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Biotecnologie e sicurezza alimentare

di Andrea Sonnino - Chief, Research and Extension Branch - Food and Agriculture Organization of the UN (FAO)

Grazie all’innovazione tecnologica ed organizzativa, l’agricoltura mondiale produce oggi alimenti più che sufficienti a nutrire una popolazione di 7 miliardi di persone. Ciononostante, 870 milioni di persone soffrono la fame. La crescita demografica, il processo di progressiva urbanizzazione della popolazione ed il cambiamento delle diete accresceranno la domanda globale di alimenti, che nel 2050 sarà del 60% più alta rispetto a quella odierna. La sfida che ne deriva è ulteriormente aggravata dal cambio climatico e dalla erosione delle risorse naturali che forniscono la base per la produzione di alimenti. Tra le altre misure necessarie per conseguire in modo sostenibile la sicurezza alimentare, che vengono brevemente discusse, l’articolo esamina l’aumento della produttività agricola ed il ruolo che sta giocando e che dovrà giocare in futuro la innovazione in agricoltura in genere e quello della applicazione delle biotecnologie agricole in particolare

Introduzione

Le crisi del prezzo dei prodotti alimentari verificatesi negli ultimi anni hanno riportato alla ribalta la drammaticità dell’insicurezza alimentare e l’urgenza di questo problema globale, cosicché esso ha riottenuto il meritato ordine di priorità nelle agende politiche internazionali, dopo molti anni di oblio o di scarsa attenzione. Se però risulta universalmente condiviso il concetto che dobbiamo assicurare a tutti il diritto all’alimentazione, perdura molta confusione nelle discussioni relative a come si può raggiungere questo obiettivo: il partito produttivistico-tecnologico propugna l’equazione per cui la persistenza di denutrizione può essere risolta accrescendo la produzione di alimenti e pertanto medianti forti iniezioni di tecnologia nei processi produttivi, ivi comprese le biotecnologie; la corrente ambientalista-solidaristica osserva che l’attuale produzione di alimenti è sufficiente a sfamare l’intera umanità e ritiene quindi che non sia necessaria l’immissione di nuova tecnologie (e men che meno di biotecnologie), ma che bisogna al contrario migliorare la distribuzione del cibo prodotto attraverso interventi di natura politica e sociale e migliorare semmai la sostenibilità delle produzioni agricole.

Questo lavoro si propone di portare chiarezza su questa diatriba, dimostrando come ambedue le tesi siano parzialmente corrette ma, nel contempo, riducano il problema a termini troppo semplicistici e quindi siano, in fin dei conti, ambedue sbagliate. Sarà inoltre discusso il contributo delle biotecnologie al conseguimento della sicurezza alimentare.

La sicurezza alimentare

Definizione e componenti

Il primo elemento di chiarezza che deve essere considerato è la definizione di sicurezza alimentare e del suo contrario, l’insicurezza alimentare. Vi è un largo consenso internazionale nel definire la  sicurezza alimentare come l’accesso fisico ed economico permanente di tutta la popolazione agli alimenti sani e nutrienti di cui necessita per soddisfare i propri fabbisogni e le proprie preferenze alimentari e per condurre una vita sana ed attiva. La sicurezza alimentare viene riconosciuta pertanto come la risultante di quattro elementi essenziali, che si debbono realizzare contemporaneamente: (i) disponibilità adeguata di alimenti, (ii) accesso al cibo da parte di tutta la popolazione, (iii) stabilità nel tempo della disponibilità e dell’accesso, e (iv) utilizzazione del cibo.

Il primo elemento si riferisce alla disponibilità di alimenti di buona qualità igienico-sanitaria e nutrizionale, sia prodotti localmente che importati. Molti paesi in via di sviluppo hanno ottime capacità di produzione agricola o di importazione di alimenti, per cui la disponibilità di alimenti non è il problema principale per la sicurezza alimentare, se non nei casi di emergenze umanitarie e catastrofi naturali.

