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Sostenibilità e innovazione sono le nostre leve di competitività

Intervista a Stefano Venier, Amministratore delegato del Gruppo Hera

Energia, acqua, rifiuti sono risorse fondamentali per la vita delle persone e settori chiave dell'economia nazionale. Che cosa significa a livello operativo e progettuale la transizione all'economia circolare e la chiusura dei cicli in questo comparto? E quali sono le opportunità e le sfide per le imprese impegnate in questi settori? Lo abbiamo chiesto a Stefano Venier, amministratore delegato del Gruppo Hera, la multiutility che nel 2018 ha vinto il premio perla sostenibilità nell'ambito della sesta edizione del rapporto Top Utility Analysis

Dottor Venier, da che cosa nasce il grande interesse per l’economia circolare? 

L’interesse crescente per questo tema conferma una convinzione che il Gruppo Hera porta avanti da tempo, ovvero che l’economia circolare non è una questione che coinvolge solo i rifiuti, ma deve partire dal concept ed uso dei beni e servizi. Tale approccio deve riguardare tutti i settori, in quanto trasversale a ogni filiera produttiva e di servizio, per cui occorre progressivamente abbandonare l’attuale modello di sviluppo, non sostenibile nel “mondo pieno”, basato sul “prendi, usa, getta”.

A una sfida come questa si risponde con politiche ampie, coordinate e condivise a livello sovranazionale e questa sarà la sfida politica della nuova Commissione guidata dalla Von der Leyen. In attesa del Green New Deal, i paesi UE – tra cui il nostro – dovrebbero recepire le direttive già esistenti e farsi trovare pronti al processo di legiferazione europea dei prossimi mesi.

Il Gruppo Hera, dal canto suo, punta su sostenibilità e innovazione come leve per aumentare la competitività e ha fatto dell’economia circolare il volano di questa transizione. Del resto, un’impresa come la nostra che gestisce risorse fondamentali per la vita dei cittadini – ambiente, energia, acqua – non può che incrociare il suo cammino con quello dell’economia circolare, proprio perché non riguarda solo la materia, ma anche il ciclo idrico e l’energia.

Che cosa significa oggi la transizione verso questo tipo di modello dal punto di vista operativo, progettuale e al di là degli slogan per una multiutility come Hera?

L’economia circolare orienta da tempo le nostre strategie e processi operativi, e ci ha spinto a pensare i servizi che gestiamo nell’ottica di questo modello. Sin dalla nascita di Hera ci siamo interrogati sui possibili impatti ambientali e sociali delle nostre attività, nell’intento di mitigarli. Adesso cerchiamo di intervenire ex ante per contenere quanto più possibile i costi a carico della comunità, dell’ambiente e delle future generazioni, puntando sulla rigenerazione delle risorse naturali, sull’allungamento del ciclo di vita utile dei beni e delle risorse, sullo sviluppo di competenze per un utilizzo efficiente della materia.

Per Hera quindi l’economia circolare, oltre a essere una necessità, rappresenta un’opportunità. Da un lato, ci sta aiutando a migliorare ciò che facciamo, dall’altro ci offre ulteriori opportunità di riduzione costi e nuovi ambiti commerciali, stimolandoci a evolvere verso un approccio nuovo da condividere con i nostri stakeholder.

Mettiamo in pratica tutto questo ogni giorno, in tutte le nostre aree di business, ripensando servizi e progetti in ottica circolare, partendo ad esempio dal riuso delle acque provenienti dai depuratori di Bologna, Modena e Cesena, che stiamo estendendo ad altri territori, alla rigenerazione della plastica attraverso la controllata Aliplast, alle azioni per ridurre il water footprint delle nostre attività, fino alla tutela e recupero di suolo come nei cantieri del Piano di Salvaguardia della Balneazione a Rimini.

Ci sono altre iniziative in questo senso? 

Certo. Lo stesso impianto per la produzione di biometano a Sant’Agata Bolognese è stato realizzato all’interno di un sito di compostaggio già presente e la sua costruzione non ha comportato alcun ulteriore consumo di suolo. In questo impianto, a partire dai rifiuti organici raccolti dalle famiglie già oggi produciamo biometano per alimentare bus, taxi e mezzi privati. Abbiamo capito che la transizione verso un modello economico circolare si può fare solo con la collaborazione e l’impegno di tutti. Così portiamo avanti anche progetti con ricadute positive non solo per l’ambiente, ma anche per il tessuto sociale. Tra questi CiboAmico, FarmacoAmico e Cambia il Finale, che nascono dalla collaborazione con alcune Onlus del territorio per ridurre gli sprechi, incentivare il recupero e aiutare persone in difficoltà. E, ancora, azioni di sostegno alle persone in condizioni di disagio e una politica di azione specifica sul diversity.

