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La magia e la promessa dell’economia circolare

di Beatrice Lamonica

DOI 10.12910/EAI2019-027

L’economia circolare è un cambiamento epocale di prospettiva in tema di sostenibilità e, allo stesso tempo, rappresenta un’opportunità sistemica di coniugare le esigenze di crescita con quelle di decarbonizzazione, competitività, innovazione e lotta allo spreco. La Ue valuta in 600 miliardi di euro/anno la possibile riduzione dei costi industriali per effetto di prevenzione dei rifiuti, ecodesign e riutilizzo dei materiali e prevede circa 700mila nuovi occupati, con una stima puntuale per l’Italia del +0,4 per cento, per la transizione verso modelli di business circolari

Beatrice Lamonica

Beatrice Lamonica

Responsabile Servizi Sostenibilità, Accenture Strategy

L'economia circolare rappresenta un cambiamento di prospettiva epocale sul tema della sostenibilità, un tema che è emerso con forza dirompente e crescente negli ultimi 15 anni, attraverso incrementi della legislazione, accordi internazionali sul clima, definizione di standard di gestione e misurazione, interesse degli investitori, framework internazionali come Sustainable Development Goals, nascita della green economy. Queste componenti fondamentali e rivoluzionarie hanno però manifestato con il tempo, a mio parere, due grandi limiti: essere prevalentemente soluzioni “end of life” ed aver rappresentato sempre il tema della sostenibilità come un problema da gestire e raramente come un’opportunità. Adesso c’è fretta, siamo in emergenza. La circular economy dovrebbe essere al centro delle politiche industriali ed ambientali: il tema non è mai stato rilevante come oggi.

Necessità di decarbonizzazione e scarsità delle risorse

La Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen parla di trasformazione dell’Unione Europea verso la carbon neutrality: “Le emissioni di CO2 devono avere un costo che spinga tutti al cambiamento dei comportamenti”1. Quanto da lei auspicato si riflette anche in recenti studi di scenario che ipotizzano il costo della CO2 al 2021 tra i 45 ed i 65 €/t dall’attuale costo di 20 €/t2 ed al costo di 15,4 €/t del 20183.

Quanto affermato negli ultimi anni ed anche di recente con l’ultimo rapporto sul suolo dagli scienziati dell’IPCC non ha causato urgenza nell’azione di Paesi, aziende e persone? La prospettiva di nuove malattie, città parzialmente inondate, siccità non muove le scelte di politica industriale, se non parzialmente? Forse lo farà l’impatto economico: al 2100 gli USA potrebbero perdere 10,5% del PIL pro-capite a causa del cambiamento climatico4. E per il principale investitore a livello mondiale, BlackRock, sono state stimate perdite pari a 90 miliardi di dollari nell’ultimo decennio per aver ignorato il rischio finanziario di investimento in società petrolifere5.

I concetti della circular economy devono essere integrati nelle politiche di decarbonizzazione, il ruolo può essere fondamentale. Secondo uno studio di Material Economics6  l’applicazione dei concetti di circular economy per l’acciaio, la plastica, il cemento e l’alluminio, potrebbe portare alla riduzione delle emissioni di CO2 al 2050 pari al 56% attraverso il riciclo dei materiali (maggior contributo), l’efficienza nel processo produttivo e l’introduzione dei modelli di business circolari: nell’Unione Europea porterebbero ad evitare 296 milioni di tonnellate di CO2/anno con un potenziale a livello globale pari a 3,6 miliardi di tonnellate di CO2/anno.

Il tema della scarsità delle risorse ed il loro sovra sfruttamento è egregiamente rappresentato dall’indicatore del Global Footprint Network: Earth Overshoot Day che segna il giorno in cui la domanda di risorse naturali di un anno eccede quanto la Terra può rigenerare nello stesso anno. Il 29 luglio nel 2019 a livello mondiale, il 15 maggio per l’Italia. Secondo il WEF Global Risks Report 2019, dei dieci rischi globali a più alta probabilità, sei sono ambientali. Risultati dell’analisi simili anche rispetto ai rischi con maggiore impatto.