La seconda dimensione è relativa all’accesso fisico ed economico agli alimenti necessari per una vita attiva e sana, e comprende il potere di acquisto, cioè che la popolazione abbia la disponibilità economica per comprare gli alimenti di cui abbisogna. In altre parole, se vi è disponibilità di alimenti, ma la gente non ha il denaro per acquistarli, allora si ha insicurezza alimentare. Per molti paesi in via di sviluppo è questa la dimensione più problematica.

La terza dimensione consiste nella utilizzazione degli alimenti, perché si può fare un uso appropriato degli alimenti solo se si è sani, se si ha la possibilità di scegliere gli alimenti più adatti ad ogni età e di adeguata qualità igienico-sanitaria, e se si dispone di accesso all’acqua potabile.

Il quarto elemento riguarda il fatto che tutti dovrebbero avere accesso continuo agli alimenti e non correre il rischio di rimanere vittima di crisi economiche o ambientali improvvise o di fenomeni ciclici come la volatilità dei prezzi delle derrate alimentari. Questa dimensione sta assumendo maggiore importanza a causa della crisi finanziaria e dei problemi causati dal cambio climatico.

Questo approccio contribuisce già notevolmente a chiarire alcuni aspetti della questione esposta nella introduzione a questo scritto. In particolare, la distinzione tra disponibilità di alimenti ed accesso inizia a spargere luce sul preteso conflitto tra produzione ed equità sociale.

La situazione attuale

Per molti anni i programmi di ricerca agricola hanno perseguito lo sviluppo di tecnologie che permettessero di aumentare la produttività a livello di azienda agricola, mentre il mercato e le politiche pubbliche agivano come promotori di innovazione tecnologica in agricoltura. Questo modello ha permesso di ottenere gli spettacolari progressi verificatisi nei paesi industrializzati nel secondo dopoguerra e nei paesi in via di sviluppo durante la Rivoluzione Verde. In particolare la produzione agricola è cresciuta tra le 2,5 e le 3 volte negli ultimi 50 anni (FAO, 2011a), ed è quindi arrivata oggi a livelli sufficienti a soddisfare il fabbisogno alimentare della popolazione mondiale, nonostante questa sia raddoppiata tra il 1960 ed il 2003 e raggiunga oggi i 7 miliardi di persone (UN Population Division, 2011). La disponibilità pro-capite di alimenti è anzi aumentata del 27% nel medesimo periodo (figura 1).

Nonostante la grande crescita della produzione agricola, che ha portato ad una situazione di generale abbondanza, il sistema alimentare mondiale ha fallito per due grandi aspetti, che richiedono urgente azione:

  1. quasi 870 milioni di persone - vale a dire una su otto - hanno sofferto di malnutrizione cronica nel biennio 2010-2012.  La maggioranza delle persone che soffrono la fame - circa 852 milioni - vive nei paesi in via di sviluppo, mentre i restanti 16 milioni vivono nei paesi sviluppati. Nel periodo compreso tra il 1990-92 e il 2010-12 il numero totale delle persone che soffrono la fame è diminuito di 132 milioni, passando dal 18,6% della popolazione mondiale al 12,5%, e dal 23,2% al 14,9% nei paesi in via di sviluppo (figura 2). Al problema della denutrizione va sommato quello della malnutrizione: più di un miliardo di persone, pur assumendo un numero adeguato di calorie, non consumano sufficienti proteine, vitamine e minerali, con serie conseguenze sulla loro salute fisica e mentale. Per esempio, l’anemia derivata da deficienza di ferro è responsabile del 20% della mortalità materna a livello globale, ritarda la crescita nei bambini e riduce la capacità lavorativa degli adulti. Un secondo esempio è rappresentato dalla deficienza di vitamina A che colpisce 40 milioni di persone, causando cecità e contribuendo ad aumentare la prevalenza di infezioni ed altre malattie.
  2. l’aumento della produttività agricola è stato spesso accompagnato dallo sfruttamento eccessivo delle risorse idriche e dei suoli e quindi dal deterioramento delle risorse naturali e dei servizi ecosistemici connessi. Negli ultimi 50 anni l’area coltivata globale si è ampliata solo del 12%, mentre l’area irrigata si è più che raddoppiata nel medesimo periodo (+117%). Gli aumenti di produzione sopra riportati sono quindi stati ottenuti soprattutto mediante miglioramenti della produttività: basti pensare che la superficie di terra coltivata per persona è gradualmente diminuita da 0,45 a 0,22 ettari (tabella 1). L’intensificazione della produzione agricola ha permesso di limitare la deforestazione, alleggerendo la pressione verso l‘espansione della frontiera agricola, ma ha in molti casi compromesso la sostenibilità della produzione agricola. Si calcola infatti che circa il 25% delle terre coltivate ha suoli altamente degradati, cui si deve aggiungere un ulteriore 8% di superficie con suoli moderatamente degradati. Sfortunatamente, le zone con suoli più degradati coincidono con quelle in cui la povertà è più pervasiva. L’agricoltura usa oggi circa l’11% della terra disponibile e il 70% delle risorse idriche mondiali. Anche la rapida erosione delle risorse genetiche vegetali ed animali che costituiscono la base della agricoltura aumenta la vulnerabilità delle coltivazione e degli alimenti a patogeni, parassiti e stress ambientali (Sonnino, 2011).