Perché al centro del vostro bilancio di sostenibilità avete collocato la creazione di valore condiviso?

La creazione di valore condiviso1, ovvero la quota di margine operativo lordo derivante da attività che, oltre a generare ritorni per l’azienda, concorrono a selezionati obiettivi dell’Agenda ONU al 2030, misura puntualmente il nostro impegno. Tre sono i driver che sostengono questa visione e che guidano la lettura del nostro Bilancio di Sostenibilità: uso intelligente dell’energia, uso efficiente delle risorse, innovazione e contributo allo sviluppo. In questo modo focalizziamo l’attenzione sull’intersezione fra gli obiettivi dell’azienda e le priorità delle comunità: perché aziende come la nostra devono avere anche una dimensione sociale.

Avete proiezioni sulle possibili ricadute ambientali, economiche e la creazione di nuova occupazione in Hera?

La trasformazione dei settori industriali e dei servizi produce un’evoluzione dei profili e nuove opportunità professionali. Ma ogni transizione, auspicabilmente, deve essere guidata politicamente, con continuità e gradualità, e se ne devono gestire gli effetti sociali. Ci saranno professioni che presto spariranno, molte che stanno nascendo e tante altre che ancora non conosciamo. Molte delle nuove saranno a “chilometri zero” mentre altre spariranno in altre aree. Una partita importante la gioca già oggi il tema della formazione, soprattutto delle generazioni che hanno più anni di lavoro alle spalle; formazione che dovrà evolvere sempre di più verso un continuous learning

Per misurare le ricadute delle nostre attività, basti pensare che nel 2018 abbiamo distribuito sul territorio servito un valore economico di oltre 1,9 miliardi di euro e generato un margine operativo lordo “a valore condiviso” di 375 milioni di euro, in crescita del 14% rispetto all’anno precedente, pari a oltre un terzo del totale e previsto in crescita al 40% entro il 2022. Si tratta della quota di margine operativo lordo che deriva dal nostro impegno nella direzione di 11 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile dell’Agenda ONU al 2030, tra i quali ovviamente troviamo il goal 12 relativo proprio all’economia circolare.

Quali le ricadute sulla filiera e sull’indotto?

Il nostro impegno e quello dei cittadini nella raccolta differenziata, che nel 2018 sfiora il 63% e che prevediamo raggiungere il 73% al 2022, oltre a benefici ambientali produce effetti positivi sull’indotto della green economy: il nostro report “Sulle tracce dei rifiuti” 2018 evidenzia che la raccolta differenziata è stata recuperata in quasi 180 impianti gestiti da oltre 163 aziende con un fatturato complessivo di oltre 11 miliardi di euro e per le quali lavorano oltre 20 mila lavoratori.

Ci sono già esempi di attività in questa direzione?

Per la transizione verso un modello circolare abbiamo sviluppato iniziative mirate al coinvolgimento delle persone che vivono sui territori che serviamo convinti, come dicevamo, che solo in questo modo sia possibile ottenere risultati concreti. Innanzitutto, occorre sfatare un mito: quello che le aziende grandi come la nostra siano lontane dalla quotidianità dei cittadini. Lo abbiamo voluto dimostrare con il report “Costruire insieme il futuro”, che rendiconta tutte le attività che portiamo avanti con il contributo e il coinvolgimento attivo delle comunità locali e delle istituzioni. A partire dai già citati CiboAmico, FarmacoAmico e Cambia il Finale, fino agli HeraLAB sui vari territori, dove azienda e portatori d’interesse si incontrano e progettano insieme iniziative che Hera si impegna a realizzare. Altre attività sono collegate a un corretto conferimento dei rifiuti, interessano la creazione di boschi urbani. Poi ci sono tutte le nostre attività interne al business e quelle con i clienti sul fronte del riciclo, dell’efficienza energetica, del risparmio idrico. Tutte rendicontate in report specifici, in modo trasparente, perché un altro tassello fondamentale in questo puzzle è la reputazione.

Milioni di giovani si stanno mobilitando per l’ambiente: che cosa fate per loro?