Competitività e nuova occupazione

L’economia circolare è la possibile risposta: rappresenta un’opportunità sistemica di coniugare esigenze di crescita con quelle di decarbonizzazione, competitività, innovazione. È questa la sua promessa. L’Unione Europea7 stima in 600 miliardi di euro il potenziale annuale di riduzione dei costi per le industrie dovuto a prevenzione dei rifiuti, ecodesign e riutilizzo dei materiali. Inoltre la transizione economica verso modelli di business circolari creerà nuova occupazione, l’impatto stimato è di 700mila nuovi posti di lavoro nell’Unione Europea – con una stima puntuale per l’Italia pari al +0,4 per cento8.

La dicotomia percepita tra sostenibilità e crescita è sempre stata il punto nodale che ha frenato la trasformazione del sistema produttivo verso modelli più sostenibili. In Accenture da circa 10 anni approcciamo questo tema come un elemento di creazione di valore di business, arrivando a definire il nostro Sustainability Value Framework (Figura 1) che identifica le categorie di impatto sulla top line (nuovi prodotti legati alla sostenibilità e miglioramento del valore intangibile) e sulla bottom line (riduzione dei costi e miglioramento della gestione del rischio).

Anche il tema dell’economia circolare per noi è un fattore di creazione di valore. Nel nostro lavoro di ricerca, nell’ambito della collaborazione con il World Economic Forum, abbiamo definito un modello economico per la stima dell’opportunità legata all’economia circolare: 4,5 trilioni di dollari al 2030 a livello globale9. L’opportunità è legata all’eliminazione dei diversi tipi di spreco dell’economia lineare: lo spreco di risorse, lo spreco di cicli di vita, lo spreco di capacità e lo spreco di componenti di valore (Figura 2):

  • eliminazione di risorse sprecate – introducendo energia rinnovabile e combustibili, agenti chimici e materiali di natura biologica;
  • eliminazione di cicli di vita sprecati – attraverso la rigenerazione, riparazione, produzione per la durabilità, erogazione di servizi per l’ottimizzazione delle risorse;
  • eliminazione di capacità sprecate – mediante incremento di condivisione, comproprietà, co-utilizzo;
  • eliminazione di componenti di valore sprecati mediante l’incremento di riciclo, l’upcycling, recupero di componenti ed energia.

Il valore dell’economia circolare si manifesta a pieno con una visione estensiva della stessa: lo spreco non è solo il “rifiuto” nella sua accezione comune. È proprio questa intuizione che ha portato a definire i cinque modelli di business legati all’economia circolare – che permettono di perseguire la trasformazione sistemica, di innovare i prodotti ed i servizi.

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Fig. 1 Accenture Sustainability Value Framework
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Fig. 2 Gli scarti come fonte di valore (Fonte: Dallo Spreco al valore, Lacy – Rutqvist – Lamonica, 2015)

Cinque modelli di business

Circular supply chain, Filiera Circolare – modello di business che offre l’accesso ad input rinnovabili, riciclabili o biodegradabili in sostituzione di quelli lineari. La rilevanza di questo modello di business è estrema: permette di introdurre energia rinnovabile in sostituzione di quella di origine fossile e materiali di natura biologica come le bioplastiche in sostituzione di input non rinnovabili, che rappresentano inoltre un noto problema in fase di gestione del loro fine vita. Questo modello di business vive di innovazione e di ricerca.