È quindi corretto affermare che l’attuale produzione di alimenti è sufficiente a sfamare tutta l’umanità, ma iniquamente distribuita, talché interventi di natura sociale e politica sono prioritari, come è giusto invocare provvedimenti per migliorare la sostenibilità della agricoltura.

La sicurezza alimentare in prospettiva

Esaminiamo adesso il problema della sicurezza alimentare in un’ottica di prospettiva. Secondo le proiezioni dell’ONU, la popolazione mondiale supererà i 9,1 miliardi di persone nel 2050 (FAO, 2009), con quasi tutta la crescita a carico dei paesi in via di sviluppo (figura 3). Continuerà inoltre il processo di urbanizzazione, che ha visto negli ultimi 50 anni 800 milioni di individui abbandonare le aree rurali. Nel 2050 circa il 70% della popolazione mondiale vivrà nelle città, lontano dalle zone di produzione degli alimenti, contro il 50% di oggi. Il miglioramento delle condizioni economiche di vasti strati della popolazione, soprattutto nei paesi emergenti, congiuntamente al processo di urbanizzazione, sta determinando e sempre più determinerà, cambi significativi delle diete, con diminuzione della quota di cereali e alimenti di base e aumento di ortaggi, frutta, carne, pesce e prodotti lattiero-caseari, tutti alimenti più nutritivi, ma anche più dispendiosi in termini di risorse naturali necessarie per produrli (figura 4). Con una popolazione più numerosa, più urbanizzata e, nel medio termine, più ricca, la sfida sarà quella di soddisfare la domanda globale di alimenti, che nel 2050 sarà del 60% più alta rispetto a quella odierna (FAO, 2009).

L’aumento di produzione agricola necessario per far fronte all’accresciuta domanda di alimenti e di altri prodotti agricoli deve essere raggiunto in una condizione di erosione delle risorse naturali che sono alla base dell’agricoltura, come ricordato nel capitolo precedente: terra, acqua, fertilità del suolo sono limitati ed il loro uso non può espandersi all’infinito ma, anzi, subisce la competizione crescente da parte di altre utilizzazioni alternative.

Tabella 1 – Cambiamenti netti di destinazione d‘uso della terra e della superficie coltivata per persona (1961-2009)

 

1961

2009

Differenza percentuale

1961-2009

Superficie coltivata (Milioni di Ha)

1368

1527

12%

Di cui:

  • senza irrigazione (Milioni di Ha)

1229

1226

-0,2%

  • con irrigazione (Milioni di Ha)

139

301

117%

Superficie coltivata procapite (Ha)

0,45

0,22

-51%

Fonte: FAO (2011)

