Copertina della rivista
Impianto di decarbonizzazione

Decarbonizzazione, elettrificazione del sistema e ‘rivoluzione’ delle reti

di Giovanni Battista Zorzoli

DOI 10.12910/EAI2020-030

La crescente elettrificazione del sistema energetico è una scelta obbligata per la maggiore diffusione di prodotti e servizi alimentabili solo con l’energia elettrica, ma anche per garantire livelli di efficienza che consentano di rispettare la traiettoria di decarbonizzazione programmata dalla Commissione UE. La principale sfida che abbiamo davanti per realizzare i cambiamenti necessari alla transizione energetica è l’adeguamento delle reti elettriche attraverso una vera e propria rivoluzione copernicana.

Giovanni Battista Zorzoli

Giovanni Battista Zorzoli

Presidente del Coordinamento FREE

La proposta della Commissione Europea per rilanciare le economie degli Stati membri, messe in crisi dal COVID-19, non dà adito a dubbi. La parte più cospicua del Recovery Fund è destinata a sostenere gli investimenti diretti degli Stati membri e a stimolare quelli privati, entrambi finalizzati allo sviluppo della transizione sia verde che digitale; una distinzione spesso formale, dato che senza una digitalizzazione spinta l’elettrificazione green non sarebbe realizzabile. Si tratta di un indirizzo coerente con la Comunicazione sul Green Deal europeo e con la successiva proposta di ridurre del 50-55% le emissioni di CO2 entro il 2030, in modo da collocare il processo di carbonizzazione sulla traiettoria per arrivare nel 2050 a una riduzione tra l’80 e il 90%. Ed è sintomatico che il recente Piano Nazionale Integrato Energia Clima (PNIEC) elaborato in Germania si sia già allineato ad entrambi questi indirizzi europei, assumendo per il 2030 la riduzione di CO2 più sfidante (-55%). Data l’influenza della Germania sulle decisioni strategiche dell’UE, difficilmente quest’ultime assumeranno obiettivi difformi da quelli del PNIEC tedesco che, per realizzare la riduzione di CO2 prevista al 2030, punta decisamente su una rilevante riduzione della domanda di energia primaria e su una altrettanto significativa accelerazione dell’elettrificazione del sistema energetico. A tal fine, la produzione elettrica rinnovabile nel 2030 soddisferà il 65% della corrispondente domanda e la mobilità elettrica contribuirà per il 47% all’elevata copertura da parte delle fonti energetiche rinnovabili ai consumi nel trasporto (27%).

Per l’Italia un doppio salto mortale

Attualmente il PNIEC italiano prevede di realizzare gli obiettivi al 2030 con un contributo del 55% delle fonti rinnovabili elettriche alla corrispondente domanda. Di conseguenza, con il prevedibile innalzamento dell’obiettivo di decarbonizzazione, la produzione elettrica rinnovabile dovrà coprire più del 60% della domanda. È l’equivalente di un doppio salto mortale, non perché manchino operatori dotati delle necessarie capacità finanziarie e gestionali, ma per le ben note lungaggini autorizzative (in Germania e in Spagna il permesso di costruzione di un impianto eolico si ottiene in due anni, in Italia mediamente in cinque, con punte fino a nove).

Nel trasporto, l’apporto delle rinnovabili ai consumi salirà un po’ meno di quello tedesco (22%), ma la mobilità elettrica vi contribuirà solo per il 12%. In questo caso, per adeguarsi al nuovo obiettivo di decarbonizzazione ci vorrà per lo meno un doppio salto mortale carpiato.

D'altronde, non esistono alternative credibili. L’elettrificazione crescente del sistema energetico rappresenta una scelta obbligata, imposta dalla maggiore diffusione di prodotti e servizi alimentabili solo con l’energia elettrica, ma soprattutto dalla necessità di garantire livelli di efficienza che consentano di rispettare la traiettoria di decarbonizzazione programmata dalla Commissione europea. Infatti, come ha icasticamente messo in evidenza il World Energy Outlook 2018 dell’IEA nello Special Focus on Electricity, attualmente «l’elettricità rappresenta il 19% dei consumi finali di energia, ma, grazie alla più elevata efficienza di conversione media, soddisfa il 27% della domanda energetica utile»; e nel caso dell’auto, il coefficiente di conversione è largamente superiore al dato medio: per ogni unità di energia consumata, un veicolo elettrico ne fa risparmiare circa tre di prodotti petroliferi.

La rivoluzione delle reti

In futuro, la principale sfida riguarderà dunque l’adeguamento delle reti elettriche ai cambiamenti indotti da questa linea di sviluppo. Nel 2030 la produzione elettrica nazionale, connessa alle reti di distribuzione, dovrà passare dall’odierno 22% ad almeno il 40%, per superare certamente il 50% dieci anni dopo. Percentuali che potrebbero essere più elevate, se le Comunità energetiche avessero uno sviluppo comparabile a quello di Paesi come Danimarca e Germania.

