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Colla in formato granulare

Valorizzare le biorisorse nelle filiere agroalimentari

di Patrizia Buttol, Sara Cortesi, Nicola Colonna

DOI 10.12910/EAI2019-051

Il settore agroalimentare ha raggiunto un punto critico nel modello dell’economia di filiera lineare ed è chiamato a cogliere le opportunità dell’economia circolare, a usare in modo efficiente e razionale le risorse disponibili e a ridurre gli impatti ambientali. ENEA ha sviluppato studi, analisi e progetti per costruire percorsi di bioeconomia circolare all’interno di tre filiere (carne, vitivinicola e lattiero caseario) che producono grandi quantità di scarti e sottoprodotti

di Patrizia Buttol e Sara Cortesi, Laboratorio Valorizzazione delle Risorse nei Sistemi Produttivi e Territoriali, Nicola Colonna, Divisione Biotecnologie e agroindustria - ENEA

I prodotti agroalimentari rappresentano il 10,6% del PIL italiano, un contributo in crescita nell’ultimo decennio, pur in corrispondenza degli anni della crisi economica (ISMEA, 2018).  Il comparto è caratterizzato dalla presenza di numerose imprese di dimensioni medio-piccole, una frammentazione che, insieme alle carenze infrastrutturali del territorio italiano, determina un elevato numero di passaggi all’interno della filiera, limita la produzione su larga scala e si ripercuote sui costi, più elevati che in altri paesi europei anche per voci come l’energia e i trasporti. Tali elementi incidono fortemente sul prezzo finale dei prodotti, con serie conseguenze sulla competitività e sui margini delle aziende che per le loro dimensioni hanno anche difficoltà ad investire e dotarsi delle competenze necessarie per affrontare le sfide presenti e future.

Tutto ciò, unito alle minacce poste dai cambiamenti globali in atto, evidenzia come il settore agroalimentare abbia raggiunto un punto critico nel modello dell’economia di filiera lineare e sia chiamato a cogliere le opportunità dell’economia circolare, usando in modo efficiente e razionale le risorse disponibili e riducendo gli impatti ambientali.

Si tratta, da una parte, di ridurre gli input, o impiegarne di alternativi, attraverso misure di efficientamento energetico, uso di fonti rinnovabili, risparmio idrico, diffusione delle tecniche conservative e di precisione e dei metodi di difesa integrati e biologici; dall’altra, di intervenire sullo spreco alimentare di filiera, stimato in quasi un punto di PIL (0,88%), ricercando la giusta applicazione per ogni tipo di residuo, attraverso una serie di processi sequenziali e applicando il principio della cascata di valore. La realizzazione di questo nuovo modello richiede innovazione tecnologica e di processo, creazione di reti o di distretti di simbiosi industriale e coinvolgimento di tutti i portatori d’interesse, quali i decisori pubblici, gli istituti di ricerca, le associazioni di settore e le imprese.

Il settore agricolo è storicamente l’antesignano dell’applicazione dei principi dell’economia circolare, come testimoniato dagli stessi proverbi della tradizione contadina, proprio per la necessità intrinseca di dare valore ad ogni scarto della produzione, in un mutuo beneficio in cui i sottoprodotti della cerealicoltura servivano alla zootecnia e i residui della zootecnia a ripristinare la fertilità dei suoli per la successiva coltura dei cereali. La trasformazione, in epoca moderna, dei metodi e dei processi di produzione e l’industrializzazione del settore hanno profondamente modificato le filiere e generato grandi quantità di residui, che in alcuni casi costituiscono un serio problema ambientale ed un costo per le imprese.

Nel suo complesso il settore agroindustriale del nostro paese produce milioni di tonnellate di residui che negli anni recenti hanno trovato in parte impiego come biomasse per la generazione di energia (Motola et al., 2009) ma che, in un più articolato e sostenibile processo di estrazione di valore in cascata, possono generare molteplici prodotti, sino a chiudere il ciclo producendo energia e/o compost per ripristinare la fertilità dei suoli.

Il nostro paese annovera molti esempi virtuosi di circolarità, in particolare nelle filiere che caratterizzano il nostro export agroalimentare, dove la sostenibilità è un elemento della competitività e l’assunzione di responsabilità sociale un fattore cui i consumatori europei sono sempre più attenti.

ENEA ha sviluppato studi, analisi e progetti volti a costruire percorsi di bioeconomia circolare all’interno di tre filiere (carne, vitivinicola e lattiero caseario) che producono grandi quantità di scarti e sottoprodotti che verranno qui di seguito brevemente descritti.