La sfida globale di aumentare la produzione di alimenti è esacerbata dal cambio climatico, che ha profonde conseguenze sulla agricoltura, particolarmente vulnerabile ad ogni cambiamento delle condizioni ambientali. Il cambio climatico sta infatti modificando la frequenza e la distribuzione delle precipitazioni e dei fenomeni meteorologici estremi, come i picchi di temperatura, le siccità e le alluvioni. Il cambio climatico sta inoltre alterando la distribuzione geografica delle popolazioni di piante infestanti e di patogeni e parassiti. Gli effetti del cambio climatico sulla agricoltura saranno però, e già sono, sproporzionatamente più gravi nelle aree più vulnerabili e soggette ad insicurezza alimentare (Beddington et al., 2011) e colpiranno soprattutto gli strati più poveri della popolazione, che hanno inferiori capacità di adattamento. Anche un aumento di temperatura di 2 °C, che corrisponde allo scenario più ottimistico, comporterà in Africa e Asia Meridionale una perdita permanente delle entrate annuali delle aziende agricole del 4-5%. In alcune zone del pianeta, specialmente nelle aree a clima temperato, e quindi nei Paesi industrializzati, il cambiamento climatico può portare invece ad un moderato incremento della produzione agricola.

Come conseguire la sicurezza alimentare

L’agricoltura offre la base per vincere la sfida della sicurezza alimentare: 3 miliardi di persone vivono oggi nelle aree rurali (World Bank, 2007), la vasta maggioranza delle quali è direttamente o indirettamente coinvolta in attività di produzione agricola e per la vasta maggioranza delle quali l’agricoltura rappresenta la più importante fonte di sostentamento(2). Inoltre, 3 persone povere su 4 vivono nelle aree rurali (World Bank, 2007). I paesi in via di sviluppo contano su una base produttiva di 404 milioni di aziende agricole con meno di 2 Ha, che danno lavoro a 1,5 miliardi di persone e la cui produzione alimenta circa 2 miliardi di persone (IAASTD, 2008). A questi piccoli agricoltori bisogna aggiungere tra i 100 e i 200 milioni di pastori (Convention on Biological Diversity, 2010), 410 milioni di persone che vivono dei prodotti delle foreste e 100 milioni di pescatori su piccola scala (Kura, et al., 2004), per tacere degli 800 milioni di persone che vivono in aree urbane, ma sono coinvolti in attività di coltivazione di orti urbani (World Watch Institute, 2007). Ne consegue che la crescita del settore agricolo nei paesi a basso reddito e marcatamente agricoli, creando occupazione e reddito per i piccoli agricoltori, è due volte più efficace della crescita degli altri settori produttivi per la riduzione della fame e della povertà (World Bank, 2008).

Le politiche di sicurezza alimentare poggiano su 4 aree di azione prioritaria:

(i) aumento degli investimenti in agricoltura

La causa fondamentale della fame è l’insufficienza di investimenti nel settore agricolo nei paesi in via di sviluppo. È dimostrato, infatti, che gli investimenti nel settore agricolo hanno rendimenti in termini di sviluppo da due a quattro volte più alti degli investimenti in altri settori (Yuma, 2011). La quota degli interventi di cooperazione allo sviluppo destinati al settore agricolo, forestale e della pesca è diminuita dal 19% nel 1980 al 5% attuale, anche se ha cominciato a risalire negli ultimi anni. La percentuale della spesa pubblica destinata all’agricoltura è scesa dal 1980 al 2002 dal 14,8 all’8,6% in Asia, dall’8,0 al 2,5% in America Latina, e dal 6,4 al 4,5% in Africa (Figura   6).

(i) ampliamento dell’accesso agli alimenti

Programmi di protezione sociale per assistere i più poveri e vulnerabili e per migliorarne l’accesso agli alimenti sono stati applicati con successo in molti paesi in via di sviluppo, come per esempio in Brasile e in Bangladesh. Questo tipo di interventi hanno efficacia soprattutto per contrastare gli effetti di catastrofi naturali, di crisi economiche o di altri eventi avversi, ma sono ovviamente poco sostenibili nel lungo periodo.

(ii) miglioramento della governance del commercio mondiale

La volatilità dei prezzi degli alimenti costituisce una preoccupazione importante per i governanti mondiali, come ricordato anche nei recenti vertici del G20, e soprattutto per i paesi a basso reddito che dipendono dalle importazioni alimentari. Interventi per migliorare la trasparenza dei mercati, prevenire le manovre speculative e quindi contenere la volatilità dei prezzi delle derrate agricole, sono quindi essenziali per migliorare la componente della stabilità della sicurezza alimentare.