In Italia, la bioeconomia rappresenta un settore importante e crescente, con un fatturato annuo di circa 330 miliardi di euro e 2 milioni di posti di lavoro10. Il nostro Paese si posiziona terzo in Europa, dopo Germania e Francia, rispetto al fatturato, mentre è secondo in termini di ricerca ed innovazione. Anche all’estero esistono interessanti esempi di riconversione di business e joint venture tra aziende che detengono il know how impiantistico e tecnologico ed aziende con competenze specifiche nell’ambito dei biomateriali. Tra queste, ad esempio, Novvi, società che produce oli lubrificanti da canna da zucchero, garantendo performance comparabili a quelle dei lubrificanti di origine fossile e Total Corbion che produce PLA (Poly Lactic Acid) una bioplastica con ridotto impatto di carbonio e possibili applicazioni nel packaging, nel settore automobilistico e tessile.
Il cambiamento in atto rispetto ad alcuni flussi di materia quale la plastica, renderà i primi due business model ulteriormente forieri di crescita economica per le aziende che le perseguiranno. Le Direttive dell’Unione Europea da un lato e, dall’altro, le regolamentazioni di numerosi paesi riguardo il divieto di importazione dei rifiuti da plastica (Cina, Thailandia, Malesia ed India a breve), nonché le iniziative volontarie sul packaging di singole aziende e di settore (e.g. EMF New Plastics Economy) porteranno certamente ad una domanda crescente di biomateriali e di plastiche riciclate (Modello di business Recupero e riciclo).

Un secondo modello di business, quello più comunemente associato al concetto di economia circolare è quello del Recupero e riciclo, basato sulla salvaguardia, recupero e riutilizzo di materia ed energia nascosta negli output produttivi e nei prodotti scartati. Grazie a questo modello che ha nel cliente finale la chiave del successo, l’impresa cerca il valore in tutti i suoi flussi di materiali: tutto ciò che era considerato uno scarto viene reintrodotto per altri usi, di fatto eliminando lo spreco. Le catene di recupero delle risorse trasformano lo spreco in valore attraverso il riciclo e l’upcycling. Le soluzioni vanno dalla simbiosi industriale a modelli a circuito chiuso, di cui la logistica inversa rappresenta un punto nodale.

Dare nuova vita a scarpe vecchie, il caso-Nike

Interessante come ragionare su questo modello porti ad un cambiamento della relazione con il cliente: si dà al cliente l’opportunità di disfarsi in modo nuovo e comodo di prodotti indesiderati, creando sistemi di fidelizzazione. Un esempio calzante è l’iniziativa lanciata da Nike, all’insegna dello slogan: Giocare a tennis o correre sulle proprie vecchie scarpe? Nike lo rende possibile! Ogni anno circa 300 milioni di scarpe da ginnastica vengono buttate, con numeri fortemente in crescita con una stima di mercato con un CAGR (Compound Annual Growth Rate – tasso annuo di crescita composto) del 2,5% al 2024. Nike ha intravisto un’opportunità nei propri rifiuti di processo (circa 15-20% della materia prima) e nelle scarpe di cui i propri clienti vogliono disfarsi. Attraverso il coinvolgimento dei clienti recupera le scarpe vecchie, creando un ulteriore legame relazionale con loro e le utilizza per creare materiali rigenerati - Nike Grind – che diventano materia prima per le nuove scarpe o per applicazioni quali campi da gioco. I risultati ad oggi: 18 materiali identificati come flussi di recupero, 75% delle scarpe Nike contenenti materia prima seconda in sostituzione di materia prima, circa 10mila superfici da gioco realizzate con il materiale Nike Grind. Ragionare sulla massimizzazione e recupero del valore del bene a fine vita porta con sé il ripensamento del design dei prodotti. Alcuni concetti sono fondanti per abilitare la circular economy: la modularità, l’identificazione dei materiali, la durabilità. Nike ha identificato dieci principi di circular design, passi simili nella definizione di linea guida sul design circolare sono stati fatti da altre aziende leader nella circular economy come Ikea e Philips.

