscenza, stimolare la creazione di strumenti finanziari dedicati a chi intende investire nell’economia circolare, promuovere la simbiosi industriale, curare l’apertura di sportelli per l’attuazione della direttiva sull’ecoprogettazione. Sarebbe, peraltro, auspicabile che queste realtà siano in grado di dialogare tra di loro, lavorando sinergicamente e mutualmente. Così come è necessario che siano strutturate in modo da poter essere sottoposte al monitoraggio della loro funzionalità, eventualmente ponendo degli obiettivi minimi e degli indici di valutazione.

 


  1. FSWD(2015) 259 final  https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/PDF/?uri=CELEX:52015SC0259&from=EN
  2. COM(2016) 773 final
  3. COM(2016) 356 final
  4. Secondo l’ufficio studi del parlamento questa cifra dovrebbe comunque essere considerata con cautela; barriere sostanziali impediscono la realizzazione di tutti i vantaggi e potrebbero ridurre il valore di un potenziale uso aumentato fino a 18 miliardi di euro a breve termine e fino a 134 miliardi di euro a medio e lungo termine, a seconda della portata degli ostacoli normativi. 
    http://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/STUD/2016/558777
    /EPRS_STU(2016)558777_EN.pdf
  5. Il confronto degli ultimi quattro anni registra che per un punto percentuale di crescita del riciclaggio ci vogliono 2,7 punti percentuali di crescita della raccolta differenziata
  6. COM(2015) 614 final
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