(iii) aumento sostenibile della produttività

L’ultimo pilastro delle politiche di sicurezza alimentare è l’aumento sostenibile della produttività dei piccoli agricoltori, mediante l’applicazione appropriata di tecnologie agronomiche migliorate. L’aumento della produttività è un’azione prioritaria perché può migliorare la sicurezza alimentare nel breve e medio termine in due modi: aumentando le entrate delle piccole aziende agricole, e quindi il potere di acquisto dei piccoli produttori agricoli, e accrescendo la disponibilità di alimenti e riducendone così il prezzo per l’azione esercitata sul lato dell’offerta dall’equazione domanda-offerta. Nel lungo termine la produttività dovrà aumentare per permettere di far fronte all’aumentata domanda ed al deterioramento della base di risorse naturali. La produttività deve comunque essere aumentata in maniera sostenibile, conservando la base delle risorse naturali da cui dipende la produzione attuale di alimenti e quella futura.

Come aumentare la produttività

L’innovazione in agricoltura

La maggior parte dell’aumento della produzione agricola mondiale negli ultimi 50 anni deve essere attribuito ad aumenti di produttività totale dei fattori (figura 5), che comprendono principalmente ricerca e servizi di assistenza tecnica agli agricoltori, e quindi innovazione.

Anche nel futuro l’aumento della produttività e quindi, essenzialmente l’innovazione, dovrà coprire più di tre quarti dell’aumento dei nuovi fabbisogni alimentari della popolazione mondiale, se si considera che l’aumento della produzione globale di alimenti potrà essere conseguita solo per il 14% dall’ampliamento della frontiera agricola (figura 5). Nuovi terreni arabili da dedicare all’agricoltura sono infatti scarsamente disponibili e la loro conversione all’agricoltura ha comunque un alto prezzo ambientale (Ruane e Sonnino, 2011).

Inoltre, l’aumento di produttività dovrà essere conseguito senza aumentare e, possibilmente, diminuendo la pressione sulle risorse naturali e sugli ecosistemi. L’aumento di disponibilità di alimenti potrà essere conseguito anche riducendo sostanzialmente le perdite di prodotti agricoli che avvengono dopo la raccolta: un recente studio stima che il 30% dei cerali, il 40-50% delle radici e dei tuberi, il 20% degli oli vegetali ed il 30% del pescato vanno sprecati o comunque perduti durante le fasi di distribuzione e consumo (FAO, 2011c).

Il ruolo delle biotecnologie agricole

Giova innanzitutto ricordare che il termine biotecnologie agricole designa una vasta gamma di tecnologie usate in agricoltura e nella industria alimentare, utilizzate per un gran numero di scopi, tra cui il miglioramento delle varietà coltivate e delle popolazioni animali per aumentare la loro produttività o la loro efficienza, la diagnosi di patologie sia animali che vegetali, la produzione di vaccini per uso veterinario, e il miglioramento dei processi fermentativi impiegati nella preparazioni alimentari (Ruane e Sonnino, 2011). Le biotecnologie offrono anche potenti strumenti per la conservazione e la caratterizzazione delle risorse genetiche microbiche, vegetali ed animali (Lidder e Sonnino, 2012).

La forte controversia che spesso accompagna la discussione sull’uso delle biotecnologie agricole è in realtà legata ad una sola applicazione biotecnologica, l’ingegneria genetica, ed ai suoi prodotti, gli organismi geneticamente modificati (OGM), mentre le altre applicazioni sono generalmente ben accettate dal pubblico. Non v’è dubbio che la polemica sugli OGM non ha precedenti per ramificazione e profondità raggiunta, salvo forse l’utilizzazione della energia nucleare. La diatriba sugli OGM dura ormai da anni in forma estremamente polarizzata e non accenna ad assopirsi, oscurando agli occhi del grande pubblico il grande contributo all’aumento sostenibile della produttività agricola dato dalle altre biotecnologie e il loro ancor più grande contributo potenziale (Ruane e Sonnino, 2011).