Allungare il ciclo di vita utile. Google e i data center

L’estensione del ciclo di vita è il terzo modello di business possibile, incentrato sull’allungare il ciclo della vita utile generando fatturato attraverso la longevità del prodotto invece che attraverso il volume. Il modello si basa sul ricondizionamento dei prodotti stessi e la vendita ad un target di clienti sensibile al prezzo, che non ha problemi ad acquistare un prodotto “come nuovo”. Ulteriori possibilità sono la riparazione e l’aggiornamento delle caratteristiche e delle funzionalità. Un’applicazione rilevante del concetto è quella che Google implementa nella gestione dei propri data center. Nel pubblicare la propria strategia di circular economy nel giugno 2019, Google ha sostenuto che i data center siano la migliore espressione dell’applicazione del concetto della circular economy, dichiarando di aver ridotto il Total cost of ownership TCO – costo totale di proprietà) di centinaia di milioni di dollari all’anno. La gestione attuale dei data center, basata su una manutenzione che abiliti il riutilizzo dei pezzi di ricambio, ha permesso di raggiungere una percentuale di rimanifattura pari al 70 per cento. Le parti in eccesso, identificate trimestralmente attraverso il progetto di gestione dell’obsolescenza, sono collocate sul mercato secondario e, ad oggi, sono stati venduti circa 2 milioni di pezzi.

Un ulteriore modello di business è rappresentato dalle Piattaforme di condivisione – Sharing platform che indirizzano lo spreco di capacità, offrendo un ‘luogo’ per mettere i proprietari dei prodotti in contatto con individui o organizzazioni interessati ad usarli; la piattaforma permette quindi di incrementare la produttività dei prodotti attraverso l’accesso condiviso. La possibilità di massimizzare l’utilizzo dei beni ha un evidente beneficio in termini di “circolarità” e riduzione dell’impatto ambientale. Un esempio molto immediato è quello delle automobili, che in media utilizziamo per circa l’8% del tempo, la possibilità di sfruttarne anche la capacità residua rappresenta un’opportunità di messa a reddito, di riduzione dei consumi di materie prime e della congestione dei parcheggi.

Le piattaforme di sharing e il ‘prodotto come servizio’

Il concetto della piattaforma di sharing ha applicazioni molto estese che possono riguardare sia aziende che utenti privati. Floow2, ad esempio, è una piattaforma di condivisione B2B che permette di connettere domanda ed offerta di capacità in eccesso di attrezzatura e macchinari, così come competenze sottoutilizzate. I risultati sono sorprendenti: circa 17mila utilizzatori nel 2018. Attualmente il mercato della sharing economy in Italia è stimato in circa 3,5 miliardi11 di euro all’anno con stime di crescita che, in dieci anni, potrebbe portare il valore a 25 miliardi di euro.

Infine, il quinto modello possibile è quello di Prodotto come servizio, secondo il quale la proprietà del bene rimane del produttore del bene stesso il quale vende la performance ad esso legata. Il cliente diventa utente del prodotto, più che consumatore dello stesso. L’azienda offre il prodotto materiale ed i servizi necessari per mantenerlo in uso attraverso le fasi di progettazione, utilizzo, manutenzione, riutilizzo, rigenerazione e riciclo dello stesso. La ricerca ha mostrato come le varianti di questo modello di business, possono portare a ridurre l’impronta ambientale tra il 20 ed il 50 per cento12. Evidente, ad esempio, che il produttore di un bene il cui valore si manifesterà come servizio, sarà immediatamente disinteressato al concetto di obsolescenza programmata. L’applicazione di questo modello di business ha portato forti innovazioni in settori diversi: da Signify Philips che vende ore di illuminazione e non lampade, a Michelin arrivata a vendere km percorsi con i propri pneumatici, fino ad applicazioni ancora più sorprendenti come “chemical as a service” soluzione alternativa all’acquisto di quantitativi di solventi. SafeChem, fondata da Dow, offre assistenza tecnica, formazione ed un sistema di trasporto, stoccaggio e manipolazione unico dei solventi. I risultati sono molto rilevanti: riduzione del quantitativo consumato fino al 93 per cento, con tassi di funzionamento degli impianti pari al 99 per cento: il cliente si “libera” della gestione di un aspetto che non è il suo core business e l’azienda specialistica amplia la propria offerta dalla vendita del prodotto a quella del servizio associato al prodotto.