Investiamo molto sull’educazione ambientale: alle iniziative didattiche gratuite de La Grande Macchina del Mondo solo lo scorso anno hanno partecipato 102 mila studenti emiliano-romagnoli, mentre con Riciclandino e Digi e Lode coinvolgiamo anche famiglie e clienti, valorizzando i comportamenti più virtuosi con premi alle scuole per l’acquisto di materiali didattici e progetti di digitalizzazione.

Più in generale, quali azioni sono a suo giudizio necessarie per far realmente decollare l’economia circolare nel nostro Paese?

L’impegno del nostro Paese è importante, ma deve ancora crescere: senza una normativa chiara ed efficace, che consenta di trasformare il rifiuto in materia, l’economia circolare non parte. Come abbiamo detto, non significa solo parlare di riciclo dei rifiuti, ma di rinnovo del sistema produttivo, dei modelli di consumo, e della gestione del sistema delle risorse. È necessario ripensare i modelli di produzione in coerenza con la legislazione sulla trasformazione dei rifiuti in materia.

Quindi occorre ripensare la progettazione stessa dei beni di consumo?

Sì, è indispensabile affinché i materiali che li compongono possano essere recuperati alla fine del loro ciclo di vita e, quindi, essere riutilizzati. Tutto ciò è fondamentale per arrivare anche a ridurre le emissioni che non derivano dal settore energetico. Senza un recepimento di questa diversa prospettiva, la visione sarà sempre limitata, inefficace e concepita in una logica restrittiva e/o emergenziale. A livello più ampio, appunto, la transizione verso un modello economico circolare è un processo che va pianificato in prospettiva al 2030-2035, implementandolo nel tempo e realizzandolo nei tempi che richiede con un cambiamento incisivo e trasversale a tutti i settori economici, sempre in modo coordinato e coerente nel tempo. Il cambiamento, è necessario sottolinearlo, si fa anche e soprattutto sul piano culturale, e questo riguarda le imprese, i cittadini e le istituzioni.

Il primo Rapporto sull’Economia Circolare in Italia colloca il nostro Paese in pole position in Europa per le performance in tema di economia circolare, ma evidenzia anche il rischio di un rallentamento. A suo giudizio quali potrebbero essere le criticità più rilevanti per una multiutility? E i punti di forza?

Il rischio per una multiutility è quello di rimanere “passiva”, in attesa che vengano stabilite le norme, tenendo conto della gestione quotidiana di una molteplicità di servizi e infrastrutture, che potrebbero presentare notevoli complessità nella transizione. O ancora di cadere vittima di un po’ di “green washing”. Al contrario, è necessario un atteggiamento propositivo e una visione in grado di gestire il cambiamento e contribuire all’evoluzione delle norme, portando attivamente il proprio bagaglio di competenze ed esperienze all’attenzione agli “architetti delle scelte”.

Un ulteriore rischio è rappresentato dal fattore tempo, alla ricerca di un equilibrio tra il muoversi troppo frettolosamente e troppo tardi. Anche in questo caso le multiutility possono trasformare l’economia circolare in una opportunità, agendo da promotori della transizione nei tempi che questa richiede, e di supporto nei confronti delle imprese che volontariamente investiranno su design, reverse logistic, riduzione degli sprechi e dei rifiuti. Inoltre, dovranno promuovere la transizione energetica, con soluzioni di efficienza energetica in primis, ma anche per la decarbonizzazione. Per quanto riguarda il tema acqua, infine, serviranno investimenti importanti per consentire la rigenerazione delle risorse, a partire dal riuso delle acque depurate, e aumentare la resilienza di reti e impianti, soprattutto alla luce delle sempre più frequenti emergenze ambientali e climatiche. In ogni caso esiste un elemento comune a tutte le iniziative, che contribuisce a renderle efficaci e con un reale ritorno, la misurazione puntuale: parafrasando P.F. Drucker “ottieni ciò che misuri”. Anche per questo abbiamo deciso di iniziare a misurare il valore condiviso generato.

  1. Il termine “creazione di valore condiviso” (o shared value) è stato coniato dall’economista Michael Porter in riferimento alla possibilità di creare valore economico per l’impresa e per i suoi shareholder attraverso la produzione di un beneficio per la società e per l’ambiente
biogas
Dai sottoprodotti delle attività agricole e dell’allevamento si può ricavare biogas che, opportunamente trasformato in biometano, può essere utilizzato come combustibile per i trasporti - Fonte Progetto Biomether - Sistema regionale del Biometano in Emilia-Romagna, progetto finanziato dalla Regione Emilia-Romagna e dal Programma LIFE+ dell'Unione Europea
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