Gli aumenti della produzione agricola ottenuti fino ad oggi sono stati infatti assicurati in gran parte anche dall’utilizzo di biotecnologie. Il rapporto finale della Conferenza Tecnica Internazionale sulle Biotecnologie Agricole nei Paesi in Via di sviluppo (ABDC-10), tenutasi a Guadalajara (Messico) nel marzo 2010, segnala che: “Le biotecnologie agricole comprendono una vasta gamma di strumenti e metodologie che si stanno applicando in misura crescente alle coltivazioni, agli allevamenti, al settore forestale, alla pesca e all’acquacoltura, nonché all’agroindustria, per aiutare a ridurre la fame e la povertà, contribuire all’adattamento al cambio climatico e conservare la base di risorse naturali tanto nei paesi industrializzati come in quelli in via di sviluppo”(3), ma rimarca che le biotecnologie agricole non sono state ancora sufficientemente sfruttate dai paesi in via di sviluppo e non ne hanno sufficientemente beneficiato i piccoli produttori agricoli. Il rapporto conclude raccomandando che più attività di ricerca e sviluppo siano dedicate alla soluzione dei problemi dei piccoli produttori agricoli (FAO, 2011d).

Le biotecnologie agricole, che si avvalgono del sorprendente, costante aumento di conoscenze di base biologiche, informatiche e biochimiche, hanno concorso insieme al miglioramento delle infrastrutture e delle tecniche di conservazione e distribuzione delle derrate alimentari ed alla diminuzione delle perdite di post-raccolta. La riduzione degli sprechi sarà anche nel futuro una componente essenziale dell’aumento della disponibilità alimentare, come già ricordato.

Le biotecnologie agricole inoltre sono essenziali per superare le barriere produttive in ambedue le vie suggerite da Philips (2009):

  1. aumentando la produttività operativa:
    • diminuendo le perdite dovute a fattori negativi patogeni, quali parassiti ed infestanti (per esempio mediante lo sviluppo di varietà vegetali o popolazioni animali resistenti);
    • aumentando l’efficienza d’uso dei fattori limitanti (come acqua e fertilità del suolo);
  2. aumentando la produttività intrinseca, la produttività ottenibile cioè in assenza di fattori negativi e con fattori limitanti disponibili a livello ottimale.

Fino ad adesso le applicazioni pratiche delle biotecnologie agricole hanno contribuito essenzialmente ad aumentare la produttività operativa, e le potenzialità di questo approccio permangono tuttora molto alte. L’aumento della produttività intrinseca richiederà forse tempi più lunghi, ma potrà apportare contributi estremamente significativi. 

Conclusioni

Le sfide che il mondo deve affrontare per assicurare una alimentazione sufficiente alla propria popolazione, facendo uso di una base di risorse naturali in progressivo deterioramento, e facendo fronte al cambio climatico, sono certamente sfide di portata enorme. Le soluzioni sono complesse ed abbracciano interventi di natura politica, economica, finanziaria, sociale, legislativa, e tecnologica. Non esistono quindi misure semplici in grado di risolvere tutti i problemi. Interventi che assicurano una più equa distribuzione del cibo prodotto sono certamente necessari ed urgenti, ma devono essere integrati ad azioni volte ad assicurare aumenti importanti della produttività agricola, sia per far fronte alla crescita demografica, che per aumentare le entrate e quindi migliorare il livello di vita dei piccoli agricoltori. L’innovazione tecnologica, ivi inclusa la applicazione di biotecnologie agricole, gioca in questo scenario un ruolo essenziale, anche, se non soprattutto, per assicurare la sostenibilità della produzione agricola.

 

Bibliografia

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Per informazioni e contatti: 

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Fonte: FAO
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Fonte: FAO, WFP and IFAD, 2012
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Fonte: FAO
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Fonte: FAO
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Fonte: Sonnino (2012)
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Fonte: Fuglie (2012)
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Fonte: Sonnino (2012)

(2)Final declaration of the Family Farming World ConferenceFeeding the World, Caring for the Earth, October 5-7, 2011. Bilbao, Spain.

(3)Traduzione dell’autore.

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