Conclusioni

Accenture è impegnata al fianco di numerose aziende nell’indirizzare l’opportunità creata dall’economia circolare. Da questa esperienza emergono alcuni punti chiave:

  • Per coglierne i benefici trasformativi bisogna affrontare il tema in modo ambizioso e trasversale: aziendalmente potrebbe nascere da un progetto di innovazione o sostenibilità, ma per poter esprimere il suo valore a pieno ed essere di successo devono necessariamente essere coinvolte le funzioni aziendali che hanno la responsabilità del sourcing, delle operations, del marketing strategico. È sorprendente come ragionare sulle logiche della circular economy possa portare a disegno di nuovi prodotti e servizi, cambiamento delle logiche di fornitura anche in ottica di partnership. Anche per questo è fondamentale alimentare la conoscenza e la cultura della “circolarità” in modo trasversale all’interno delle aziende.
  • Le tecnologie digitali e dei materiali sono il principale abilitatore dei nuovi modelli di business: la possibilità di localizzare un bene, monitorarne lo stato di usura e di funzionamento, di analizzare come/quanto un asset viene utilizzato è possibile oggi solo grazie a queste tecnologie. Le possibilità possono aumentare esponenzialmente, ed è doppiamente rischioso non seguirne l’evoluzione, sia per perdita di vantaggio competitivo che per il rischio ancora più serio di essere spazzati via.
  • Qualora ci fossero dubbi: le grandi aziende si muovono in ottica trasformativa rispetto all’economia circolare, lo testimonia la partecipazione alla Fondazione Ellen MacArthur così come al premio The Circulars organizzato da WEF ed Accenture, che nell’ultimo anno ha ricevuto 450 candidature. Contemporaneamente fioriscono le start up in quest’ambito: l’ecosistema dell’innovazione pullula di economia circolare. Questo rende ulteriormente evidente come per competere anche le PMI, tipicamente rappresentanti del tessuto industriale italiano, possono scegliere di giocare questa partita con proattività assumendo il ruolo di partner della grande azienda che si trasforma, oppure con passività, cercando di adeguarsi alle nuove richieste che emergeranno dal mercato.
  1. New EC President Announces Plans For EU Carbon Border Tax https://steueroasen.org/blog/2019/07/29/new-ec-president-announces-plans-for-eu-carbon-border-tax/
  2. Axpo Dayly Market Update 5/8/2019
  3. https://www.gse.it/servizi-per-te/news/il-prezzo-della-co2-nel-2018-triplica-rispetto-al-2017
  4. National Bureau of Economic Research Long-Term Macroeconomic Effects of Climate Change: A Cross-Country Analysis
        https://www.washingtonpost.com/weather/2019/08/19/climate-change-could-cost-us-up-percent-its-gdp-by-study-finds/?noredirect=on
  5. Institute for Energy Economics and Financial Analysis https://www.theguardian.com/environment/2019/jul/31/blackrock-lost-90bn-investing-in-fossil-fuel-companies-report-finds
  6. The Circular Economy, a powerful force for climate mitigation
  7. Circular economy research and innovation
  8. Impacts of circular economy policies on the labour market, EU Directorate General for Environment, 2018
  9. Dallo Spreco al valore, Lacy – Rutqvist – Lamonica, 2015
  10. Strategia Nazionale per la Bioeconomia, 2019
  11. https://st.ilsole24ore.com/art/impresa-e-territori/2016-07-01/la-sharing-economy-italia-vale-35-miliardi-163954.shtml?uuid=AD11zhm
  12. Arnold Tukker, “Eight types of Product- Service System: Eight Ways to Sustainability?”
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