Già nel 2030, da un’architettura ad albero il sistema di trasmissione e distribuzione dovrà passare a un’architettura reticolare, certamente caratterizzata dallo squilibrio estate/inverno della produzione fotovoltaica, con i servizi di rete non più forniti da un numero limitato di grandi impianti di produzione, ma, individualmente o in forma aggregata, da un numero superiore a 2 milioni di impianti di produzione, dagli storage park e dalla domanda.

Una rivoluzione copernicana, non gestibile limitandosi a potenziare le reti, bensì con l’adozione integrata di un mix di innovazioni:

  • trasmissione dati con tecnologia 5G (in prospettiva 6G) su una rete virtuale dedicata;
  • utilizzo dell’Artificial Intelligence e di Big Data per interventi preventivi e in tempo reale;
  • elevato apporto di IoT (Internet of Things);
  • esteso ricorso a sistemi di accumulo concentrati - anche stagionali, fra cui biometano e idrogeno verde – e distribuiti (con un importante contributo delle batterie a flusso).

L’entità delle risorse finanziarie e professionali da investire nella digitalizzazione sarà tale da favorire operazioni di Mergers and Acquisitions, che già oggi sono una delle concause dei processi di aggregazione tra aziende dei servizi pubblici locali.

Accelerare la decarbonizzazione delle materie prime

Per accelerare la decarbonizzazione, accanto all’uso efficiente dell’energia, va però perseguito quello di tutte le materie prime. Per realizzare questo obiettivo occorre abbandonare il modello dell’economia lineare, riprogettando i processi produttivi in modo che materiali, componenti e prodotti finali siano riutilizzabili in un ciclo chiuso. Questo requisito fondamentale dell’economia circolare rappresenta quindi una gigantesca opportunità per aumentare gli utili anche in settori considerati tecnologicamente maturi e favorire il reshoring di attività attualmente delocalizzate.

Per massimizzare l’efficacia di un’economia circolare, al suo interno andrà gradualmente ridotto l’apporto delle materie prime minerali che alimentano il sistema (parte destra di Fig. 1) sostituendole, ovunque sia possibile, con biomateriali riciclabili.

La biomassa è però risorsa oggettivamente limitata, i cui utilizzi alternativi non devono pertanto interferire con l’esigenza primaria della nutrizione. Per soddisfarne la crescente domanda come materia prima o come “semilavorato” (ad es. biometano) nelle industrie biochimiche, sarà necessario diminuirne l’impiego nella produzione di energia.

Che questo sia l’utilizzo ottimale della biomassa, lo conferma un dato di fatto: è l’unica fra le fonti rinnovabili con complessa struttura molecolare, cioè con un elevato contenuto d’informazione1.

Fig. 1   Schema dell’energia circolare
Fig. 1 Schema dell’energia circolare

Oggi è sostanzialmente trasformata in calore, utilizzato tal quale o convertito in energia elettrica, e fornisce un contributo importante alla sostituzione dei combustibili fossili, e continuerà a darlo nel prossimo futuro. Si tratta però di processi in cui, per il secondo principio della termodinamica, alla fine l’energia degrada a calore a bassa temperatura, il cui contenuto d’informazione, rispetto all’iniziale molecola di biomassa, è praticamente nullo.

In una prospettiva di lungo periodo, anche sotto il profilo economico diventerà quindi più conveniente privilegiare, per quanto possibile, le trasformazioni della biomassa in grado di conservare o addirittura incrementare la sua complessità molecolare (quindi il suo contenuto d’informazione); obiettivo realizzabile nelle biofabbriche, che ottimizzano lo sfruttamento dei principali componenti della massa legnosa (cellulosa, emicellulosa, lignina) mediante la produzione congiunta di biopolimeri, biofarmaci, biocoloranti, biocarburanti, biolubrificanti ecc., che, essendo per la maggior parte riciclabili, non dissipano il proprio contenuto d’informazione.

Perché è importante l’elaborazione di scenari al 2050, come richiede la Commissione Europea? Innanzi tutto, obbliga a ricercare il consenso non su astratte affermazioni di principio, ma su linee di sviluppo, che devono essere ad un tempo realistiche e coerenti con l’obiettivo di decarbonizzazione al 2050. Ma, risultato non meno importante, mettono in evidenza i potenziali rischi di lock-in, se si effettuano investimenti che nel lungo periodo possono entrare in conflitto con gli obiettivi di decarbonizzazione.

 


1 Il concetto di ‘informazione’ è fortemente radicato nel linguaggio della biologia molecolare: come valore euristico e metaforico (equivalente di complessità) riveste un ruolo fondamentale all’interno del quadro esplicativo di questa disciplina

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