La filiera carne

Il settore zootecnico dell’allevamento, macellazione e trasformazione di bovini, suini ed avicoli ha un ruolo di primo piano nell’economia agroalimentare italiana. Le diverse tipologie di scarti prodotti nei processi di macellazione trovano molteplici applicazioni tra cui la produzione di mangimi, grassi, pelli, fertilizzanti e non ultimo energia (Alfano e Gaeta, 2010). Meno noto, ma interessante esempio di bioeconomia circolare, è l’uso del collagene estratto da pelle, ossa e tessuti connettivi provenienti dagli scarti per lo più di bovini e suini per produrre colle. Il collagene è la principale proteina del tessuto connettivo negli animali e dopo opportuna lavorazione può essere impiegato sia come collante “biologico” (gelatina tecnica) sia per uso alimentare (gelatina alimentare). L’uso di tali gelatine è antichissimo, nel vicino Medio Oriente ci sono evidenti tracce del suo impiego migliaia di anni fa sia come collante per mobili che per usi alimentari. In tempi più recenti hanno trovato impiego nel settore della fotografia ed in quello farmaceutico e negli ultimi anni nella cartotecnica. Oggi, dopo che per molti anni si sono diffuse le colle sintetiche viniliche, c’è un ritorno di interesse per le colle di origine naturale in quanto non tossiche e biodegradabili. Tra le esperienze interessanti si annovera quella della ditta Menichetti, in Toscana, che a partire da scarti quali ossa e pelli di bovini e conigli produce una gamma di colle naturali, sia in pasta che in granuli, principalmente utilizzate per gli imballaggi nel settore della moda e dell’agroalimentare, chiudendo idealmente un ciclo che inizia nel medesimo settore e rendendo inoltre più facile il riciclo degli imballaggi presso le cartiere contribuendo a diminuire l’impronta ambientale della filiera (AA.VV., 2019).

La filiera vitivinicola

La filiera vitivinicola italiana, con la sua rilevanza economica (13 miliardi di euro il fatturato nel 2018), le quantità prodotte (48 milioni di ettolitri di vino stimati per la vendemmia 20191) ed il patrimonio culturale e tecnico, può costituire un interessante laboratorio di transizione di modello da un’economia lineare a una circolare. Da un’indagine condotta dall’ENEA per il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, è emerso che esiste un interesse economico al recupero, attraverso la produzione di biomateriali, bioprodotti (alimenti, mangimi, prodotti chimici) e bioenergia (biocarburanti, elettricità e/o calore) dai  residui di lavorazione, tenuto conto degli elevati quantitativi di residui:  in media rispetto all’uva vinificata si producono infatti il 20%-35% di raspi e vinacce e circa il 5% di fecce e solidi di chiarificazione (Creo et al., 2018). Sono inoltre state analizzate alcune interessanti esperienze in corso, quali il sistema integrato sviluppato dalla cooperativa vitivinicola Caviro in Emilia Romagna, con produzione di prodotti ad elevato valore aggiunto quali polifenoli, enocianina (un colorante naturale per alimenti) e acido tartarico dai residui di lavorazione destinati alla distilleria e di biometano per autotrazione dalla digestione anaerobica degli scarti di lavorazione, o quella delle distillerie Bonollo, nel Lazio, che, dopo aver ricavato dalle vinacce la parte alcolica, il tartrato e i semi di vinaccioli, sfruttano la biomassa residua per autoproduzione di energia termica e per produzione di energia elettrica da immettere in rete.

La filiera lattiero-casearia

In Italia nel 2018 sono state prodotte circa 1,3 milioni di tonnellate di formaggio (Eurostat, 2019). A valle di questo processo di trasformazione si generano grandi quantitativi di scarti, in particolare di siero, di cui si producono in media circa 9 litri per kg di formaggio (Gardini, 2015). Tradizionalmente gli scarti della lavorazione del latte sono sfruttati per il contenuto di proteine, grassi e altri nutrienti, per esempio attraverso la produzione di ricotta e quella di panna ottenuta per centrifugazione del siero, oltre all’uso del siero stesso per l’alimentazione animale, in particolare dei suini.

Nel corso degli anni sono state inoltre applicate tecnologie innovative per estrarre dal siero elementi di valore e contemporaneamente ottenere a valle acque reflue con un minore contenuto organico, riducendo l’impatto ambientale potenzialmente collegato al suo smaltimento, ad esempio in relazione all’eutrofizzazione delle acque.

L’estrazione tramite tecnologie separative a membrana del siero e del latticello è attualmente la tecnologia maggiormente utilizzata ed è stata oggetto di numerose ricerche, quali ad esempio il progetto di ENEA Bio-energy Smart Source System (BISSS), realizzato nell’ambito del Programma Operativo Nazionale Ricerca e Competitività 2007-2013 su cofinanziamento del Ministero dell’Istruzione (Miceli et al., 2016).

Negli ultimi anni sono state inoltre sviluppate tecnologie che permettono, a partire dai residui ottenuti con l’estrazione, di produrre materiali bioplastici per imballaggi, anche per il settore alimentare. Un esempio delle attività recenti di ENEA in questo ambito è il progetto BIOCOSÌ che ha come obiettivo il recupero di acque reflue casearie che risultano prive di elementi tossici e sono ricche di proteine, peptidi e lattosio, per produrre PHA, un polimero plastico (per maggiori informazioni si faccia riferimento alla scheda dedicata al progetto nel dossier allegato alla pubblicazione).

Questi tre esempi indicano che le esperienze di bioeconomia circolare, completa o parziale, nel settore agroalimentare esistono, ma occorre promuoverne la diffusione coinvolgendo i diversi stakeholder. Le imprese possono, attraverso l’estrazione di valore dei propri sottoprodotti ed il riciclo dei nutrienti e dei materiali, non solo aprire nuovi settori di business o ridurre i costi, ma diminuire quegli impatti che l’Unione Europea ci chiede oggi di misurare e valutare promuovendo l’introduzione della Product Environmental Footprint, uno strumento che, già testato in molti settori agroalimentari, ha dimostrato il suo potenziale ruolo di driver per l’innovazione (AA.VV., 2019).

Le grandi e medie imprese hanno al loro interno le risorse economiche, tecniche e gestionali per affrontare la sfida della transizione, ma costituiscono una percentuale minima delle imprese di settore. È necessario quindi avviare iniziative che supportino le piccole imprese sia sul versante della formazione-informazione sia attraverso la creazione di reti che realizzino integrazioni a livello di sistema. Si inserisce in questo ambito lo sviluppo della piattaforma di simbiosi industriale (www.industrialsymbiosis.it), realizzata e promossa da ENEA con lo scopo di creare relazioni fra imprese, anche di settori differenti, e facilitare la valorizzazione dei residui come materiali secondari (Porta et al., 2018).

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Colla in formato granulare prodotta da pelli animali (per gentile concessione di Menichetti Glues and Adhesives)
Acido tartarico in polvere prodotto dai residui di vinificazione
Acido tartarico in polvere prodotto dai residui di vinificazione
Stampo
Stampo prova di vaschetta in fibra di canapa e PHA ottenuto da siero di latte (progetto Biocosì)
  1. Comunicato 4 settembre 2019 dell’Osservatorio del Vino, www.ismea.it

BIBLIOGRAFIA

  1. AA.VV., 2019: Innovation and Sustainability in the Mediterranean Agri-food Systems, Final publication PEFMED project, (e-book scaricabile da www.pefmed.wiki.eu)
  2. Gardini R., 2015: Il siero di latte da scarto a importante risorsa alternativa per l’industria.
    http://www.agricolturaeambiente.it/il-siero-di-latte-da-scarto-a-importante-risorsa-alternativa-per-lindustria/
  3. Alfano V., Gaeta M., 2010: Rifiuti organici e scarti di macellazione per il biogas. Informatore Agrario. 17, p. 17-21
  4. Creo C., Ansanelli G., Buttol P., Chiavetta C., Cortesi S., Cutaia L., Nobili P., Sposato P., 2018: Uso efficiente delle risorse nelle imprese vitivinicole, Edizioni ENEA, 2018, ISBN 978-88-8286-371-5
  5. EUROSTAT, 2019: Statistical data about cheese production.  https://ec.europa.eu/eurostat/web/prodcom/overview
  6. ISMEA, 2018: Rapporto sulla competitività dell’agroalimentare italiano, Roma, Luglio 2018
  7. Miceli V., Camassa A., Pizzichini D., Russo C., 2016: Il trattamento sostenibile dei reflui provenienti dai comparti olivicolo, viti-vinicolo e lattiero-caseario al centro del progetto Bio-energy smart source system, RT/2016/39/ENEA (www.enea.it/it/produzione-scientifica/rapporti-tecnici)
  8. Motola V., Colonna N., Alfano V., Gaeta M., Sasso S., De Luca V., Angelis C., Soda A., Braccio G., 2009: Censimento potenziale energetico biomasse, metodo indagine, atlante Biomasse su WEB-GIS. Ricerca Sistema elettrico, RSE/2009/167, ENEA, Roma
  9. Porta P.L., Sposato P., Buttol P., Chiavetta C., Cortesi S., Fantin V., Luciano A., Mancuso E., Sbaffoni S., Scalbi S., Cutaia L., 2018: La nuova piattaforma di Simbiosi Industriale di ENEA, funzioni ed esempi applicativi. In “Gli effetti della simbiosi industriale sui sistemi produttivi e territoriali”, Ecomondo 2018
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